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- SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE
- LINGUISTICA ITALIANA
Linguistica Italiana:
Sono appunti della materia "linguistica italiana" questo corso tratta i fondamenti della linguistica italiana con specifica attenzione alle varietà del repertorio. In particolare si analizza la variazione diamesica di grande rilevanza sul piano della comunicazione anche in relazione ai linguaggi dei media. Ma soprattutto è stato definito, al fine di sviluppare maggiormente le conoscenze, il livello diacronico ovvero un sintetico profilo di storia della lingua italiana cui si affiancheranno prime nozioni di dialettologia, con l'obiettivo di meglio comprendere il rapporto tra lingua e spazio geografico.
Dettagli appunto:
- Autore: Martina Mannello
- Università: Libera Univ. degli Studi Maria SS.Assunta-(LUMSA) di Roma
- Facoltà: Scienze della Comunicazione
- Corso: Scienze della Comunicazione
- Esame: Linguistica Italiana
- Docente: Patrizia Bertini Malgarini
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Linguistica
Italiana
Appunti di Martina Mannello
Università di Roma LUMSA
Facoltà: Scienze della Comunicazione, Formazione e Psicologia
Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione, Marketing e Digital Media
Esame: LINGUISTICA ITALIANA
Docenti: Patrizia Bertini Malgarini
A.A. 2021/2022INDICE degli APPUNTI di LINGUISTICA ITALIANA
PRIMA PARTE
INTRO- La Comunicazione
- schema della comunicazione
- i codici
- il segno linguistico
Cap.1) Il livello fonologico
- fonetica
- fonologia
- emittente e ricevente
- la classificazione dei suoni
Cap.2) Livelli di analisi linguistica
- grafia
- lingua e scrittura
-alfabeto
- semi-consonanti e vocali
Cap.3) L’architettura dell’italiano
Cap.4) I Dialetti
Cap.5) L’italiano Standard
- italiano normativo
-italiano comune
Cap.6) L’italiano attraverso le regioni
Cap.7) L’italiano attraverso la società
Cap.8) L’italiano attraverso i mezzi di comunicazione
Cap.9) L’italiano attraverso i contesti
SECONDA PARTE
Cap.1) Dal latino ai volgari
Cap.2) I volgari
- Dante Alighieri
- Petrarca
-Boccaccio
Cap.3) Il 400 e l’Umanesimo
Cap.4) Il Rinascimento
Cap.5) Il 600
Cap.6) Il 700
Cap.7) L´800 LA COMUNICAZIONE (introduzione)
La linguistica italiana è una disciplina descrittiva che ha per oggetto lo studio delle lingue in uso nel
territorio italiano, nel passato e soprattutto nel presente, essa è la scienza che studia il linguaggio
e le lingue.
Il linguaggio è l’insieme dei fenomeni di comunicazione. Con il verbo comunicare si intende
trasmettere qualcosa, metterlo in comune con qualcun altro. La comunicazione è pertanto, un
processo che prevede un movimento (un trasferimento) da una persona ad un’altra. Il termine
latino comunicare deriva da Com (insieme) + munis (compito/dovere)
La comunicazione va interpretata come un processo che ha un movimento, questo processo
necessita come minimo di due soggetti: chi produce la comunicazione e chi la riceve. Per far si che
la comunicazione avvenga è necessaria la collaborazione tra i soggetti, ovvero una condivisione
della volontà dì mettere in atto questo processo. La comunicazione consiste nella generazione di
messaggi che devono essere codificati, trasmessi attraverso un codice che verrà interpretato e
compreso che deve essere comune a chi produce e a chi riceve la comunicazione.
Lo scrittore Roman Jakobson ha schematizzato la comunicazione.
RJ e ‘stato un linguista filologo e criterio letterario russo protagonista della cultura del 900´.
1. Il mittente formula il messaggio.
2. Il destinatario riceve il messaggio.
3. Il messaggio è l’oggetto della comunicazione.
4. Il referente è ciò a cui il messaggio si riferisce.
5. Il codice è l’insieme di regole e segni che consente al mittente e al destinatario di
comprendersi.
6. Il contesto è dove avviene il processo.
7. Il canale è il mezzo fisico che mette in contatto mittente e destinatario. Il mezzo fisico che
consente al messaggio di arrivare è l’aria (per arrivare da un punto iniziale ad un punto
finale il messaggio viaggia nell’aria).
I CODICI
La lingua è un codice particolarmente importante perché identifica una determinata società: i
codici sono insiemi strutturati di segni e regole che si combinano tra loro formando le parole, il
linguaggio verbale (quello usato dagli umani) è infatti un linguaggio che utilizza le parole.
La linguistica italiana è formata dalla grammatica normativa, una grammatica che prescrive le
forme giuste e censura quelle sbagliate. La grammatica normativa si basa su due assunti
fondamentali:
a) In Italia si parla una lingua unitaria
b) ci sono due modi di parlare e scrivere: giusto e sbagliato
La linguistica descrittiva invece si occupa proprio della lingua che viene utilizzata negli usi
quotidiani scritti e parlati di tutti i giorni, di tutte le epoche, per ciò non condivide tali assunti
riflettendo sui fatti di lingua.
2La linguistica italiana si studia secondo due prospettive:
• DIACRONIA “dia” è un prefisso che viene dal greco che vuol dire “attraverso” quindi una
prospettiva di studio che andrà a vedere l’evoluzione della lingua nel corso degli anni (i
tempi della lingua italiana)
• SINCRONICO “sincrono” parola di origine greca, cioè nello stesso intervallo di tempo. Una
prospettiva di studio che prescinde dal fattore tempo ma guarda alla lingua cosi come si
presenta in un determinato momento.
