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LE ORIGINI DELLA GUERRA FREDDA


mancato adempimento degli accordi di Yalta
passaggio da Roosevelt a Truman
richiesta sovietica di prestiti agli USA
questione tedesca
E’ errato accusare Roosevelt (accusato di essere stato molle e arrendevole perché tanto aveva un piede nella fossa) di aver venduto l’Europa a Stalin a Yalta: infatti la conferenza è all’origine della guerra fredda non tanto per le spartizioni territoriali che essa determina, quanto per il mancato rispetto degli accordi in essa siglati.
Al momento di Yalta Stalin già possedeva la Polonia ed è Stalin a fare concessioni a Roosevelt promettendo elezioni libere. Roosevelt prima di morire aveva sollecitato Stalin con una lettera a rispettare la Dichiarazione Europa liberata.
Roosevelt muore il 12 aprile 1945: il giorno stesso TRUMAN prende la carica di Presidente degli Stati Uniti. Ciò determina un grosso cambiamento nella percezione sovietica, poiché per Stalin viene meno l’interlocutore che ha avuto durante tutto il conflitto mondiale. Comunque Truman è ben attento a non cambiare la rotta del suo predecessore, infatti si circonda degli stessi uomini che circondavano Roosevelt.
Tuttavia Truman è poco esperto in politica estera e dà credito a chi chiede più fermezza e ostilità con l’Urss.
Tra il 25 aprile e il 26 giugno 1945 si tiene la CONFERENZA DI SAN FRANCISCO, durante la quale viene approvata la Carta dell’ONU, firmata da 51 stati; ciò è particolarmente importante per gli USA, poiché la firma della Carta porta a compimento il progetto di Roosevelt. L’organizzazione che prende vita, che ha il compito primario di “mantenere la pace e la sicurezza internazionale (art.1)”, è così composta: un’Assemblea generale, il Consiglio di sicurezza (con le modalità di voto stabilite a Yalta) composto da 11 membri (poi 15) dei quali 5 permanenti, gli altri eletti a rotazione ogni due anni; il segretario generale.
Conclusasi la vicenda ONU a San Francisco, segue l’ultima delle grandi conferenze interalleate, quella conclusiva dopo la resa della Germania e prima della resa del Giappone: alla CONFERENZA DI POTSDAM (17 luglio – 2 agosto 1945) Stalin è ancora presente, ma al posto di Roosevelt vi è il più coriaceo Truman, e Churchill è sostituito, dopo il 25 luglio, da Attlee, il leader laburista che vince le elezioni in Gran Bretagna grazie ad un programma che punta alla ripresa (proposta di welfare state che si concentri sui problemi interni); cambiano gli interlocutori, perciò tendono ad affiorare con facilità recriminazioni e reciproci sospetti. Gli argomenti di discussione a Potsdam:
Polonia: il confine con la Germania viene stabilito lungo la linea Oder-Neisse;
Germania: viene confermata la divisione in quattro zone, ma si stabilisce che una commissione alleata di controllo coordini amministri il paese come un’unica entità economica; anche Berlino, nel cuore della zona sovietica, viene divisa in quattro zone di occupazione. Quanto alle riparazioni, Truman è assai meno morbido di Roosevelt: esse devono essere pagate in termini di risorse e relativamente a quanto sia possibile; ma poichè la zona sovietica è la meno industrializzata, si prevede che i sovietici possano ricevere sino al 15% degli impianti in eccesso esistenti nelle altre zone. Quanto all’amministrazione economica unitaria, essa si rivela ben presto impossibile, vista l’enorme diversità tra il sistema economico sovietico e quello americano. La disparità di ripresa tra la Germania occidentale e quella orientale viene presto a galla, dunque perché l’Unione Sovietica insiste nel portare avanti tale politica? Perché necessita veramente delle riparazioni ai fini della propria ripresa; l’URSS aveva infatti già accennato a chiedere prestiti agli USA sin dal 1942, ma l’idea viene ripresa in varie occasioni, fino a che, poco prima della conferenza di Yalta, Molotov illustra all’ambasciatore degli Stati Uniti la precisa proposta sovietica: un prestito di 6 miliardi di dollari. All’interno dell’amministrazione americana il segretario del tesoro Morgenthau è favorevole ad un prestito di 10 miliardi (non a caso pari alla domanda di riparazioni tedesche formulata da Stalin a Yalta), ma è lo stesso Harriman, dopo la morte di Roosevelt e in considerazione del comportamento sovietico in Polonia a irrigidirsi e a far valere la necessità che il prestito sia accompagnato da precisi accordi politici internazionali: il rispetto delle condizioni di Yalta. Il commento di Stalin è uno solo: gli USA utilizzano il loro potere economico per fare ricatti sul piano politico: i sovietici scelgono perciò di provvedere da soli alla ricostruzione e diventano sempre più ostili a ogni ipotesi americana di collaborazione; Stalin darà il via a piani economici quinquennali, facendo discorsi del tipo ce la faremo da soli;  interpretati come dichiarazione di guerra fredda.
