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Novecento


Agli inizi del Novecento si assiste ad una rivoluzione del concetto di spazio:

1. HUSSERL, filosofo e matematico, padre della fenologia, ritiene che si possa considerare l’esperienza estetica dello spazio una cinestesi, che significa che lo spazio esperito è lo spazio che si esperisce attraverso il moto e quindi se si vuole dire la verità su qualcosa si deve osservare ripetutamente questa cosa di cui si vuole dire la verità, la si deve quindi osservare la cosa nel tempo.
Occorre girare attorno ad un oggetto per conoscerlo nella sua totalità e per girare attorno intorno si ha bisogno di tempo.
Osservare un oggetto nel tempo noterò ciò che cambia e ciò che non varia e ci si dovrà concentrare sulle invariabili (un oggetto cambia con la luce ma non cambia forma), il tempo è fondamentale per la conoscenza di un oggetto.
La nozione di cinestesi introduce la dimensione temporale in quanto se si esperisce uno spazio attraverso il moto significa che questo corrisponde ad una successione di atti e quindi lo spazio non è la dimensione alternativa alla dimensione temporale ma è anche tempo.

2. EINSTEN, con la teoria della relatività sostiene che muoversi nello spazio significhi muoversi anche nel tempo.
La nozione di spazio non è più separabile dalla nozione di tempo ma le due sono fuse in un solo continuo e quindi lo spazio fisico diventa uno spazio a quattro dimensioni che comprende anche la dimensione del tempo.

3. PICASSO, esponente della pittura cubista, nelle sue opere sono rappresentati più punti di vista di un oggetto in un solo istante, è come se un oggetto tridimensionale venisse srotolato e rappresentato su una superficie bidimensionale.

Rappresenta la durata in un’arte figurativa, ovvero nelle sue opere è possibile vedere rappresentato lo spazio degli oggetti e insieme il loro tempo, in questo modo contraddice la classificazione di Lessing tra arte temporale e arte spaziale.
Egli vuole dire la verità sul reale per cui gira attorno agli oggetti e su tela rappresenta tutto quello che ha visto.
L’arte cubista risulta essere in qualche modo di un’opera d’arte realista.

Si tratta di tre personaggi che lavorano al superamento delle categorie tempo e spazio, finora considerate come due cose distinte per arrivare ad una categoria unificata che è quella dello spaziotempo in quanto se ci si muove nello spazio ci si muove anche nel tempo.

Gombrich (storico dell’arte) parla dell’arte egizia.
Apparentemente pare che gli egizi facciano qualcosa che sembra un’incoerenza figurativa che sembra uno sbaglio in quanto rappresentano la testa di profilo e il corpo frontale, in realtà si tratta di un’inflazione volontaria per raggiungere un obiettivo, ovvero non vuole distrarre lo spettatore da quello che è il significato del geroglifico.
Ogni geroglifico infatti rappresenta un problema metafisico, ovvero l’eternità dopo la morte ma non si tratta di una morte mimetica nel senso che non confonde la realtà con “x”.
L’arte mimetica viene condannata anche da Platone perché confonde e fa in modo che ci si confonde con quanto somiglia alla realtà.

L’arte dell’antico Egitto e l’arte di Picasso (vuole rappresentare spaziotemporalità) hanno due significati diversi
↓       
non vuole distrarre lo la spettatore ma rappresentare   
un problema metafisico


Dewey ritiene che l’esperienza estetica sia fondamentale per capire il senso dell’oggetto architettonico (Partenone visto dal mare).
Sostiene che si faccia un’esperienza estetica dell’oggetto dentro al quale siamo se l’interazione è una storia, e non una percezione istantanea, che comincia da uno spazio A e arriva ad uno spazio B attraverso un tempo X che è essenziale in quanto contribuisce al senso di sviluppo che permette di elaborare un significato che si comprende
È necessario quindi fare un’esperienza temporale, l’esperienza estetica quindi è caratterizzata dall’unione della dimensione dello spazio con la dimensione del tempo.
L’architettura per cui è un’arte di cui si può coglierne il senso solo facendone un’esperienza estetica che è un’esperienza spaziotemporale, ovvero visitandola in prima persona nel tempo.

Ad esempio, il Jewish Museum a Berlino di Daniel Liebeskind.
Il vicolo cieco è uno spazio che, nelle sue intenzioni, doveva essere un cunicolo oltre il quale non c’è altro. Si tratta di un dispositivo architettonico che doveva essere percorso nel tempo e mostra come l’architettura non sia solo massa ma anche atmosfera infatti procedendo la luce e le temperature si abbassano, diventa così tutto buio e freddo facendo pensare alla morte.
L’idea di morte è quella x che un artefatto, se vuole essere arte, deve essere in grado di rappresentare in maniera efficace.

Virillio sostiene che l’esperienza estetica si stia trasformando da esperienza temporale ad esperienza temporale (sostituzione di un’estetica dello spazio con un’estetica del tempo) a causa delle nuove tecnologie, è come se lo spazio si stia temporalizzando.
Fino a pochi anni fa per fare esperienza di una città occorreva ci si recasse sul posto mentre adesso le nuove tecnologie come internet e la televisione permettono di essere sintonizzata cono lo stesso fenomeno superando in qualche modo le barriere spaziali, è come se vivere in un eterno presente e si compiere viaggi senza spostamento.

