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Temi del Concilio di Trento, 1545-1563




La risposta della Chiesa a Calvino e agli altri fu data nel concilio di Trento (1545-1563). Obiettivo primo fu quello di ribadire la dottrina ortodossa, derivante dalla doppia fonte della Tradizione scritta e orale (nonostante Lutero non l’avesse accettata). E se Lutero rivendicava la possibilità ad ognuno di interpretare la Scrittura i padri conciliari parlano dei riformati come di “ingegni petulanti” che distorcono il senso originale della Scrittura e devono essere frenati. A proposito del peccato originale il concilio è d’accordo nell’affermare che esso si tramandi di generazione in generazione, ma non accetta che con esso sia stato completamente ucciso il libero arbitrio. È chiaro che ad esso va aggiunto il desiderio da parte di Dio che tutti gli uomini siano salvi, quindi la sua salvezza gratuita che l’uomo è libero di accogliere o rifiutare. Ma se l’uomo pretende di salvarsi solo attraverso il dono gratuito di Dio sentendosi giustificato anche nel compiere il male sia anatema. Anche perché accogliere con fede i doni di Dio e il messaggio di Cristo porta necessariamente all’imitazione di Cristo e alla sua sequela nelle opere quotidiane. Questo vuol dire che sia la grazia sia le opere sono indispensabili alla vita eterna. Dunque la dottrina del sola fide viene bruscamente condannato.
E con essa anche quella della predestinazione. Ma a proposito di questo tema i padri parlano di un “arcano mistero” e piuttosto di formulare una teoria in positivo, si limitano a condannare alcuni errori. Il concilio infatti condanna da una parte il fatto che sia Dio l’unico autore delle azioni degli uomini  e che lui disponga per loro di quello che dovranno fare negando così ad essi la loro libertà; dall’altra parte non accetta il fatto che la grazia sia concessa solo  coloro che Dio decide di predestinare. Ad ogni modo però il concilio non si esprime a favore della vera dottrina.

Tratto da STORIA DELLA FILOSOFIA MODERNA di Carlo Cilia
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