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Come possono prepararsi gli Stati Uniti al contesto dopo-Guerra Fredda?

Come possono prepararsi gli Stati Uniti al contesto dopo-Guerra Fredda? 

Storicamente, afferma Joffe, si possono distinguere 2 modelli di gestione del potere: in generale, le grandi potenze devono curare un interesse prima di tutti = proteggersi contro i loro avversari, sia reali sia potenziali. Questo hanno fatto la Gran Bretagna e la Germania di Bismarck, e questo è quello che devono fare gli Stati Uniti. 
− Modello “Gran Bretagna”(= modello della potenza insulare): dopo la sconfitta dell’Armada spagnola nel 1588, e certamente dopo il Trattato di Utrecht (1713), che bloccò l’ambizione di Luigi XIV, la Gran Bretagna fu, per 2 secoli, la prima indiscussa potenza, inattaccabile in patria, sebbene molto più vulnerabile fuori. Nell’Europa sconvolta dalle lotte per la supremazia, la Gran Bretagna manipolò tutta una serie di coalizioni pensate per bloccare il potenziale egemone di turno: la Spagna asburgica, la Francia dei Borboni e dei Bonaparte, la Germania degli Hohenzollern e di Hitler ⇒ la Gran Bretagna non si mostrò certo esigente nella scelta degli alleati “di turno”. 
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La strategia britannica può essere riassunta come anti-egemone senza impicci, mentre la gran strategy britannica può essere caratterizzata da 4 preferenze: 
 - sea power rispetto al land power: il vantaggio di essere un’isola e di poter prevenire qualsiasi attacco grazie al controllo dei mari da parte della Royal Navy erano pressoché una condizione unica; 
 - combinazioni flessibili rispetto ad alleanze permanenti; 
 - equilibrio rispetto a conquista: questa “regola” riduceva i costi futuri evitando di creare nemici permanenti 
 - intervento rispetto a impiccio. 

Questa strategia ebbe un successo straordinario, tanto che garantì alla Gran Bretagna lo status di prima potenza per circa 2 secoli. In più, fino alla Prima Guerra Mondiale, nella quale la Gran Bretagna perse in pratica un’intera generazione nelle trincee, tale strategia fu anche economica. 

Certamente, questo modello presenta alcune analogie con la situazione degli Stati Uniti: anch’essi si preoccupano della “sicurezza al loro cuore”. Inoltre, dopo la bipolarità, anche gli Stati Uniti aspettano che si crei una tendenza precisa prima di intervenire direttamente. 
Ci sono però anche delle differenze: la Gran Bretagna non era molto capace di identificare le minacce future. Per l’America, oggi, questo riconoscimento è ancora più difficile, per 2 motivi: 
 - il contesto è sempre più segmentato che omogeneo: la Gran Bretagna doveva affrontare solo una minaccia, proveniente dall’Europa. Oggi, invece, l’America deve affrontare minacce provenienti da 3 diversi scenari: l’Eurasia, il Medio Oriente e l’Estremo Oriente. 
 - gli equilibri intra-regionali sono molto instabili: l’Europa da sola non sarebbe in grado di bilanciare la ricrescita della potenza russa, mentre il Medio Oriente non è in grado di equilibrarsi da solo, come chiaramente dimostrato dalla Guerra del Golfo. 
Solo gli USA hanno le capacità di mantenere un certo equilibrio all’interno di questi 3 scenari, cosa che li priva di quel grande vantaggio che, contrariamente, aveva la Gran Bretagna = la possibilità di tenersi alla larga. Da questo punto di vista, gli USA sono sia fortunati (perché da soli sono in grado di gestire gli equilibri regionali), ma anche sfortunati (perché non possono ritirarsi e riapparire a loro piacimento, come faceva la Gran Bretagna). 

− Modello “Bismarck” (= modello della sicurezza nazionale): la Germania di Bismarck fu certamente l’attore più potente in Europa dopo il 1871, ma che doveva sempre essere all’erta, per evitare che si creasse una coalizione anti-tedesca ⇒ non a caso, si parla del Secondo Reich come di una potenza “semi-egemonica” = troppo debole per restare da sola, ma troppo forte per essere lasciata da sola. 
Joffe identifica 3 handicap di cui soffriva la nuova potenza tedesca: 
 - in quanto “ultimo arrivato” al tavolo della grandi potenze, mancava di legittimità 
 - sconvolse la distribuzione di potere nell’Europa centrale, minacciando, con la sua presenza, gli Stati vicini 
 - data la vulnerabilità dei suoi confini, la nuova Germania doveva gestire un mix destabilizzante di capacità, per cui l’offesa era meglio della difesa. 