La linguistica italiana è formata dalla
-
grammatica normativa, una grammatica che prescrive le forme giuste e censura quelle
sbagliate. La grammatica normativa si basa su due assunti fondamentali: a) in Italia si parla una
lingua unitaria b) ci sono due modi di parlare e scrivere giusto sbagliato.
-
Linguistica descrittiva si occupa proprio della lingua che viene utilizzata negli usi quotidiani
scritti e parlati di tutti i giorni, di tutte le epoche, perciò non condivide tali assunti riflettendo sui
fatti di lingua.
La linguistica italiana quindi si divide in:
-linguistica storica dalla quale non si può prescindere
-linguistica odierna che è il. Risultato dell’evoluzione delle forme linguistiche e dei contatti con
altre lingue e dialetti.
LIVELLI DI ANALISI LINGUISTICA
La linguistica italiana si può essere studiata secondo diversi livelli
1. Livello fonologico (Fonetica e fonologia)
I suoni del linguaggio sono oggetti di analisi di due discipline complementari ma distinte, la
fonetica rappresentata dalla grafia e la fonologia. Queste due discipline sono alla base dello
studio della lingua.
2. Livello morfologico (Morfologia)
Esso studia la struttura interna della parola in relazione ai cambiamenti di forma e i
cambiamenti di senso (libro-libri)
3. Livello sintattico (Sintassi)
Studia come le parole si combinano e si dispongono tra di loro all’interno di una frase e
quali sono le funzioni dei rapporti tra le parole all’interno di esse
4. Livello semantico (Semantica)
Analizza le parole nel proprio significato. L’insieme delle parole forma il lessico. La
disciplina che prende in esame la sua struttura è la lessicologia. Mentre per lessicografia si
intende la teoria e la prassi della redazione di vocabolari e dizionari.
La linguistica testuale analizza e studia com’è costituito un testo e le varie tipologie come orale o
scritto
IL SEGNO LINGUISTICO
La lingua inoltre è fatta di segni ovvero i “segni linguistici” che stanno al posto di qualcos´atro. I
segni linguistici sono fatti di due parti: concreta e astratta. La parte concreta si definisce
significante, che è l’espressione la parte percepibile del segno (I suoi livelli di analisi sono:
morfologia, sintattica e fonologia.) La parte astratta invece viene definita significato che è il
3contenuto. Il significante c’è ma non si vede ma è la parte percepibile del segno. Il segno è
«un'entità psichica a due facce», un significante, l'immagine acustica, e un significato, il concetto.
«Il segno linguistico unisce non una cosa a un nome, ma un concetto e un'immagine acustica».
L'associazione di un significante e di un significato costituisce l'entità linguistica.
IL LIVELLO FONOLOGICO
FONETICA (concreto)
La fonetica si occupa dei suoni nella loro completezza e studia e descrive come sono articolati
(fonetica articolatoria), trasmessi (fonetica acustica) e ricevuti (fonetica uditiva o percettiva).
La fonetica (dal greco φωνή (phōnḗ), "suono" o "voce") è la branca della linguistica relativa alla
sostanza dell'espressione che studia la produzione e la percezione di suoni linguistici (foni), e le
loro caratteristiche.
FONOLOGIA (astratto)
Tratta i suoni come entità astratte studiando e descrivendo la loro organizzazione nei singoli
sistemi linguistici. La fonologia è quella disciplina che studia la lingua come un sistema e ci
permette di utilizzare i suoni come unità di prima articolazione. È la componente fonologica che ci
permette di ricondurre suoni fisicamente diversi dal punto di vista di numerosi parametri dei suoni
mentali univoci significativi e distintivi, a delle entità cognitive.
Nella fonologia distinguiamo fono e fonema:
• Un fono è un suono definibile come minima entità fonico-acustica della lingua ed è
considerata un'entità concreta. Un fono ("suono", "voce") è un suono linguistico, ossia un
suono del linguaggio umano, prodotto dall'apparato fonatorio. I foni, che fanno
riferimento, appunto, solo a suoni (e non a lettere), sono rappresentati nello scritto per
mezzo delle trascrizioni fonetiche, che sono sempre scritte tra parentesi quadre ([]).
• Un fonema è un’entità più piccola portatrice di una distinzione tra delle coppie minime:
due parole uguali che differiscono l’una dall’altra per un solo elemento, il fonema. (Ex:
cane-pane; pala-palla; ancóra-ancora) Un fonema è un'unità linguistica dotata di valore
distintivo, ossia una unità che può produrre variazioni di significato se scambiata con
un'altra unità: ad esempio, la differenza di significato tra l'italiano tetto e detto è il risultato
dello scambio tra il fonema /t/ e il fonema /d/.
Organi fonatori: L’italiano ha solo foni espiratori (dentro>fuori). Per questo l’aria, dalla trachea,
incontra le pliche o corde vocali che, vibrando, emettono i suoni
EMITTENTE E RICEVENTE
La trasmissione del materiale fonetico avviene attraverso tre fasi:
1. Il parlante produce i foni della sua lingua per mezzo di organi fonatori che fanno parte
del collo e del capo.
2. I segni acustici prodotti vengono trasmessi attraverso l’aria, sotto forma di onde
sonore.
43. L’ascoltatore riceve con le orecchie le onde sonore, le trasmette al cervello che le
analizza e interpreta.
