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L'arte di Giovan Battista Castello




La forma cubica di Daniele svolse un ruolo di primo piano nella seconda metà del cinquecento. Il Briganti ha rilevato l’importanza di Daniele sulla formazione di Pellegrino Tibaldi, anche se non vi è artista operoso a Roma alla metà del Cinquecento che non abbia guardato almeno una volta al pittore di Volterra. Trinità dei Monti, peraltro, costituì un punto di riferimento per tutti.
Le vicende di Tibaldi furono complesse, in quanto si trovò ad operare in un momento in cui si fece più profondo il contrasto tra lo spregiudicato manierismo e la repressione dogmatica della Controriforma. Ma fin dai primi anni bolognesi, Tibaldi mostrò un precoce interesse verso la forma michelangiolesca. A Palazzo Poggi, dove diede sfogo alla sua fantasia, le figure famose, pur essendo rappresentate con spregiudicatezza di atteggiamenti in un contesto favoloso, sono racchiuse entro strutture michelangiolesche frenanti, che rivelano una profonda analogia con l’arte di Daniele.
Il cammino ulteriore del Tibaldi è connesso ai fatti che riguardano la Controriforma: nelle Marche, a Milano, in ultimo a Madrid. L’incontro nelle Marche col Borromeo, di cui divenne architetto personale, e la presenza all’Escorial, non possono non apparire come il punto di arrivo di un orientamento le cui premesse erano evidenti già a Roma.
Giovan Battista Castello, detto Il Bergamasco, a Roma dovette frequentare, come tutti i genovesi, la cerchia dei pittori gravitanti intorno a Perino del Vaga. Ne è prova la sua maniera di rendere la forma in masse grandeggianti, ma insieme di bloccarla mediante una luce tersa che la cristallizza in una sfaccettatura calcolata. Ciò si riconosce negli affreschi della Prefettura di Bergamo.
Oltre al Castello, un altro genovese spinto a Roma sulla scia di Perino fu il Cambiaso, che col Castello ebbe rapporti di collaborazione, dopo il ritorno a Genova di quest’ultimo, ma è probabile che si fossero già incontrati a Roma. Il loro fu un sodalizio caratterizzato da una grande affinità, tanto che nelle opere eseguite insieme nella chiesa di San Matteo a Genova, le mani del Cambiaso e del Castello sono difficilmente distinguibili.
Luca in pittura realizzava un linguaggio in cui le masse plastiche si componevano in blocchi cubizzati ed il cubo era l’elemento per interpretare l’intera realtà. Infatti, le forme, nei disegni, erano create attraverso un insieme di piccoli cubi.
La critica ha supposto un soggiorno a Roma del Cambiaso intorno al ’47, ciò spiegherebbe il plasticismo michelangiolesco presente nella Resurrezione di Taggia e nelle opere subito successive. Solo il Gere nega tale soggiorno.

Tratto da ARTE MODERNA di Gabriella Galbiati
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