I N D I C A T O R I
E C O L O G I C I
Appunti di Martino Raviola
Università degli Studi di Torino
Facoltà: Biologia dell'Ambiente
Corso di Laurea in Biologia dell'Ambiente
Esame: Indicatori ecologici e VIA
Docente: prof.ssa Bona
A.A. 2021/2022
Tesi
online
A P P U N T I
TesionlineINDICATORI ECOLOGICI E VIA 
 
MISURA DELLA QUALITA’ AMBIENTALE 
La metodologia classica prevede un monitoraggio abiotico, quindi di tipo CHIMICO-FISICO:  
• Misura dei potenziali contaminanti presenti nelle diverse matrici ambientali (acqua, suolo, 
biomassa); 
• Misura dei principali parametri chimici o fisici degli ecosistemi (indicatori come PH, O2 etc..) e delle 
loro alterazioni rispetto alle condizioni naturali. 
Applicare un monitoraggio di questo tipo, senza considerare la componente biologica, può rendere difficile 
l’individuazione del fattore responsabile del danno ambientale. Inoltre, non si attribuisce un diretto significato 
ai valori che si trovano, nei confronti dell’ecosistema analizzato; ciò non fornisce quindi indicazioni sulle 
conseguenze dell’alterazione dei parametri analizzati. 
Bioindicatore: Organismo o sistema biologico usato per valutare una modificazione, generalmente 
degenerativa, della qualità dell’ambiente.  
 
A fronte di un’alterazione ambientale si riscontra quindi una risposta 
biochimica/fisiologica/morfologica/corologica (distribuzione) da parte del bioindicatore. Il bioindicatore deve 
avere una correlazione molto stretta con l’ambiente in cui vive, per essere considerato come tale. 
Al monitoraggio abiotico si affianca quindi quello BIOLOGICO: 
• Misura delle alterazioni e degli effetti negli organismi viventi a livello di individuo, popolazione, 
comunità; 
• Misura dei parametri funzionali e strutturali delle comunità; 
• Uso di bioindicatori e indici ecologici/biologici. 
 
Il problema legato a un approccio esclusivamente biologico è l’errata individuazione di una causa, si può 
capire solo l’effetto. 
E’ riconosciuta quindi l’esigenza di utilizzare entrambi gli approcci, in modo tale da comprendere sia le cause 
che gli effetti delle alterazioni ambientali. 
 
INDICATORI ECOLOGICI 
Gli indicatori ecologici rispondono a un disturbo chimico/fisico/biologico in un modo prevedibile. Essi hanno 
tre caratteristiche primarie: 
1. Composizione: Identità e varietà degli elementi (specie) in un certo campione raccolto. Quali taxa 
sono presenti e come sono diversificati nella comunità. 
2. Struttura: Relativa all’organizzazione fisica di un ecosistema, ad esempio la configurazione dello 
spazio o la biomassa. 
3. Funzione: Processi evolutivi ed ecologici in una comunità, come la pressione ambientale agisce sul 
funzionamento dell’ecosistema (capacità di dispersione, produttività etc…). 
 
I bioindicatori devono inoltre avere dei precisi requisiti, quali: 
1. Accessibilità: Devono essere facilmente campionabili perché il biomonitoraggio consiste in una serie 
di misure ripetute e cadenzate nel tempo. 
2. Idoneità bio-ecologica: Devono avere un’ampia distribuzione nell’area di studio, devono essere di 
facile identificazione e bisogna avere una conoscenza riguardo la loro ecologia, anatomia e fisiologia. 
Devono essere dotati di un lungo ciclo vitale e, possibilmente, avere uniformità genetica (non devono 
presentare quindi degli adattamenti ambientali diversi dagli altri componenti della stessa specie). 
Devono essere facilmente reperibili in tutte le stagioni ed avere scarsa mobilità. 
3. Misurabilità: Devono essere soggetti a minimi errori sistematici e essere facilmente utilizzabili per 
quantificare azioni di intervento, costi e benefici. 
4. Rappresentatività: Devono essere chiaramente correlabili con precisi fenomeni o caratteristiche che 
si vogliono controllare. Non devono essere soggetti a fattori di disturbo e devono poter essere 
generalizzabili a situazioni analoghe, anche se non identiche. 
I bioindicatori sono riferiti a organismi o popolazioni, gli indici biotici fanno invece riferimento a comunità ed 
ecosistemi.  
1Le specie indicatrici sono organismi viventi, facilmente monitorabili, la cui condizione può riflettere o 
prevedere le condizioni ambientali in cui vengono trovate.  
 
