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Le origini della Cartografia: le civiltà “primitive”

L’uomo vive in stretto rapporto con la natura, per questo alla base della sua sopravvivenza c’è la conoscenza dei luoghi e la capacità di orientamento. Le carte primitive sono ricche di immagini che esprimono la realtà così come ci appare, riguardano esigue porzioni di terreno, proprio per il carattere di concretezza che hanno: non c’è bisogno, in questo modo, di ricorrere a disegni astratti o convenzionali. I materiali usati sono svariati e dipendono principalmente dalle disponibilità locali. Generalmente, la maggior parte costituiscono in incisioni, sculture o disegni su pietra o legno; meno frequentemente vengono usate ossa, pelli, lamine metalliche e fibre vegetali. Questi graffiti sono stati trovati in moltissime località, come in Venezuela, in Africa, in Francia, in Italia (Valcamonica), nei Paesi Bassi, sul lago Ladoga e sul fiume Jenissei, in Siberia e nel Caucaso; forse erano legati a percorsi di caccia.
Nel 1724 il gesuita J.F.Lafiteau raccolse molte carte elaborate dagli Indiani dell’America Settentrionale su legno o su pelle, dov’erano riportati tutti i fiumi e i laghi e i monti della regione con estrema precisione, con l’indicazione del nome da loro dato. Queste carte erano trattate in modo tale da poter essere arrotolate e trasportate agevolmente. 
In America meridionale l’arte cartografica era molto sviluppata nell’antica civiltà degli Atzechi, dei Maya e dei Toltechi. Venivano disegnate e dipinte su materiale vegetale ricavato da fibre di agave e da corteccia di fico. Nel 1526 venne fatta recapitare a Fernando Cortez dal re atzeco Xicalango una carta che raffigurava tutta la regione fino alla latitudine dell’odierna Panama e che fu vantaggiosa per la conquista dell’Honduras. Ne rimangono pochissime perché la maggior parte venne bruciata dai conquistadores. Una carta rimastaci, il Codex Tepetlaortoc, contiene tutta una serie di simboli, sconosciuti alla cultura europea, per esprimere dati topografici e storici. Sono più numerose le mappe catastali messicane, dove venivano usati colori diversi per distinguere le varie proprietà fondiarie, in base alla classe sociale cui appartiene il proprietario.
La maggior parte delle carte primitive, tranne quelle degli Eschimesi, erano disegnate su superfici piane. Gli eschimesi sono stati i primi a costruire carte in rilievo, scandite in distanze (giorni di viaggio) e linea di costa delimitata da aste di legno. I rilievi e le catene montuose erano costruiti con mucchi di sabbia e pietre; con le isole si cercava di mantenere le proporzioni; bastoni di legno indicavano la posizione dei villaggi e le stazioni di pesca. 
Nelle isole Marshall abbiamo carte nautiche, costruite utilizzando foglie di palma da cocco (coste), unite con fili di fibra di cocco, così da puntare in diverse direzioni. Delle conchiglie, indicanti le isole, erano fissate alle intersezioni dei fili di palma: le fibre rappresentavano le creste d’onda e indicavano la direzione dei frangenti. Altre fibre più sottili indicavano le creste d’onda che si creano per le maree, mentre altre fibre indicavano la distanza tra le isole e il momento del loro avvistamento. C’erano tre tipi di carte: mattang (indicazione teorica delle onde, con funzione didattica), rabbang (intero arcipelago) e meddo (varie parti dell’arcipelago). Queste carte venivano stese sulla poppa e si controllava che l’angolo formato dallo scafo in direzione della cresta d’onda principale fosse esatto. 

Tratto da CARTOGRAFIA E TERRITORIO NEI SECOLI di Elisabetta Pintus
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