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Commento di Filippo Modulo all’art. 2388: impugnabilità delle delibere del cda


I commi 4 e 5 sono totalmente nuovi e mirano a dissipare precedenti dubbi rispetto ad una questione ancora dibattuta in dottrina e giurisprudenza. La giurisprudenza ammetteva l’impugnabilità attraverso un’applicazione analogica della disciplina delle delibere assembleari, in quanto le delibere del cda sono sì speciali, ma non eccezionali o contrarie rispetto alla comune disciplina della nullità e annullabilità degli atti giuridici. La dottrina era ancora contrastata, taluni ammettevano l’impugnabilità solo per amministratori e sindaci, non per i soci (a meno che la delibera sia nulla, in tal caso impugnativa possibile anche per questi ultimi). Il dibattito era ancora aperto, poi, sia in dottrina che in giurisprudenza con riguardo all’impugnabilità, per il socio, di delibere consiliari “lesive dei suoi diritti” (ossia i suoi singoli diritti, interessi del singolo socio).
Tuttavia il nuovo 2388 lascia aperti alcuni aspetti, quali le modalità di svolgimento delle riunioni consiliari, la convocazione del cda e la rilevanza delle verbalizzazioni rispetto alle deliberazioni adottate, che hanno, per la giurisprudenza, funzione certificativa della volontà formata con la votazione, fermo restando che la delibera, anche se non verbalizzata, è efficace nel momento della sua approvazione e circa il diritto dei soci di ispezionare i libri sociali.
Non si dice nulla nemmeno circa la possibilità di impugnare le delibere consiliari per nullità; probabilmente si è preferito lasciare alla giurisprudenza l’onere di valutare caso per caso se determinate violazioni possano essere impugnate per alcune cause di nullità entro i tre anni, quindi decorsi i 90 giorni di tempo per amministratori e sindaci.
Si dibatte se siano legittimati all’impugnativa solo gli amministratori assenti o dissenzienti, o anche gli astenuti. La questione appare risolta dal nuovo 2377 per le deliberazioni assembleari, in cui si fa esplicito riferimento anche agli astenuti.
Altra questione riguarda i requisiti partecipativi e i limiti, per le impugnative dei soci, previsti per le delibere assembleari (2377); sembra di sì, dato che il 2388 fa esplicito riferimento al 2377 (“L'impugnazione può essere proposta dai soci quando possiedono tante azioni aventi diritto di voto con riferimento alla deliberazione che rappresentino, anche congiuntamente, l'uno per mille del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e il cinque per cento nelle altre; lo statuto può ridurre o escludere questo requisito. Per l'impugnazione delle deliberazioni delle assemblee speciali queste percentuali sono riferite al capitale rappresentato dalle azioni della categoria. I soci che non rappresentano la parte di capitale indicata nel comma precedente e quelli che, in quanto privi di voto, non sono legittimati a proporre l'impugnativa hanno diritto al risarcimento del danno loro cagionato dalla non conformità della deliberazione alla legge o allo statuto.”).
La disciplina si applica, in quanto compatibile, anche al dualistico e monistico (per il 223-septies). Ma si porranno difficoltà interpretative e questioni di legittimazione per via delle duplicazioni di parte dei contenuti e a causa di richiami non espliciti in alcune disposizioni.

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