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Dopo la battuta d’arresto di Adua il colonialismo italiano riprese slancio negli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale. Allontanato dalla memoria il ricordo della sconfitta con l’Etiopia, l’Italia si scoprì più convinta della necessità e della giustezza di crearsi un impero in Africa. Mentre proseguiva l’opera di effettiva presa di possesso delle colonie del Corno - la Somalia fu dichiarata colonia nel 1908 - l’attenzione della politica e della finanza italiana si spostarono sulla Libia, a qual tempo divisa nelle due province di Tripolitania e Cirenaica, entrambe sotto la sovranità nominale dell’Impero ottomano.
Dopo un acceso dibattito il fronte interventista, composto da nazionalisti, cattolici moderati (anche perché il Banco di Roma aveva investito in Libia) ed varie grandi personalità convinte delle potenzialità della Libia di offrire terre ai nostri contadini, riuscì infine a vincere le diffidenze dei timorosi e l’opposizione dei socialisti. Così quando nel 1911 la Francia estese il suo protettorato al Marocco, l’Italia decise di inviare in Libia 35 mila uomini, facendo valere un accordo del 1902 che sanciva la priorità italiana in Tripolitania e Cirenaica. La guerra fu più lunga e difficile del previsto, poiché i turchi invece di accettare battaglie campali attuarono tattiche di guerriglia, spalleggiati dalle tenaci popolazioni arabe locali. Per risolvere la situazione vennero inviati altri 75 mila uomini in Libia ed occupate alcune isole del Dodecanneso; l’armistizio -la pace di Losanna- fu infine firmato nell’ottobre 1912. Rimanevano però in armi molte tribù arabe che continuavano a resistere in maniera tenace; si distinse in maniera particolare la confraternita musulmana dei Senussia, che dalle sue basi in Cirenaica porterà avanti anche nel decennio successivo, una temeraria guerriglia contro le forze italiane.
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