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Il Bolgna e il naturalismo lombardo



Nell’introduzione a una mostra tenuta a Bergamo nel’68, il Bologna, pur trattando di ≪natura morta≫, ha indicato la necessità di distinguere il naturalismo toscano e bolognese da una parte e il naturalismo lombardo dall’altra. Solo nel primo la visione ≪domestica e accostante, volta a scansare i temi aulici e storico-mitologici, per attribuire alle rappresentazioni sacre un tono casalingo e sommesso, d’impronta piccolo-borghese≫, che appartiene allo spirito contro riformato.
È il clima che si riflette sulle ≪nature morte≫ dell’Empoli, di Jacopo Ligozzi, di Giovanna Garzoni, e in quelle di Sánchez-Cotán o di un Loarte; è lo stesso clima che appare nelle ≪nature morte≫ bolognesi, da quelle del Passerotti a quelle del giovane Annibale Carracci. San Carlo, ad esempio, tollerava frivolezza intollerabile ritrarre “la suppellettile casalinga della famiglia” in un dipinto raffigurante la nascita della Madonna. Secondo il Bologna, esiste un altro naturalismo lombardo, il quale non va mai disgiunto dall’esperienza manieristica. Non a caso la critica ha indicato la cultura dei Tanzo, Cerano, Morazzone, Daniele Crespi, Giulio Cesare Procaccini col nome di tardo manierismo lombardo, anzi per dirla col Longhi, ≪del più spirituale manierismo che abbia avuto in Italia in quei tempi dopo il Rosso e il Parmigianino e il Primaticcio≫. Questi pittori conservano ancora un sentimento ora torbido ora inquieto, un’ombrosa e talvolta visionaria tragicità, che si esprime spesso in sottili languori ed estrose bizzarrie e in una sensibilità quasi edonistica ma al limite del morboso nel rendere i panni, gli ori, gli oggetti nell’evidenza quasi palpabile della loro bellezza. Quindi il naturalismo dei contro riformati lombardi è diverso. Ed è diverso dall’arte del Caravaggio, che rappresenta un fenomeno a sé stante.

Tratto da ARTE MODERNA di Gabriella Galbiati
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