In una simile situazione, una politica di isolazionismo à la Gran Bretagna era pressoché impossibile. La soluzione venne dal cosiddetto Kissinger Diktat = la creazione di una situazione politica universale in cui tutte le potenze, eccetto la Francia, avevano bisogno della Germania, e in cui esse vengono trattenute il più possibile dal formare coalizioni anti-tedesche. 
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Nel 1883, la rete di alleanze abilmente costruita da Bismarck copriva in pratica mezza Europa. Lo scopo di questa “pattomania” non era di aggregare la potenza dei vari Stati, quanto piuttosto di svalutarla: se tutti, eccetto la Francia, erano bloccati da questa rete di alleanze, ciascuno sarebbe rimasto al suo posto. 

La strategia di Bismarck ebbe successo per circa 20 anni. 

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Alla luce delle caratteristiche di questi 2 modelli, Joffe si chiede se gli Stati Uniti saranno più “Bismarck” o “Gran Bretagna”. 
A prima vista, il modello “Gran Bretagna” sembrerebbe il più adatto alla situazione americana: anche gli USA sono un’isola e preferiscono il sea power al land power. 
Viceversa, il modello “Bismarck” non sembra molto pertinente: gli USA, infatti, non soffrono di nessuno dei 3 handicap presenti nel Secondo Reich. 
Eppure, il modello “Gran Bretagna” cade su almeno 2 punti: 
1. l’equilibrio “intermittente”, di breve durata per definizione, non può funzionare di fronte a minacce di lungo periodo. E in effetti, le principali minacce all’America sono distanti ed ambigue; 
2. una “negligenza benigna” come quella inglese funziona solo quando gli equilibri regionali sono in grado di autogarantirsi. Ma, come già detto, oggi i 3 principali teatri regionali sono incapaci di autogestirsi (e il Medio Oriente è l’esempio più lampante). 

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La migliore strategia sembrerebbe essere quella di assicurazione piuttosto che di intrusione. 
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Il “modello Bismarck” può essere visto sotto una luce diversa ⇒ gli USA sembrano oggi nella posizione della Germania di Bismarck ⇒ la strategia ideale sarebbe quella di mantenere buoni rapporti con i possibili contendenti, più di quanto essi non mantengano tra di loro. Si tratta, insomma, di adottare una strategia di bandwagoning con gli altri, per evitare che essi adottino una strategia di balancing contro gli stessi USA. 
Per quanto riguarda la NATO, secondo Joffe gli USA dovrebbero continuare a fornire all’Europa quei beni collettivi che, da sola, non è in grado di procurarsi. In effetti, supportare questo carico ha comunque i suoi vantaggi: essi, infatti, creano una certa domanda per i servizi che offrono, la quale può essere trasformata in profitto politico o, detto altrimenti, in leadership. 
In particolare, 3 sono i tipi di beni collettivi che gli USA dovrebbero fornire: 
1. gli USA dovrebbero agire come protettori regionali, provvedendo alla sicurezza di quegli attori, come il Giappone, la Cina, l’Europa occidentale, che tenterebbero di creare la propria sicurezza convertendo la loro potenza economica in arsenali militari; 
2. gli USA dovrebbero agire da pacificatori regionali, inibendo dunque le tendenze conflittuali e promuovendo invece quelle cooperative; 
3. gli USA dovrebbero universalizzare una struttura tipo “mozzo e raggi”: in questo modo, gli attori regionali restano legati al centro, affidandosi all’aiuto americano per controbilanciare le sfide regionali. 

Come per la Germania di Bismarck, il rischio per gli USA è quello di trovarsi isolati (come previsto già un decennio fa dall’articolo La potenza solitaria di S. Huntington). Già negli anni ’90, infatti (⇒ prima dell’11 settembre) gli USA si sono trovati isolati a seguito di alcune loro scelte, come 
− l’abolizione del trattato sugli ABM 
− la non partecipazione alla Corte Penale Internazionale 
− il rifiuto del Comprehensive Test Ban Treaty. 
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Mano a mano che gli alleati si coinvolgevano in iniziative multilaterali, gli USA si sono via via staccati, assumendo un profilo sempre più autonomo. 
Anche I. H. Daaler afferma che i rapporti tra gli USA e l’Europa sono profondamente cambiati. La conseguenza più importante è quella che lo studioso definisce la fine dell’Atlanticismo = le politiche estere americana ed europea non sono più incentrate dell’alleanza transatlantica come lo erano in passato ⇒ questo significa che è necessario trovare una nuova base per i rapporti euro-americani, per evitare una loro rottura. La rottura effettiva è ancora una possibilità alquanto remota. Tuttavia, molto dipende dalla condotta politica dell’amministrazione Bush: infatti, bisogna notare che la politica unilaterale, nonché lo stile personale del Presidente Bush hanno insoddisfatto non poco gli alleati europei, e la conclusione della questione irachena molto probabilmente rappresenterà, per Daaler, un test decisivo per i rapporti euro-americani. 
Per più di mezzo secolo, la politica estera americana ed europea sono state sviluppate attorno all’asse transatlantico: 
− per l’America, l’Europa era sia il luogo sia il focus dello scontro con l’Unione Sovietica; 
− per l’Europa, l’America era il guardiano e il protettore, la cui presenza era necessaria per attenuare quelle differenze che avevano portato a 2 conflitti mondiali. 