Giappone: La svolta si ha dopo il successo, del primo esperimento di un ordigno nucleare bellico;  il 26 luglio 1945 a Potsdam i governi degli USA, della GB e della Cina inviano un pesante ultimatum a Tokyo, nel quale fanno allusione ai rischi impliciti nella prosecuzione delle ostilità, senza però rendere esplicita la minaccia atomica. Stalin non firma l’ultimatum non perché c’è l’intenzione degli anglo-americani di escludere i sovietici, ma perché l’URSS non si trova in stato di guerra contro il Giappone: l’atomica non è lanciata in funzione antisovietica, ma per chiudere rapidamente questione giapponese. Il Giappone rifiuta la resa (no garanzie su prosecuzione impero): il 6 agosto il primo ordigno nucleare viene sganciato su Hiroshima; l’8 agosto l’URSS dichiara guerra al Giappone; il 9 agosto una nuova bomba viene sganciata su Nagasaki; il 2 settembre, viene firmato l’armistizio. Il 12 settembre cessano le ostilità in Corea ed il paese viene diviso in due zone d’occupazione: quella sovietica a nord del 38° parallelo e quella americana a sud del parallelo stesso.
La vittoria americana sul Giappone influisce sulla posizione sovietica per vari motivi. Stalin non viene privato di ciò che gli è stato promesso a Yalta, ma l’importanza del successo americano sta nel fatto che gli USA mostrano di poter dominare non solo l’Atlantico e l’Europa, ma anche il Pacifico e l’Asia.
Alla fine della guerra gli Stati Uniti sono una potenza mondiale, poiché hanno già proiettato la loro potenza su tutto il globo e in tutti i campi; l’Unione Sovietica è una potenza dalle enormi dimensioni geografiche e dalle immense riserve di materie prime ma con gravi problemi di ricostruzione materiale e di definizione degli obbiettivi globali; mentre l’egemonia statunitense e l’occupazione militare dei paesi ex nemici avviene senza che le popolazioni interessate avvertano odio per gli oppressori, l’egemonia sovietica viene esercitata in modo oppressivo. Tuttavia dagli archivi sovietici emerge che non ci sia mai stato un progetto per assicurare a Mosca il controllo totale degli stati dell’Europa dell’est, ma sembra che la SATELLIZZAZIONE sia stata il risultato delle particolari circostanze di ogni paese e della volontà del dittatore di garantire in tutti i modi la sicurezza e la potenza dell’Unione Sovietica. Tuttavia sembra che Stalin prema per ottenere un dominio incontrastato soprattutto nei tre paesi collocati nella regione strategicamente vitale al di là delle frontiere occidentali della Russia:
POLONIA: viene davvero costituito un governo di coalizione secondo le intese di Yalta, ma le elezioni del gennaio 1947 vengono alterate in modo tale da assegnare al “blocco democratico”, i comunisti, il 90% dei voti; ormai è un regime a partito unico.
ROMANIA: dopo lo scioglimento di tutti i partiti tranne il Partito socialdemocratico che si fonde con il Partito comunista, e dopo l’abdicazione e l’esilio di re Michele, nel 1948-49 la Romania è uno stato satellite a tutti gli effetti, guidato da Groza.
BULGARIA: quando l’Armata rossa abbandona il paese alla fine del 1947, si lascia alle spalle un regime a partito unico guidato dal militante comunista Dimitrov.
