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La mimesis denaturalizzata


Abbiamo detto che la teoria letteraria ha proscritto la mimesis, eppure per proscriverla si è fatta massiciamente scudo di Aristotele, che però teneva la mimesis in grande considerazione. Come è accaduto ciò senza farla apparire come una operazione illecita? Naturalmente stravolgendo il senso del termine MIMESIS; solo così era possibile una poetica autoreferenziale che si rifacesse a lui.
- Aristotele: la mimesis è il verosimile, ed è il verosimile in senso naturale; è cioè il possibile.
- Moderni: la mimesis è sempre il verosimile, ma il verosimile in senso culturale; è cioè l'opinione L'opinione non deve rifarsi alla realtà; il possibile si.
Aristotele designava come MIMESIS una nozione più generale di quella data da Platone, che la considerava il discorso diretto. La nozione di Aristotele ricopriva sia il dramma, sia il racconto o la narrazione, ricopriva cioè sia le forme del modo diretto sia le forme del modo indiretto. Da allora si convenne che l'estensione aristotelica della mimesis al complesso dell'arte poetica coincide con una banalizzazione di tale concetto, che definisce qualunque attività imitativa, qualunque poesia, qualunque letteratura come imitazione.
Ecco dunque la concettosa tesi della teoria letteraria: l'imitazione in generale non riguardava inizialmente la MIMESIS (che tra le altre cose Aristotele non definisce mai); a causa di una interpretazione sbagliata si è fatta portare a questa parola il peso della riflessione plurisecolare sui rapporti tra letteratura e realtà. Ma come dimostrare questa tesi?
Nella Poetica Aristotele non menziona mai oggetti della mimesis che non siano le azioni umane; in altri termini, Aristotele mantiene un legame forte e privilegiato con l'arte drammatica, e a rientrare nel campo della MIMESIS, nella epopea come nella tragedia, è il racconto in quanto MIMESIS dell'azione, quindi la narrazione e non la descrizione.
Aristotele sembra confermare questa teoria quando dice che la tregedia non è imitazione di uomini ma imitazione di un'azione. La Poetica non mette mai dunque l'accento sull'oggetto imitato o rappresentato,ma sull'oggetto che imita o che rappresenta, cioè sulla tecnica della rappresentazione, sulla strutturazione del mythos, del racconto. Quello che ad Aristotele interessa è la composizione, la sintassi che organizza i fatti in storia e finzione.
Da questo deriva l'oblio della poesia lirica, che è priva di finzione. Escludendo la poesia lirica, Aristotele dimostra che non vuole rendere conto dei rapporti tra letteratura e realtà, ma della produzione della finzione poetica verosimile. Dunque la mimesis è la rappresentazione di azioni umane per mezzo del linguaggio e a interessarlo è l'organizzazione narrativa dei fatti a costituire una storia: la poetica è in realtà una narratologia.
Secondo i teorici della letteratura, la Poetica di Aristotele intendeva parlare della SEMIOSIS e non della MIMESIS, della NARRAZIONE e non della DESCRIZIONE. La Poetica è diventata l'arte della costruzione dell'illusione referenziale. La referenza della MIMESIS è passata dalla natura alla letteratura, alla cultura, all'ideologia. Non era comunque uno slittamento inedito. Aristotele già si poneva il problema, dicendo che l'opera del poeta non consiste nel riferire gli eventi reali, ma i fatti che possono avvenire e i fatti che sono possibili, nell'ambito del verosimile e del necessario.
Del necessario, vale a dire del naturale, Aristotele dice poco; del verosimile, vale a dire dell'umano, dice qualcosa di più. Il verosimile è ciò che è suscettibile di persuadere. I teorici alterano però questa deduzione privandola delle sue radici: il verosimile non è ciò che può accadere nell'ordine del possibile ma ciò che l'opinione comune ritiene accettabile, ciò che è endossale, e NON paradossale. Ma le basi del ragionamento aristotelico si basavano sul fatto che in età classica il verosimile era alleato delle buone maniere, come coscienza collettiva del decoro, o di ciò che era conveniente, e dipendeva manifestamente da una norma sociale.

Tratto da TEORIA DELLA LETTERATURA di Gherardo Fabretti
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