LA CLASSIFICAZIONE DEI SUONI
Le vocali sono sempre sonore, prodotte dunque in presenza di vibrazione delle corde vocali e,
quando fuoriescono, l’aria espiratoria non incontra nessun ostacolo nel canale orale.
Il diverso timbro vocalico è dato dalla particolare conformazione che la cavità orale assume a
seconda della posizione degli organi mobili (lingua, labbra, velo palatino). Mentre Il suono delle
vocali cambia a seconda della posizione della lingua; se è in avanzamento o arretramento. (Ex: I
anteriore, U posteriore)
A seconda del timbro delle vocali ne abbiamo 7 accertate:
- Alte (chiuse): I e U
- Medio alte (semi-chiude): é e ó
- Medio basse (semi-aperte): è
- Bassa (aperte): A
Quindi: graficamente avremo 5 vocali ma, ricorrendo alle coppie
minime, si scopre che sono fonemi. Dunque, foneticamente, le
vocali saranno 7.
Le vocali sono differenziate a seconda della parte del palato che le emette:
Parte anteriore (palato duro) > vocali palatali
Parte centrale
Parte posteriore (palato molle) > vocali velari
APPARATO FONATORIO
Organi per articolare i suoni linguistici sono:
- Cavità nasale
- Labbra
- Denti (alveoli)
- Lingua (apice, dorso e radice)
- Faringe
- Laringe (pliche vocali)
- Trachea
- Esofago
5CONSONANTI
Nel pronunciare una consonante, l’aria nella sua uscita incontra ostacoli (al contrario delle vocali)
che fanno parte dell’apparato fonatorio. Vi sono dei parametri di classificazione:
- Modalità di articolazione: il tipo di modifica corrente d’aria espiratoria.
- Luogo o punto di articolazione: il punto della cavità orale in cui avviene la modificazione
della corrente d’aria
- Sonorità: presenza o assenza della vibrazione delle pliche (corde vocali).
Esistono tre tipologie di consonanti:
1. Consonanti occlusive: l’aria espiratoria incontra un ostacolo completo (dato lo stretto
contatto tra le due organi) che provoca un blocco totale del passaggio. Il suono è prodotto
tramite un’occlusione momentanea dell’aria (1. fase di tenuta) a cui fa seguito uno
scoppio (2. fase di rilascio), da cui la denominazione di consonanti occlusive (o plosive). Il
rumore ottenuto nella fase di rilascio ed è dunque istantaneo, non può essere prolungato.
Si tratta dunque di suoni momentanei, non continui.
2. Consonanti fricative: L’aria espiratoria incontra un ostacolo parziale (dato dal
ravvicinamento tra due organi), che provoca un restringimento della cavità orale e crea un
fruscio. L’aria espiratoria passa attraverso una fessura stretta producendo un rumore di
frizione da cui la denominazione di consonanti fricative. Si tratta di suoni continui perchéé
il rumore può essere prolungato a piacere.
Ex: volare, sasso, fata
3. Consonanti affricate: Si ha una combinazione dei modi: dapprima si ha un ostacolo
completo (fase occlusiva) poi un rilascio graduale nel quale gli organi restano molto vicini
(fase fricativa) provocando il tipico rumore di frizione consonanti affricate. Essendo la fase
di rilascio una fase fricativa si tratta di nuovo di suoni continui, come nelle fricative.
Ex: pozzo, “affricata +schema libro
SEMICONSONANTI E SEMIVOCALI
Si chiamano così perchéé hanno una durata più breve di una normale vocale e un suono
intermedio tra la vocale e la consonante. Sono rappresentate graficamente da vocali “i“e “u”
quando sono atone e sono seguite da un’altra vocale (danno origine ai dittonghi perchéé non
possono essere mai separati).
Ex: buono, fuoco (u semivocale), piede > danno origine ai dittonghi
- I dittonghi
Sono costituiti da una semivocale e una vocale, única silaba sempre unite e generano suoni
di tipo vocalico che, nei dittonghi e nei trittonghi, si combinano alle vocali. La
6semiconsonante i è detta jod (i lunghi o jod) ed è trascritta foneticamente /j/ mentre la
semiconsonante velare u è detta uau ed è trascritta foneticamente /w/
Ex: piede, fuoco, buono Trittonghi: miei, suoi
- Lo iato
Lo iato, indicato nella grafia da una dieresi, è una sequenza di due vocali eterosillabiche, in
cui cioè ciascuna delle due vocali mantiene il valore di silaba. In questo caso le due vocali
sono due silabe diversa, si possono quindi separare.
Ex: farina, baule, poeta, coesione
LIVELLI DI ANALISI LINGUISTICA
GRAFIA
La grafia ci permette di riprodurre nello scritto i suoni di una lingua (fonemi). Le unità grafiche
elementari della grafia vengono chiamate grafemi; vengono realizzate attraverso i grafi e non
sono suddivisibili ulteriormente. I grafemi sono oggetto di studio della branca della linguistica
detta grafematica, e in linguistica sono generalmente indicate tra parentesi uncinate (<>).