Sugli altri paesi dell’Europa orientale Stalin sembra, almeno inizialmente, non intenzionato a rafforzare eccessivamente la morsa comunista:
UNGHERIA: alle libere elezioni nazionali del 1945 vince il Partito dei piccoli proprietari, il cui leader Nagy diventa Primo ministro a capo di una coalizione di governo in cui i comunisti occupano ruoli subalterni. Tuttavia alla metà del 1946 le tensioni politiche tra Washington e Mosca sono cresciute a tal punto che il Cremino ritiene necessaria la permanenza di un governo amico a Budapest: nel maggio 1947 Nagy è costretto a dimettersi e nel maggio 1948 un’elezione truccata assicura la vittoria schiacciante del Fronte di Indipendenza Nazionale controllato dai comunisti.
CECOSLOVACCHIA: il Presidente Benes, rientrato dall’esilio londinese nella primavera del 1945, mantiene relazioni cordiali con l’Unione Sovietica, volendo fare del proprio paese un ponte tra est e ovest. Nel dicembre 1945 tutte le forze armate sovietiche abbandonano il paese, lasciandosi dietro un governo di coalizione che opera secondo procedure indiscutibilmente democratiche.
JUGOSLAVIA: il leader della resistenza jugoslava Tito, alla fine della guerra nuovo “padrone” di Belgrado, gode di uno status singolare tra i governanti comunisti dell’Europa dell’est per due motivi: in primo luogo ha colmato il vuoto politico lasciato dai tedeschi senza un’assistenza decisiva da parte dell’Unione Sovietica; in secondo luogo nutre ambizioni regionali radicate nella realpolitik più che nella classica ortodossia comunista; progetta un’ampia federazione che riunisca l’intera penisola balcanica sotto l’egemonia jugoslava, includendo Albania, Bulgaria e la provincia settentrionale della Grecia. Inizialmente Stalin chiude un occhio di fronte al tentativo di Tito di perseguire una politica estera indipendente e aggressiva, ma durante l’inverno 1947-48 denuncia la proposta di un trattato bilaterale di amicizia tra Jugoslavia e Bulgaria e critica l’appoggio jugoslavo alla rivolta comunista greca; finchè nel giugno 1948 a Bucarest, durante un incontro del Cominform, i delegati denunciano la Jugoslavia per aver sfidato Mosca e la espellono. Probabilmente la conseguenza più significativa dell’uscita di Tito dalla sfera sovietica è l’aumento dell’ansia ossessiva di Stalin riguardo alle possibili opposizioni alla sua autorità all’interno del suo stesso blocco.
Quella che per Stalin è una prudente strategia per costruire una barriera difensiva, nel tentativo di proteggere le vulnerabili frontiere occidentali della Russia attraverso un “cordone sanitario” di servili stati cuscinetto, comincia ad essere interpretata dall’amministrazione Truman come il primo passo di una campagna russa per acquisire il controllo dell’intero continente europeo. In questo clima di profonda diffidenza reciproca, ritorna a galla la QUESTIONE TEDESCA: sulla base dell’impossibilità di esercitare un’amministrazione unitaria della Germania, nel febbraio 1946 il segretario di stato americano Byrnes fa circolare l’idea di un patto venticinquennale di garanzia contro la rinascita del militarismo tedesco. A seguito del rifiuto di Molotov, il progetto non va in porto, tuttavia esso rappresenta un importante capovolgimento di prospettiva americana, perché avrebbe significato la presenza di forze militari sul territorio (mentre l’ipotesi iniziale prevedeva il rapido ritiro di tutte le forze statunitensi dal continente europeo). A ciò segue una dichiarazione di Stalin il 9 febbraio 1946 in occasione del discorso elettorale: egli annuncia minacciosamente che il mondo è ormai diviso in due schieramenti ostili, comunista e capitalista, destinati a scontrarsi. Una settimana dopo l’URSS sembra confermare la svolta aggressiva della politica estera sovietica, poiché rifiuta di entrare a far parte del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, istituite nell’estate 1944 alla Conferenza di Bretton Woods. Negli Stati Uniti la percezione negativa dei messaggi provocatori provenienti da Mosca sfocia nel TELEGRAMMA KENNAN: Kennan, diplomatico che ha passato gran parte della sua carriera all’ambasciata statunitense a Mosca, il 22 febbraio 1946 invia ai suoi superiori a Washington un telegramma, proponendosi di spiegare le origini del crescente atteggiamento bellicoso dell’Unione Sovietica nei confronti dell’Occidente; i tradizionali nemici della Russia, Germania e Giappone, sono stati sconfitti, perciò Gran Bretagna e Stati Uniti devono ora essere trasformati da alleati di guerra in pericolosi nemici, al fine di giustificare la repressione interna del regime. Il “lungo telegramma” ha un effetto scioccante sull’amministrazione Truman, ed implica la necessità di una radicale riconsiderazione della politica statunitense nei confronti dell’Unione Sovietica. Dopo la sua sconfitta elettorale alla fine della guerra Churchill, sentendo la necessità di una collaborazione anglo-americana in chiave antisovietica, il 5 marzo 1946 pronuncia un famoso discorso: “Da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico una cortina di ferro è scesa sul continente.”