“Città Panico” – Il crollo del World Trade Center, la distruzione di un’architettura diventa un’opera d’arte nel senso che, mettendo da parte il discorso etico e morale, se prendiamo l’immagine estetica del crollo delle torri tutti hanno subito una sorta di fascino estetico sublime come se fossimo davanti ad un’opera d’arte perché è la più grande messa in scena del sublime attraverso la distribuzione di artefatti architettonici giganteschi.
Un fenomeno di questo genere, con le nuove tecnologie, ottiene l’attenzione mondiale in quanto si riesce a sincronizzare l’intera umanità su un identico fenomeno che corrisponde a quello che ogni opera d’arte vorrebbe ottenere.

Heidegger
, allievo di Husserl, ragione sulla nozione di spazio architettonico ed estende la sua azione ad una dimensione quasi etica, cioè legata alla condizione esistenziale dell’essere umano che è rappresentata dal concetto di fare spazio ovvero la libera donazione di luoghi in cui i destini degli uomini che vi abitano si realizzano nella felicità del possesso.
Si interroga su che relazione c’è tra il costruire e l’abitare infatti si è sempre ritenuto che costruire fosse il gesto fondativo e l’abitare venisse dopo, nel senso si riteneva che per abitare occorre prima costruire mentre Heidegger propone un nuovo punto di vista ovvero egli ritiene che non sia la costruzione a fondare l’abitare ma è la dimensione abitativa a fondare la costruzione in quanto a necessità di abitare è una parte dell’essenza degli esseri umani.
Gli esseri umani in essenza hanno bisogno di abitare infatti per Heiddeger l’essere umano in essenza è un abitante per cui abitare è ciò che distingue gli esseri umani da tutti gli altri.
Gli abitanti hanno l’esigenza primaria di abitare e per questo costruiscono.
Heidegger mette a confronto l’abitare e il costruire dando la precedenza all’abitare secondo un ordine logico e cronologico.
L’essere umano è un abitante in essenza e la conseguenza è che è il primo a prendersi cura di altro da sé, in particolare dello spazio abitato.

La relazione tra l’essere umano ed altro da sé è suddivisa in altre quattro relazioni:
Esseri umani con la terra, che servendo sorregge
Esseri umani con il cielo (un altro elemento spaziale) che è il cammino arcuato del sole, le quattro stagioni, la luce, ecc.
Esseri umani con i divini
Esseri umani con i mortali, ovvero con gli altri uomini.

Quadratura

Gli esseri umani in quanto abitanti si prendono cura di tutto lo spazio (cielo-terra) e di tutto il tempo (mortali-divini)

Lo spazio per Heiddeger è quindi è la condicio sine qua non dell’articolazione delle relazioni che gli esseri umani hanno con la natura, con la potenza delle cose distantissime da loro, con la potenza delle cose che non possono prevedere e con gli altri esseri umani, allora lo spazio architettonico è di necessità uno spazio etico.

Cacciari riprende in parte la tesi di Heidegger ed elabora una nozione di spazio architettonico che sintetizza l’idea secondo la quale fare spazio significa che l’essere umano è in essenza un abitante e che ha la possibilità di svuotare lo spazio, ovvero di fare vuoto e lo spazio svuotato rappresenta una possibilità costruttiva sulla quale l’architetto è chiamato a progettare attraverso la sua capacità di fare spazio.

De Carli, influenzato da Dino Formaggio, introduce il concetto di spazio primario.
Si tratta della dimensione radicale in cui l’uomo con il suo agire e con il suo abitare definisce la sua essenza.
Che cosa ha in comune un essere umano con qualsiasi altro essere umano? L’astrazione.
L’essere umano è colui che è in essenza costruttore e cercatore di relazione con altro da sé.
Lo spazio architettonico è un facilitatore di relazione che cerca apertura verso qualcosa e questo lo si può vedere nei progetti dello stesso De Carli che non sono altro che un’astrazione di un’idea di uomo e la sua messa in pratica nell’architettura.

Bohme sostiene che l’esperienza estetica dello spazio architettonico è soprattutto atmosferica nel senso che comprende una dimensione percettiva e sottolinea la soggettività dell’esperienza estetica dello spazio in quanto fare esperienza dello spazio significa fare esperienza della propria percettività e della propria emotività.

Nel corso della storia occidentale lo spazio architettonico passa dalla sua identificazione con una dimensione oggettiva alla sua identificazione con una dimensione soggettiva nel senso che prima corrispondeva soltanto agli oggetti materici e concreti, poi corrispondeva anche alle relazioni tra gli oggetti e infine arriva a corrispondere anche a cosa i soggetti sentono.
La soggettivizzazione della nozione di spazio architettonico può avere il limite di fare essere meno attenti a cosa una casa può e deve essere per poter essere una casa per un essere umana e quindi la fantasia progettuale deve avere un limite in quanto l’architetto non deve dimenticare la sua responsabilità di costruire uno spazio umano ma soprattutto costruire le cose prime ed eccellenti come prevede l’etimologia del mestiere.

Tratto da ESTETICA DELL'ARCHITETTURA di Francesca Zoia
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