MA, con la fine della Guerra Fredda, le prospettive dei 2 alleati si sono allontanate gradualmente: l’America ha un interesse più globale, mentre l’Europa uno più regionale. Gli anni ’90 sono serviti più che altro per consolidare la vittoria nella “Lunga Guerra” ⇒ assieme ai suoi partner europei, Washington ha creato un’Europa pacifica, unita e democratica, e la NATO si è trasformata da organizzazione per la difesa collettiva nella principale istituzione per la sicurezza europea, anche attraverso il suo allargamento (dai 16 paesi della fine della Guerra Fredda si è passati a 26 nel 2004). 
Inoltre, è stato instaurato un nuovo rapporto con la Russia: infatti, nel 2001, la Russia del Presidente Vladimir Putin si è fortemente spostata verso l’Occidente, diventando partner degli USA nella lotta al terrorismo ed instaurando rapporti di collaborazione con la stessa NATO. 
Gli attacchi dell’11 settembre hanno spinto gli USA ancora più lontano dall’Europa ⇒ questa non è più solo uno scenario di scontro, ma potrebbe diventare un partner – forse il principale – degli USA, sostenendone le operazioni di volta in volta intraprese. 
MA, come già accennato, oggi la politica estera europea è sempre più regionale, come dimostra il forte impegno nello sviluppo e nel rafforzamento dell’Unione Europea. 
Queste differenze sono ancora più evidenti quando andiamo ad osservare i diversi modi in cui America ed Europa percepiscono l’ambiente internazionale: viviamo oggi in un’epoca di politica globale, caratterizzata da 2 fenomeni senza precedenti: 
− il netto predominio degli USA 
− la globalizzazione. 

America ed Europa differiscono fondamentalmente su quale di questi 2 fenomeni sia il più importante: − gli americani – e in particolare l’Amministrazione Bush – ritengono che sarà la supremazia americana a definire il futuro del mondo contemporaneo; 
− per gli europei, il futuro sarà determinato principalmente dal fenomeno della globalizzazione. 

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Ne derivano anche politiche estere assai differenti: 
− l’Amministrazione Bush tende a preferire una linea politica “egemonica”, basata sulla credenza che la preponderanza di potere permetta agli USA di raggiungere i propri obiettivi senza doversi affidare agli altri, il che li porta a anche a vedere con un certo scetticismo tutti gli accordi e le istituzioni internazionali che, in un certo modo, limiterebbero la loro libertà di azione. Gli attacchi dell’11 settembre non hanno che rafforzato questa convinzione; 
− gli europei tendono invece a preferire una linea politica “globalista” = basata sulla cooperazione internazionale, come principale strumento per affrontare le sfide e le opportunità create dalla globalizzazione. 

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L’asse transatlantico è diventato meno centrale nella politica estera di entrambi gli attori: 
− per l’America, l’Europa è un’utile fonte di sostegno per le operazioni americane, ma è oggi meno centrale di quanto non fosse in passato; 
− per i paesi europei, il ruolo protettivo degli USA è diventato superfluo, una volta venuta meno la minaccia sovietica, così come il ruolo pacificatore è diventato meno importante con l’intensificazione dell’integrazione europea. 

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Anche il ruolo della NATO è stato sempre più marginalizzato. Dopo sole 24 ore dagli attacchi dell’11 settembre, gli allora 19 membri della NATO hanno invocato, per la prima volta nella storia dell’organizzazione, l’art. 5 del Trattato del Nordatlantico, invocando il principio della difesa collettiva. MA, a parte l’impegno – puramente simbolico – degli AWACS per sorvegliare gli spazi aerei americani, l’Alleanza non ha concretizzato alcun piano di risposta agli attacchi: i piani per attaccare le basi di al-Qaeda in Afghanistan furono infatti stilati in segreto dai comandanti americani. La coalizione che ne è seguita è stata formata attraverso la cosiddetta dottrina Rumsfeld = è la missione che definisce la coalizione ⇒ piuttosto che costruire un fronte comune, la NATO sembra essere diventata piuttosto un’organizzazione di addestramento da cui gli USA possono attingere di volta in volta alleati, a sostegno di operazioni a guida americana. 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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