LINGUA E SCRITTURA
La lingua viene considerata come una facoltà innata universale tipica della specie umana, di
sviluppare e apprendere specifici codici di lingua, che si realizza da moltissime migliaia di anni
La scrittura è un sistema che permette di fissare su di un supporto tangibile il linguaggio articolato
ed il pensiero umano. Nasce tra l'8000 e 4000 a.C. in ragioneria, con lo scopo di rappresentare i
simboli e permette per la prima volta di conoscere la quantità senza che gli oggetti fossero
materialmente presenti, inizialmente attraverso una rappresentazione simbolica e
successivamente attraverso un sistema cuneiforme e sistema geroglifico (3300- 3200 a.C.) La
scrittura può essere pittografica, alfabetica e ideografica. Per l’italiano utilizziamo scrittura
alfabetica (segni corrispondenti a un suono), mentre in lingue come il cinese viene utilizzata una
scrittura ideografica (segni corrispondenti a parole, oggetti o concetti)
ALFABETO
Il primo alfabeto, che contava circa 30 segni con valore esclusivamente consonantico, fu
inventato nel 1900 a.C. da genti di lingua semitica (Cananei) provenienti dall'area siro-palestinese.
• - I geroglifici: I geroglifici seguono un principio acrofonico secondo il quale ad ogni segno
viene assegnato un valore fonetico corrispondente al primo suono della parola che
rappresentata. Ex: in egiziano una linea ondulata indicava l’acqua, in semitica acqua si dice
“mêm”; la linea ondulata assume il valore di “m”, che è il primo suono (consonantico) della
parola “acqua”.
7• - L’ alfabeto cirillico (S. Cirillo) è un sistema di scrittura attuale che rappresenta un
adattamento dell’alfabeto greco. Fu introdotto dagli slavi di cultura greca aderenti alla
chiesa ortodossa; è ancora usato per il russo, l'ucraino, il serbo e il bulgaro.
L’ALFABETO FONETICO
L’alfabeto fonetico è l’insieme dei simboli impiegati per la rappresentazione grafica dei suoni di
una lingua. La sua prerogativa essenziale è quella di associare in modo univoco un solo segno
grafico ad ogni fono. È un alfabeto artificiale creato apposta per rappresentare tutti i fonemi di
tutte le lingue, con lo scopo di far conoscere a tutti la corretta pronuncia delle parole.
L’ alfabeto fonetico IPA (International phonetic alphabet): è un sistema di notazione
standardizzata di carattere universale, poiché
́ consente la codifica articolatoria dei suoni di tutte le
lingue del mondo (ad ogni singolo simbolo grafico equivale solo un fonema).
N.B. Con l’alfabeto normale ad un segno può corrispondere più suoni, per l’IPA ogni simbolo ha un
suono diverso (sistema convenzionale, no storico).
CAP 1. - L’ITALIANO OGGI
• L'italiano odierno è organizzato su tre fasce:
Insieme di scelte linguistiche centrali che formano la grammatica fondamentale del
patrimonio storico dell'italiano standard, usate da tutti, nei contesti più vari. In questa
fascia troviamo tutte le realizzazioni non marcate della lingua, cioè caratterizzazioni
particolari, dovute alla regione di provenienza del parlante, al tipo di testo che si sta
producendo o alla situazione in cui ci si trova.
• Più insieme di scelte linguistiche particolari, differenziate da diversi punti di vista:
geografico, sociologico, stilistico eccetera. Ognuno di questi insiemi costituisce una varietà
di lingua.
• I dialetti: non sono usati da tutti su tutto il territorio, e là dove sono ancora usati la loro
distribuzione è disuguale. Costituiscono tutt'ora una risorsa espressiva e comunicativa
molto importante per la comunità italiana.
Le varietà della lingua occupano lo spazio di variazione più ampio e si dispongono nello spazio
linguistico italiano secondo cinque assi fondamentali:
1. Asse diacronico (variazione del tempo) associa la lingua ad un fattore extra
linguistico, ovvero mettere la lingua associata a qualcosa che non è linguistico con
ad esempio il tempo. (Dante- variazione diacronica dell’italiano es. lo passo/ il
passo)
2. Asse diatopico (variazione nello spazio) ovvero lo sesso concetto viene espresso in
modi diversi da persone che vivono in luoghi diversi (come a lingua cambia
all’interno dello spazio). Il toponimo è il nome di un luogo. Lo spazio incide sulla
lingua e la può far variare, anche restando nello stesso luogo (noi andiamo/ noi si
va)
83. Asse diamesico (variazione a seconda dei mezzi di comunicazione) lo stesso
concetto viene espresso in modi diversi dalla stessa persona quando usa mezzi di
comunicazione diversi. Ad esempio la frase detta orale o scritta ma anche varietà
trasmesse (non c’abbiamo tempo per studiare /parlato/ non abbiamo tempo
sufficiente per studiare /scritto/)
4. Asse diastratico (variazione a seconda dello strato sociale “attraverso gli strati
perché la società si presuppone sia stratificata) lo stesso concetto viene espresso in
modi diversi da persone appartenenti a diversi strati sociali (ha mal di testa /accusa
una cefalea)
5. Asse diafasico (variazione a seconda della situazione comunicativa) lo stesso
concetto viene espresso in modi diversi dalla stessa persona in situazioni diverse. A
seconda della situazione si deve calibrare il modo in cui si comunica
Queste 5 principali fattori di variazione costituiscono degli assi di riferimento lungo i quali si
possono ordinare le varietà compresenti nello spazio di variazione di ciascuna lingua. Ogni asse è
un continuum che presenta agli estremi due varietà contrapposte, se invece ci fosse un buco tra
le diverse varietà si chiamerebbe “gradatuum”. Bisogna pensare allo spazio linguistico nel quale si
collocano le varietà
̀ della nostra lingua come uno spazio pluridimensionale, attraversato da più
assi incidenti. Molti fenomeni occupano spesso uno spazio intermedio fra i quattro assi e la loro
posizione è determinata dai quattro valori delle distanze da ciascuno degli assi. Di solito i
fenomeni e le varietà in esame vengono assegnate all'asso più
̀ vicino ma spesso non mancano i
motivi per assegnarlo anche ad altri assi.
