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Morfologia della città di Genova in "Il filo dell'orizzonte"

Genova è la città in cui la storia è ambientata, riconoscibile nelle descrizioni e comunque dalle dichiarazioni dello stesso autore, ma mai nominata: forse perché la dimensione principale qui è quella dell’introspezione, del viaggio dentro se stessi, nei luoghi dell’anima e non nei luoghi fisici della città. Addirittura, mentre le descrizioni dei luoghi sono realistiche, al contrario di quanto abbiamo visto in De André-Gennari e in Maggiani i nomi delle strade non rispecchiano la toponomastica della città, ma sono inventati. Sono anche di fantasia i nomi dei locali (ristoranti, etc).
Tra i luoghi “produttivi” della città anche nel Filo dell’orizzonte è annoverato (senza enfasi) il porto (già, negli anni Ottanta, in un momento di contrazione dei traffici mercantili), ma fanno la loro comparsa anche le fabbriche dei quartieri di Ponente: «Nelle plaghe del silenzio notturno resta il ronzio dell’acciaieria che presidia la città a Ponente come una spettrale sentinella con luci lunari».

La città è in generale descritta in toni negativi. Il centro storico è sporco, fatiscente, degradato: «Questa parte vecchia della città, altrimenti detta centro storico, è da tempo in fase di studio e di risanamento. Ma gli anni passano, le amministrazioni comunali si avvicendano, e la parte da risanare si ammala sempre più […]. È un’agonia diffusa, una lebbra lenta che ha invaso muri e case la cui fatiscenza è sorniona e inarrestabile, come una condanna. […] La sera nei vicoli luccicano siringhe, sacchi di plastica, la massa indecifrabile di qualche ratto morto». La città, con la cementificazione delle colline, ha ingrandito la sua periferia, dove abitano gli operai delle fabbriche: «E poi la città preme minacciosa da altre parti, attira altrove l’attenzione degli esperti, là dove si addensa la popolazione “produttiva”, dove sono nati dormitori immensi […]. A volte la collina smotta come se volesse scrollarsi di dosso quelle brutte incrostazioni […] E poi vi sono strade da fare, tubature da allacciare, le scuole, gli asili nido, i consultori».
Anche Tabucchi, come gli altri autori, parla di alcuni negozi tipici: droghieri, latterie, pescherie, farinatai: «Si chiama “Da Egle”. È un’antica farinataia, come ha sentito dire da qualcuno; le pareti sono foderate di piastrelle bianche e c’è un bancone di zinco dietro al quale la signora Egle, armeggiando in un piccolo forno a legna, serve torte e farinate».
Anche ne Il filo dell’orizzonte il vento è uno dei leitmotiv: «quando il libeccio soffia con violenza, non è raro vedere i gabbiani anche nelle zone più interne della città».

Tratto da GENOVA NELLA LETTERATURA di Isabella Baricchi
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