BIOMONITORAGGIO 
Processo di raccolta sistematica di dati qualitativi e quantitativi eseguita tramite una procedura standardizzata 
definita in un periodo di tempo. La biovalutazione, protratta nel tempo, con scopi precisi di controllo 
dell’ambiente viene definita biomonitoraggio ambientale. 
La biovalutazione differisce dalla misura strumentale perché: 
• Fornisce stime indirette, di minore precisione e oggettività 
• La sua risposta non è selettiva ma sintetizza l’azione di tutte le componenti ambientali; la misura 
strumentale invece è selettiva ma non tiene conto della sinergia degli effetti. La biovalutazione può 
infatti evidenziare effetti combinati delle sostanze su più bioindicatori, consentendo stime incrociate. 
• Il bioindicatore può adattarsi all’inquinamento in più modi (barriere selettive, meccanismi di 
detossificazione etc..) e può quindi falsare la biovalutazione. Gli strumenti di misura non subiscono 
invece variazioni. 
• Le misure dei bioindicatori hanno attività stagionale, gli strumenti funzionano invece tutto l’anno. 
• Il bioindicatore risponde al disturbo in modo differente da individuo a individuo, lo strumento di 
misura è coerente nelle valutazioni. 
• La biovalutazione evidenzia gli effetti di più tipi di inquinanti (anche nuovi), gli strumenti invece 
evidenziano solo gli inquinanti per i quali sono stati progettati. 
• Il biomonitoraggio richiede una preparazione più specializzata. 
• Il bioindicatore può essere usato per valutare parametri non misurabili sperimentalmente 
(complessità biologica, valore ecologico/estetico, processi di accumulo del danno, scoperta di nuovi 
inquinanti etc…). 
• La biovalutazione è meno costosa della misura strumentale 
Quindi, i due tipi di rilevamento si integrano. 
Le FASI DEL BIOMONITORAGGIO sono: 
1. Definizione dell’ OBIETTIVO (Cosa monitorare) 
2. Selezione degli INDICATORI, scelti in base all’obiettivo (Come monitorare) 
3. Disegno dei PUNTI DI CONTROLLO in relazione alla distribuzione nello spazio dei bioindicatori, che 
deve essere tale da fornire indicazioni circa tutte le sfumature del fenomeno e, al tempo stesso, ridurre 
al minimo il numero di località da controllare (Dove monitorare) 
4. Stesura di un PIANO ESECUTIVO, definendo i tempi di raccolta dei dati e della durata dell’azione 
5. Raccolta dei DATI 
6. ELABORAZIONE e SINTESI dei dati raccolti e formulazione di un GIUDIZIO 
Il biomonitoraggio è tanto più efficace e speditivo, quanto più il bioindicatore presenta i requisiti di 
accessibilità, idoneità, misurabilità e rappresentatività. Prima di eseguirlo va verificata la presenza di 
eventuali dati pregressi disponibili. Il campionamento deve essere rappresentativo della realtà che vuole 
descrivere e devono essere definite a priori le modalità dello stesso (numero di campioni, materiale da 
campionare etc…). 
Nel disegno sperimentale di un piano di monitoraggio si usano dei CONTROLLI per eliminare i fattori diversi 
da quelli dell’ipotesi in studio, che possono alterare la risposta del bioindicatore. I controlli negativi sono gruppi 
che differiscono da quelli sperimentali in quanto non sono esposti al fattore che si vuole studiare. 
Negli studi ambientali si esamina l’influenza di uno o più FATTORI (variabili predittive) su una o più variabili 
dipendenti (variabili di risposta); esempi di variabili, ottenute da campioni di osservazioni, sono misure di 
abbondanza/biomassa/diversità. La variabile dipendente è quindi una variabile casuale nelle indagini 
ecologiche: rappresenta un campione di variabili derivate in modo casuale da una distribuzione di frequenza 
di possibili osservazioni. I PARAMETRI più comunemente usati sono media e varianza. 
CAMPIONI RAPPRESENTATIVI 
2Un campione è detto rappresentativo quando l’intero range dei possibili valori della variabile è riprodotto dal 
campione di osservazioni sperimentali. La rappresentatività di un campione è in relazione a: 
• ACCURATEZZA: Se il valore stimato è vicino a quello reale 
• PRECISIONE: Concordanza di un insieme di campioni misurati nelle stesse condizioni. La precisione 
è minore se la variabilità dei dati è alta. La variabilità è misurata tramite la deviazione standard ma 
più comunemente è espressa come coefficiente di variazione (%) (Dev. Standard/Media). 
 