LA SOCIOLINGUISTICA
La sociolinguistica studia le diverse modalità di realizzazione della lingua (va a vedere come la
lingua si dimensiona, si muove, cambia a seconda della società), studia le diverse modalità di
realizzazione della lingua a seconda delle diverse tipologie di parlanti.
LA VARIAZIONE LINGUISTICA
serve per capire come riformulare, modificare, adattare il messaggio linguistico a seconda della
situazione del mezzo della tipologia dei parlanti che ho difronte.
COMUNITÀ LINGUISTICA
insieme delle persone che parlano una determinata lingua, tenendo conto delle possibili varietà
che sono presenti nella comunità
REPERTORIO LINGUISTICO
insieme dei codici e delle varietà che un parlante è in grado di padroneggiare. Più ha possibilità di
usarne più il suo repertorio linguistico è elevato
Architettura dell’italiano contemporaneo: BERRUTO 1987
(Schema che rappresenta architettura dell’Italiano contemporaneo) come alcune assi di variazione
vanno ad intersecarsi, si mettono in relazione con l’italiano di oggi.
- (gli assi sono 5, ma qui sono 3 non comprende ne la diacronia ne la diatopia) descrizione
sincronica perché si prescinde dalla diacronia e non si tiene conto del cambio della lingua
nello spazio.
- È una schematizzazione che prende in considerazione solo: diastratica (lingua società),
diafasia (lingua situazione -> formale ed informale) e diamesica (lingua mezzo-> scritto
L’ITALIANO STANDARD
Il vocabolario registra due eccezioni del termine standard: l’italiano normativo e quello comune
9Standard è una parola di origine latina, la base di questa parola è stendardo (bandiera), standard
vuol dire modello, l’italiano standard è il modello a cui tutti noi ci riferiamo, è l’italiano del modello
come la scuola lo trasmette da una generazione ad un'altra. Ma accanto all’italiano standard
possiamo trovare un'altra varietà della stessa lingua ovvero l’italiano di uso comune, ovvero quello
che usiamo comunemente tutti, è quella lingua che di solito viene accetta anche se si distanza
dalle regole grammaticali
L’italiano comune Berruti l’ha definito come “italiano neo standard” ovvero un italiano comune
che ha un nuovo standard.
Il vocabolario registra due accezioni del termine standard: L’italiano normativo e quello comune.
L’italiano normativo:
➔ Si tratta della varietà
̀ di una lingua assunta come modello dai parlanti e in genere proposta
come modello di insegnamento. In questo caso ci si riferisce a un insieme di regole, norme e
precetti elaborati dai grammatici, proposti-imposti dalla scuola come forme corrette e
trasmessi di generazione in generazione dalle grammatiche prescrittive (normative)
scolastiche. È basata sul volgare fiorentino trecentesco, grazie al prestigio delle 3 corone
(Dante, Petrarca, Boccaccio), è diventata una varietà standard.
È una lingua:
• Codificata cioè fatta propria da istituzioni di livello nazionale che la tramandano,
assicurando che la norma si è costantemente rispettata
• Dotata di prestigio: costituendo un modello da imitare, in quanto considerato come l’unico
corretto
• Con una funzione unificatrice tra parlanti di varietà regionali differenti
• Con una funzione separatrice, adempiendo ad una funzione di simbolo dell'identità
nazionale
• Con una lingua scritta consolidata
• Non è marcata e quindi non legata a una specifica varietà della lingua.
L'italiano di base Toscana - in particolare Fiorentina - codificato come lingua modello nel
Cinquecento e diventato in seguito lingua nazionale, ha quasi tutte queste caratteristiche eccetto
la non-marcatezza. Per quando riguarda la pronuncia quella standard è la cosiddetta pronuncia
Fiorentina emendata, che rispetta le regole fondamentali del Fiorentino ma è privata dei tratti
specificamente ed esclusivamente toscani, come l'articolo davanti ai nomi personali o le pronunce
spiranti delle affricate palatali (Ex: hoca hola).
N.B. Pochissime persone parlano come vorrebbero le regole dell'italiano normativo
(secondo stime generose si arriva al 1% della popolazione); oggi anche l'italiano parlato a
Firenze è lontano dallo standard normativo.
10Fra le caratteristiche del fiorentino che dovrebbero transitare nell'italiano standard e che invece
nella pronuncia corrente restano limitati all'area toscana ricordiamo:
-vocalismo tonico a sette vocali, con distinzione fra e e ho aperte e chiuse.
-la distinzione tra la Fricativa dentale sorda e quella sonora.
-il raddoppiamento fonosintattico, cioè la pronuncia rafforzata della consonante iniziale della
parola, quando questa sia preceduta da una parola tronca, da un monosillabo accentato, da certi
monosillabi non accentati o da parole piane.
L’italiano comune:
➔ Caratteristica propria di una lingua o di un comportamento del linguaggio largamente accettato
come forma usuale. Questo significato si riferisce invece alla lingua comune correntemente usata
dai parlanti di una comunità
̀ linguistica, e comprende anche forme non accettate dalle
grammatiche prescrittive ricorrenti nell’uso effettivo della lingua.
• L’italiano dell'uso comune comprende:
a- Tutti i tratti dello standard normativo che sono entrati nell'uso quotidiano effettivo,
scritto e parlato degli italiani
b- Un insieme di forme di tratti linguistici che provengono dalle varietà sub-standard che
di fatto sono usati e sono quasi generalmente accettati come forme standard.