Kennan annuncia che è necessaria una politica di contenimento e paragona Urss a un virus.
La svolta americana riguardo la questione tedesca si ha il 6 settembre 1946 con la DICHIARAZIONE DI STOCCARDA: Byrnes rende manifesto il nuovo impegno statunitense nei confronti della Germania, riguardo la quale non può esserci una soluzione unitaria; l’esercito americano sarebbe rimasto sul territorio tedesco per tutto il tempo in cui sarebbe rimasta l’Armata rossa, abdicando del tutto l’idea di un rapido ritiro. I russi interpretano il gesto come intenzione Usa di conquistare il mondo.
Nel frattempo, dopo l’estate 1946, la GRAN BRETAGNA entra nella sua più profonda fase di crisi, ulteriormente aggravata dall’inverno più freddo nella storia del paese. Il Foreign Office britannico rende nota la decisione di sospendere la convertibilità della sterlina, introdotta solo pochi mesi prima, e non solo di tagliare tutti gli aiuti finanziari, ma anche di ritirare tutte le truppe britanniche da Turchia e Grecia:
in TURCHIA Stalin preme per il controllo congiunto turco-sovietico degli Stretti, vitali per la sicurezza sovietica e per avere uno sbocco sul Mar Nero. Il declino dell’influenza britannica in Turchia lascia spazio all’intervento di Washington, che interpreta la pressione sovietica come volontà di ottenere libero accesso al Mediterraneo: perciò Truman invia la portaerei più potente della flotta statunitense e rinforza la presenza navale nell’area. Ciò incoraggia il governo turco a resistere, nella determinazione a mantenere il controllo esclusivo degli Stretti;
in GRECIA regna una situazione politica caotica: dopo il ritiro tedesco e l’arrivo delle truppe britanniche nell’ottobre 1944, appena risulta evidente che le autorità britanniche stanno per riportare al potere ad Atene il governo monarchico in esilio, l’Esercito comunista greco di liberazione popolare (ELAS) ed il Fronte di liberazione nazionale (EAM) organizzano un’insurrezione. Stalin, nel rispetto della considerazione della Grecia come zona di interesse britannico, ignora le richieste d’aiuto dei comunisti greci. Nel febbraio 1945 c’è un cessate il fuoco e nel marzo 1946 il Partito popolare monarchico assume il potere, assicurando un orientamento di governo conservatore e filobritannico. Ma le forze comuniste riprendono le armi, e nella primavera 1946 iniziano a ricevere aiuti da Jugoslavia, Bulgaria e Albania. Gli USA vedono la rivolta greca come un altro esempio dell’ingerenza sovietica, ma in realtà Stalin non aiuta direttamente i ribelli greci sia perché diffida delle rivoluzioni comuniste che non è in grado di controllare direttamente (caso simile è quello cinese), sia perché comprende che USA e GB non avrebbero permesso la creazione di un regime nemico in un paese così strategico.
Il 12 marzo 1947 Truman tiene uno storico discorso, formulando la DOTTRINA TRUMAN;  impegno incondizionato di assistenza statunitense ai paesi che in ogni angolo del mondo siano minacciati sia da un’aggressione esterna da parte dell’Unione Sovietica sia da una rivolta comunista interna sostenuta da Mosca.

Tratto da STORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Alice Lavinia Oppizzi
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