Il criterio su cui si basa il campionamento rappresentativo è la dislocazione casuale delle unità sperimentali 
(Es: dislocazione dei siti di campionamento in un lago). 
Si possono effettuare un CAMPIONAMENTO RANDOMIZZATO o un CAMPIONAMENTO RANDOMIZZATO 
STRATIFICATO. 
BIOMARKERS 
Sono delle variazioni indotte per via xenobiotica in sistemi, processi o funzioni cellulari e biochimiche, 
misurabile in un sistema biologico. Essi sono le risposte (endpoints) di test condotti su organismi, o parte di 
essi, allo scopo di valutare un effetto inquinante. Essi sono: 
• Di ESPOSIZIONE: Danno precise indicazioni sulle sostanze inquinanti interne agli organismi (Es: 
di accumulo). 
• Di EFFETTO: Misurano le risposte biologiche su organismi, popolazioni, comunità o ecosistemi e 
hanno un valore predittivo. 
I Biomarkers usati frequentemente nel biomonitoraggio sono i test ecotossicologici (a livello di popolazione). 
Il BIOACCUMULO si basa su due principi, la bioconcentrazione (assunzione e accumulo dell’inquinante 
direttamente dall’ambiente esterno) e la biomagnificazione (accumulo dell’inquinante attraverso assunzione 
diretta e attraverso il trasporto nella catena trofica, ovvero attraverso la nutrizione di organismi che avevano 
già assunto l’inquinante). La biomagnificazione si riscontra quando il metabolismo e le perdite per escrezione 
sono bassi, e se la sostanza ha un adeguato sito di accumulo nell’organismo (spesso nei lipidi, ma anche nelle 
proteine). Anche se le concentrazioni di inquinanti sono basse a livello ambientale, nei tessuti possono 
raggiungere livelli tossici; alcune concentrazioni possono danneggiare solo alcuni livelli trofici; le 
concentrazioni nei tessuti possono inoltre essere utilizzate come indicatori delle concentrazioni ambientali.  
Un buon bioaccumulatore ha diverse proprietà: 
• Accumula ma resiste all’inquinante 
• E’ scarsamente mobile e facile da localizzare 
• Ha un ciclo vitale lungo 
• Ha una correlazione semplice tra inquinante nei suoi tessuti e in ambiente 
Le sostanze chimiche monitorate nel bioaccumulo sono i metalli pesanti (Zn, Cd, Cu, Pb, Hg), pesticidi, IPA, 
PCB. 
La misura finale di un bioaccumulatore che si misura è un fattore di concentrazione: 
CF=(C S-C C)/C W 
Dove CS=Concentrazione nel tessuto, CC=Concentrazione nel controllo e CW=Concentrazione nel mezzo 
I meccanismi di assunzione (Uptake) sono diversi a seconda della sostanza in considerazione: 
• Metalli pesanti: Accumulati tramite processi passivi lungo gradienti di concentrazione. In alcuni casi 
si ha trasporto attivo attraverso le membrane. 
• Contaminanti organici: La maggior parte è lipofila, l’assunzione dipende quindi dall’equilibrio di 
ripartizione tra fase acquosa e lipidi nei tessuti.  
I vantaggi dell’utilizzo di bioaccumulatori sono l’integrazione delle informazioni nel tempo, concentrazioni più 
elevate rispetto all’ambiente. Gli svantaggi invece prevedono dei tempi lunghi per raggiungere l’equilibrio, il 
fatto che siano soggetti a variabilità biologica e ambientale. 
DALL’INDICE BIOTICO ESTESO ALL’ICMi 
L’indice biotico esteso non era più idoneo ad ottemperare alla Direttiva 2000/60, che si occupa della 
classificazione ecologica dei corsi d’acqua. Gli indici della direttiva servono alle regioni per classificare le 
acque, ma per valutare gli impatti specifici si richiedono spesso anche altri indici. 
3Gli indici sono di diverso tipo: 
• Indici di Diversità: sono basati sulla struttura delle comunità biologiche, si differenziano gli “oggetti” 
della comunità (specie, generi, ordini, famiglie etc…). Non tengono solo conto della ricchezza 
tassonomica (numero di taxa presenti) ma anche di come si distribuiscono gli individui all’interno dei 
vari taxa (equiripartizione, quanti individui appartengono alle varie specie). La situazione ottimale è 
quella in cui mancano le specie dominanti, ovvero quando le specie sono equidistribuite.  
• Sistemi Saprobici: Nasce nei primi del ‘900, è storico, si basa sulla presenza di specie indicatrici, 
tolleranti o meno, l’inquinamento. 
• Indici Biotici: Combinano i due approcci, quindi l’informazione relativa alla diversità con la sensibilità 
della specie. 
Il primo indice biotico è inglese e da esso è stato ricavato quello esteso (Extended Biotic Index), che in Italia 
è stato adattato in Indice Biotico Esteso (IBE). Nel regno Unito si è evoluto in BMWP (adottato anche dalla 
Spagna, riadattato). 
INDICE IBE 
Può essere ancora utilizzato per le Valutazioni di Impatto Ambientali (VIA). 
Si basa sul confronto di una comunità attesa (presente nella tipologia fluviale esaminata, in assenza di 
alterazioni ambientali) con la comunità campionata durante la valutazione. Il valore dell’indice (va da 1 a 15) 
viene espresso con l’ausilio di una tabella a doppia entrata che prende in considerazione due tipi di indicatori: 
• Taxa presenti più esigenti in termini di qualità (ordinata) → Sensibilità 
Ricchezza totale in Unità Sistematiche (ascissa) → Diversità 
 