Alcuni studiosi danno denominazioni diverse all' italiano dell'uso comune:
• Italiano neo standard: Indica che essa comprende forme e costrutti che sono
recentemente entrati nello standard.
• Italiano dell'uso medio: Sottolinea che essa è di uso comune nella vita di tutti i giorni, sia
nel parlato e nelle situazioni informali, sia nello scritto e nelle situazioni formali
• Italiano tendenziale: Evidenzia il fatto che l'arricchimento attraverso forme provenienti dal
sub-standard è la direzione principale verso la quale si sta muovendo la lingua italiana.
• Italiano senza aggettivi ovvero che parla di cose concrete
L’Italiano neo-standard è una varietà che può essere scritta ma soprattutto parlata e che coincide
in buona parte dello standard, a accoglie un serie molto ampia di fenomeni in passato rifiutati o
sconsigliati dallo standard: un nuovo standard
I fenomeni caratteristici dell´’italiano comune
➔ L'italiano, come le altre lingue del mondo, viene classificato per le combinazioni
sintattiche; in particolare è importante sapere la posizione del verbo rispetto al soggetto e
all'oggetto. In italiano, come nelle altre lingue romanze l'ordine è SVO (Ex: Paolo ama
Giulia).
1. Dislocazione a sinistra
Dislocare: vuol dire trasportare da una parte all’altra. Questa dislocazione è una costruzione
marcata in cui l'elemento che occupa la posizione O è anticipato - appunto, spostato a sinistra
11rispetto all'ordine degli elementi della frase - ed è poi ripreso nella frase da un clitico (un pronome
atono) (Ex: devi fare questa scelta adesso > questa scelta devi farla adesso)In termini
grammaticali possiamo descrivere la dislocazione a sinistra come una costruzione in cui
l'elemento del predicato viene a occupare il posto normalmente occupato dal soggetto, per poi
essere ripreso da un pronome clitico. Questo tratto proviene dal parlato ed è originato da
problemi di organizzazione del discorso.I punti strategici in cui si colloca un'informazione per
metterla in bene in rilievo sono la testa e la coda. Se nel parlato si vuole mettere in risalto un
elemento, si sfrutta questo principio dislocando a sinistra o a destra l'informazione da evidenziare.
Tema e Rema:
In ogni enunciato:
- ciò di cui si sta parlando costituisce il tema (dato)
- ciò che si dice intorno al tema costituisce il rema (nuovo)
Nella dislocazione a sinistra quindi, un elemento che secondo l'ordine non marcato non sarebbe in
posizione tematica viene portato a tema e a seconda delle prospettive si parla di un fenomeno di
tematizzazione (portare a tema un elemento) e di topicalizzazione (portare un elemento nella
posizione che normalmente occupa ciò di cui si parla) e di focalizzazione (fare coincidere il focus,
cioè il centro di interesse informativo dell’enunciato con un determinato Elemento). Un caso
particolare di dislocazione a sinistra è il tema sospeso (anacoluto) dove tra l'elemento anticipato e
il clitico c'è uno iato forte che non assicura la concordanza grammaticale. Tema sospeso è un caso
particolare il soggetto in questo caso non si esprime ma il resto del rema non sono collegati
sinteticamente al soggetto, se levi il soggetto funziona uguale, sospesa perché manca il pronome
che fa parte della dislocazione a sinistra. (Ex: questo vino, per stare bene, bisogna berne 2-3
bicchieri). La dislocazione a sinistra sostituisce spesso il passivo che nel parlato gode sempre di
minor fortuna. La prima dislocazione a sinistra: “Sao ko kelle terre, per kelle fini qui ki contenne,
trenta anni le possette parte santi benediciti”
2. Dislocazione a destra
È una costruzione simmetrica rispetto alla precedente: si parla di dislocazione a destra quando
nella parte destra di una frase c'è un elemento che dipende dal verbo della frase, e che è ripreso a
sinistra. In altre parole, è preannunciato da un clitico all'interno della frase. (Ex: lo vuoi un
cioccolatino? La caratteristica di questo costrutto non è tanto sintattica quanto comunicativa:
l'elemento che viene dislocato a destra è il tema, ciò di cui si parla). L’uso della dislocazione a
destra è ampio e diffuso nel parlato, piuttosto che nello scritto.
3. Frase scissa
“SEI TU CHE NON VUOI PARLARE” Si utilizza il verbo essere, si usa per dare enfasi
È un costrutto molto diffuso, soprattutto nel parlato. In questo caso l'informazione è
spezzata (scissa) in due e uno dei due pezzi va a occupare una posizione di primo piano.
12Ad esempio partendo dalla frase semplice “Sei tu che non vuoi”, il parlante la segmenta in
due, per poi assegnare il primo posto all'elemento che vuole mettere in rilievo e, per
rinforzarlo, lo eleva infine al rango di frase affiancandogli la voce verbale sei. Il risultato
finale è una distribuzione delle informazioni su due unità. Oltre a nomi e pronomi si
possono portare nella posizione di primo piano anche avverbi (Ex: è così che ti piace?),
sintagmi verbali (Ex: è leggere che mi annoia), negazione (Ex: Non è che mi piaccia tanto) e
interrogazione (Ex: Non è che mi presteresti la bici?).
4. C’è presentativo
Anche in questo costrutto l’informazione viene distribuita su due unità frasali. Ex: c’è un tale che
bussa alla porta. Se nella frase semplice un ragazzo bussa alla porta si identifica nel soggetto un
ragazzo l’elemento portatore di una nuova informazione (cioè il rema), lo si porta in posizione di
testa e gli si costruisce intorno una vera e propria frase autonoma, che diventa frase principale;
subito dopo si costruisce una frase relativa, con la quale si specifica ciò che fa quel tale. Anche in
questo caso, lo spostamento ha fatto si che il soggetto della frase di base sia diventato il rema.
5. I tempi verbali
➔ Si fa riferimento a una redistribuzione dei significati e delle funzioni: se una determinata
relazione temporale non può più essere espressa con il tempo verbale che la tradizione
storica le ha assegnato, viene espressa con un altro tempo, che non la prevedeva: così
quest’ultimo si carica di nuovo significato.
- Il presente: è usato spesso con valore di futuro, soprattutto nel parlato informale
e quando ci si riferisce a un futuro imminente o a fatti che si è certi che
avverranno. Questo uso è ormai accettato da tutti.
- Il trapassato remoto: è poco usato: si trova quasi esclusivamente in testi molto
accurati, con alto grado di formalità.
- Passato prossimo e passato remoto: Il passato prossimo è in forte espansione.
Nello standard dovrebbe indicare un’azione i cui effetti durano ancora nel
momento dell'enunciazione; in realtà è molto usato anche per indicare azioni
molto lontane dal momento dell’enunciazione (là dove lo standard prevede l’uso
del passato remoto), soprattutto nelle varietà regionali settentrionali e nei testi
più informali. Nel parlato informale il passato prossimo può anche acquisire il
valore di futuro anteriore. (Ex: appena hai finito (= avrai finito) la doccia, la faccio
io.)
Per quanto riguarda il passato remoto, nella conversazione spontanea e nello
scritto informale non emerge quasi mai; viene usato però da parlanti colti e semi-
colti in contesti formali in riferimento a eventi lontani. Nello scritto più formale si
usa il passato remoto.
- Imperfetto: Viene utilizzato quasi sempre per indicare un’azione iniziata nel
13passato e poi continuata e ripetuta. Serve dunque molto bene a creare lo sfondo
dell'azione indicata nella frase principale. Nell’italiano contemporaneo, oltre a
questo, si registrano altri usi dell’imperfetto:
a. Nel periodo ipotetico: la norma richiede il congiuntivo nella protesi e il
condizionale nell’apodosi, ma dall’italiano colloquiale sta arrivando
all’italiano comune l'uso dell’imperfetto indicativo in tutte e due le
posizioni. Esempio: se me lo dicevi prima ordinavo anche per te. In questi
casi l'imperfetto si riferisce all’ipotesi di una realtà che non si è verificata.
b. L’imperfetto ludico che usano i bambini quando inventano scenari
fantastici per i loro giochi. Esempio: io ero un poliziotto e ti facevo la
multa.
c. Gli usi attenuativi quando si fa una richiesta è si vuole evitare di apparire
bruschi, oppure quando si vuole mostrare deferenza. Esempio: volevo
esprimere la mia solidarietà al ministro.
- Futuro. Il futuro è sostituito sempre più spesso dal presente indicativo. Non è una
sostituzione semplice: l’assenza di un indicatore di tempo verbale pone il
problema di segnalare in altro modo che l’evento si svolge nel futuro. La soluzione
consiste nell'affidare l'indicazione temporale, invece che al verbo, a un elemento
lessicale o al contesto. Questo uso è ormai entrato anche nei testi scritti.
Il futuro però acquista anche altre funzioni:
a. Futuro epistemico: esprime una congettura o un'inferenza sia in
riferimento al presente che al passato. (Ex: sarà vero? ricorderete tutti che
due anni fa…)
b. Futuro deontico: esprime un obbligo, una necessità, una concessione
sancita per legge. (Ex: chi desidera comunicare con il responsabile
del’Ufficio dovrà munirsi di lasciapassare.)
6. I modi verbali
➔ Il congiuntivo: Da qualche tempo è stata notata la tendenza a sostituire, in certe
circostanze, il congiuntivo con l’indicativo. Ma questo solo in contesti ben precisi: nelle
frasi dipendenti, in dipendenza di verbi di opinione, quando si riferisce a un evento che il
parlante non sente come ipotetico, possibile, incerto o improbabile, ma come reale. L’uso
dell’indicativo per il congiuntivo è molto diffuso ma non si può dire che sia generale.
Infatti si verifica:
- Molto più nell’Italia centro-meridionale che al Nord.
- Più in testi informali.
- Frequentemente nel parlato e meno nello scritto.
- Più presso parlanti incolti che presso parlanti colti.
Altre irregolarità riguardano la reggente, cioè l’uso dell’indicativo là dove ci vorrebbe un
congiuntivo. Si trovano presso gli incolti (Ex: sebbene tu sei il mio migliore agente) e si
trovano persino in testi scritti formali (Ex: qualora il versamento è effettuato).
Tra le cause della crisi del congiuntivo le principali sono: la marcatezza, la complessità
della coniugazione – che provoca la tendenza a semplificare e a regolarizzare le forme
irregolari – e del sistema delle reggenze – che favorisce l’indicativo – l’influenza del
14dialetto, la tendenza generale a costruire periodi basati sulla coordinazione piuttosto che
sulla subordinazione.
➔ Il condizionale: Il condizionale è più vitale del congiuntivo ma in certe forme complesse
tende a essere sostituito dall´ imperfetto indicativo. Esempio: non pensavo che mi
avrebbero bocciato → non pensavo che mi bocciavano. In compenso si sta arricchendo di
alcune funzioni particolari:
- Citazione. Si usa negli articoli di cronaca, quando si riportano notizie di cui non si è
certi. (Ex: secondo alcune indiscrezioni il nostro bomber sarebbe in trattative…)
- Attenuazione nelle richieste. (Ex: mi daresti un passaggio?)