In campo si compila una lista dei taxa presenti, si indica la presenza/assenza dei taxa indicati nella tabella, 
che sono riferiti a generi o famiglie, si riferisce alla Diversità Tassonomica (Righe) (normalmente bisogna avere 
almeno 3 individui per taxa per considerare l’effettiva presenza, non si indica però il dato di abbondanza). Si 
contano poi le Unità Sistematiche diverse trovate nel campione e si indica così la Ricchezza Tassonomica 
(Colonne). 
I gruppi faunistici (Righe) sono messi in ordine di sensibilità (Plecotteri-Efemerotteri-Tricotteri etc…) e per 
ognuno di essi si indica se si ha una sola U.S o più di una. Si guarda cosa si ha tra gli organismi più sensibili 
e dall’incrocio dei due ingressi (Diversità e Ricchezza, righe e colonne) si ottiene il valore IBE. 
Con il numero ottenuto, attraverso un’altra tabella, si converte il valore IBE in Classi di Qualità. 
 
DIRETTIVA 2000/60/CE (WFD) 
La direttiva europea è stata recepita a livello italiano con il D.Lgs 152/2006. 
E’ la direttiva quadro sulle acque, con lo scopo di istituire un quadro a livello europeo per l’attuazione di una 
politica sostenibile a lungo termine per tutte le acque. 
L’obiettivo della direttiva era il raggiungimento, entro il 2015, di uno stato ecologico buono per tutte le tipologie 
fluviali. 
Prevede alcuni passaggi preliminari, come l’identificazione dei corpi idrici, la valutazione di uno stato di rischio 
e una definizione della rete di monitoraggio. 
In Italia non è stato raggiunto l’obiettivo, però, grazie agli impianti di depurazione, c’è stato un notevole 
miglioramento dal punto di vista chimico, ma anche il cambiamento climatico sta alterando la qualità delle 
acque.  
La direttiva ha introdotto delle novità fondamentali: 
• Introduzione del concetto del sito di riferimento (determinati a livello regionale), ovvero quei siti che 
riflettono le condizioni migliori, quasi prive di pressione antropica. Spesso sono nelle aree protette o 
in montagna.  
• Processo di tipizzazione: per classificare il reticolo geografico in tipologie fluviali. A tal proposito, a 
livello europeo, sono state istituite le HER [Idroecoregioni], in base alla morfologia, al clima e al tipo 
di substrato (in Italia ce ne sono 21). All’interno di ciascuna HER sono stati poi identificati i tipi fluviali, 
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