➔ L’infinito: Anche l’infinito è in espansione:
- Usato Nelle istruzioni.
- Nelle costruzioni in cui si vuole portare a tema l’azione o l’evento espressi dal
verbo.
- Nel foreigner talk.
- Nelle tematizzazioni
7. Altre tendenze del sistema verbale
➔ Quanto alla diatesi – cioè al rapporto del verbo con il soggetto o con l’oggetto – il passivo
è usato solo nei testi scritti mediamente o altamente formali, e nel parlato più formale. Di
norma le forme passive sono trasformate in passive, per lo più con soggetto impersonale.
(Ex: è stato investito → l'hanno investito.) Per fare il passivo, oltre al verbo essere, è
molto usato il verbo venire o andare. Nel neo-standard è molto curata l’espressione delle
modalità e dell’aspetto verbale. Questo comporta anche un aumento nell’uso delle
perifrasi.
- Stare + gerundio: esprime un aspetto non abituale ma continuo (sto mangiando),
un aspetto progressivo che riguarda il processo del ricordare nel corso del suo
svolgimento (non mi sto ricordando). Probabilmente la diffusione di questo
costrutto è agevolata dalla diffusione dell’inglese.
- Stare a + infinito: esprime un aspetto durativo (Ex: stavo a mangiare).
- Non stare a + infinito: esprime un aspetto durativo in forma negativa (Ex: non
stare a sottilizzare).
- Modalità deontica: Ex: questo sacrificio va fatto.
- Modalità epistemica: Ex: ne avevo la possibilità, e l’ho fatto.
8. Usi del “che” (polivalente)
➔ Per una frase principale e una subordinata l’italiano prevede una gamma molto ampia di
congiunzioni, preposizioni e locuzioni. Nell’italiano comune sono in atto processi di
semplificazione, che operano in due direzioni: riducono il numero di congiunzioni più
usate e semplificano le regole d'uso. Il che è diventata ormai una congiunzione passe-
partout e può introdurre frasi con valore di:
- Relative temporali: (Ex:il giorno che ci siamo incontrati.)
- Causali: (Ex: sbrigati, che è tardi.)
- Finali: (Ex: vieni, che ti lavo.)
- Consecutive: (Ex: vieni, che ti possa lavare.)
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➔ Ma la gamma di usi del che è molto vasta, è comprende anche l’introduzione di pseudo-
relative (la vedo che sorride!), di costruzioni enfatiche (che bella che sei!), di avvio
dell’interrogazione (che, vuoi uscire con questo freddo?). La grande ampiezza e varietà di
impieghi del che giustifica la denominazione di “che polivalente”. Questa estensione d'uso
è molto accentuata nell’italiano popolare. Molto probabilmente questi usi erano diffusi
nel parlato, ma il loro impiego nella scrittura fu stigmatizzato dall’affermazione dello
standard fiorentino, nel quale non erano previsti. Si spiega così il fatto che tornino alla
luce solo ora, che lo scritto tende ad avvicinarsi al parlato e dunque ad adottarne le
strutture.
9. Pronomi
Obliqui
➔ Il sistema dei pronomi in italiano è molto complesso: per questo motivo, da quando
l’italiano si è avviato a divenire lingua di tutti proprio i pronomi sono stati investiti da ampi
processi di semplificazione e di regolarizzazione.
- I pronomi soggetto egli/ella ed essi/esse tendono a essere sostituiti
rispettivamente da lui/lei e loro. Tuttavia la sostituzione è diversa nello scritto e
nel parlato: nel parlato ella è del tutto scomparso ed egli è rarissimo; invece nello
scritto egli resiste, accanto a lui/lei.
- Nel complemento di termine il vecchio standard prevedeva un sistema a cinque
forme, che si è ridotto a due: le e gli.
- Ha avuto un forte incremento l'uso (pleonastico) del ne, soprattutto collegato a
dislocazioni a destra e a sinistra (Ex: di questo argomento ne abbiamo già parlato).
- Fra i pronomi e gli aggettivi dimostrativi il mutamento più evidente è la
sostituzione generalizzata della serie a tre membri questo/codesto/quello con la
serie a due membri questo/quello. L’uso orale di codesto è oggi fortemente
marcato in diatopia (toscano), mentre l’uso scritto è marcato in diamesica
(corrispondenza tra enti e uffici) e in diafasia (è esclusivo della lingua della
burocrazia).
- Ciò è soppiantato da questo/quello nel parlato. Nello scritto le cose vanno
diversamente: questo e quello col significato di ciò sono connotati come forme
colloquiali.
- L’uso di il quale/la quale è limitato ai testi scritti più formali; negli altri usi si usa
che o a cui, di cui, per cui ecc.
10. Coniugazioni
➔ Anche il quadro delle coniugazioni subordinanti è molto ricco e complesso, e anche esso
subisce fenomeni rilevanti di semplificazione:
- Per introdurre le finali, accantonato l'affinchéé, si usa quasi solo il per e il perchéé.
- Per introdurre le causali non si usa più giacchéé, e si usa poco poichéé. Tutte e due
sono stati sostituiti da siccome e dato che. Si sente spesso anche visto che.
- Per introdurre le consecutive si usa spesso così.
- Per introdurre le interrogative, accanto a perchéé?Si usa anche come mai?
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