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La crisi dell'economia italiana dopo la prima guerra mondiale

Per la prima volta tra gli anni ’30 e ’40 c’è un’interazione tra economia e politica, perché la crisi economica diventa una crisi politica, legata al nazismo e alla dittatura.
L’Italia ha anche un problema nel sistema industriale, per quanto riguarda la riconversione. L’Italia si è industrializzata molto tardi rispetto agli altri paesi. La I Guerra Mondiale garantisce all’Italia l’industrializzazione. La quota degli occupati in industria è maggiore rispetto a quella degli occupati in agricoltura, grazie alle commesse belliche. Ma è una crescita squilibrata perché riguarda solo il nord-ovest e solo il settore meccanico siderurgico e la chimica.
Finita la guerra bisogna riconvertire questi colossi industriali per la produzione per il mercato di pace, e il problema si presenta nell’aggiornamento economico.

A riguardo entrano in gioco tre società:
- ANSALDO: industria cantieristica, e successivamente meccanico siderurgica localizzata a Genova
- TERMI: localizzata a Termi
- ILVA: a Milano

Queste tre società, finita la guerra, varano una serie di progetti che presentano dei problemi:
- NON TENGONO CONTO DEL MERCATO : varano progetti di crescita sproporzionati rispetto alle richieste del mercato. Prospettano una crescita delle loro attività, che non sarà mai assorbita dal mercato, perché mancano proprio le esigenze del mercato, dato che loro rimangono legato a volumi di produzione delle commesse belliche, ma il mercato richiede altri volumi, è un mercato che non c’è e che è in crisi.
- NON HANNO UN’INNOVAZIONE TECNOLOGICA : varano piani industriali senza prevedere un aggiornamento tecnologico, gli impianti erano molto costosi, perché ad esempio nel campo della siderurgia al posto di utilizzare carbone, usavano rottame, che rendeva di meno e costava di più.
- SI INDEBITANO CON IL SISTEMA CREDITIZIO : per avviare questi piani ci vogliono dei soldi e queste aziende chiedono finanziamenti alle banche miste.
Solo che le stesse banche miste per finanziare le imprese oltre a fornire prestiti, acquistano azioni delle imprese stesse. Si crea così un rapporto di FRATELLANZA SIAMESE (concetto inserito da Stringher), perché le imprese chiedevano prestiti alle banche, che in cambio chiedevano una garanzia con i titoli delle aziende e entravano a far parte del capitale azionario. Quando però la crisi esplode, le azioni crollano, le banche rimangono senza soldi. Quindi le imprese non sono in grado di restituire i soldi alle banche, e in aggiunta queste banche devono restituire i soldi ai risparmiatori e questo genera un’ulteriore crisi finanziaria.


La crisi di Ansaldo e FIAT


I protagonisti della crisi sono due grandi aziende: l’ANSALDO e la FIAT.
L’ANSALDO era cresciuta rapidamente durante il conflitto, a livello di dipendenti e di produzione di navi da guerra, materiale bellico, ferrovie.
Questa azienda era gestita dalla famiglia Perrone, che vara un piano di industrializzazione dopo la I Guerra Mondiale: l’ANSALDO aveva una liquidità molto alta, che unita ad una previsione di crescita produttiva molto alta, prevedeva un sistema verticale a ciclo completo, ovvero dalla materia prima al prodotto finito.
Il nucleo di questo sistema erano le miniere di Cogne, lo sfruttamento degli impianti idroelettrici e la produzione di acciaio. Nonostante la validità tecnologica del progetto, i risultati di vendita furono negativi, perché finite le commesse belliche, era avvenuto un calo netto della domanda di acciaio e ferro.

La FIAT ha avuto una grossa crescita di fatturato e di occupati durante la I Guerra Mondiale. Quest’impresa vara un piano industriale che si basa su due pilastri:
- vendita sul mercato italiano di una macchina utilitaria a basso costo e prezzo.
- Grande conquista del mercato russo.
Solo che il mercato italiano non ha una richiesta di macchine.
La Fiat aveva chiesto finanziamenti alle banche, pensò che per ripagare questi finanziamenti l’unica strada era ACQUISTARE LE BANCHE. Solo che per comprarle c’era bisogno di alleati, per questo si creano altri debiti.

L’Ansaldo tenta la scalata della BANCA ITALIANA DI SCONTO (BIS), che l’aveva finanziata durante la Guerra. Alla fine della Guerra l’Ansaldo utilizza gli stessi soldi prestati per comprare azioni della stessa BIS. In questo modo nel momento in cui si aveva il controllo della banca, i debiti sparivano.
La Fiat, invece, si allea con un finanziere piemontese, Gualino, che tenta la scalata del CREDITO ITALIANO (CREDIT).
Se il rapporto tra l’Ansaldo e la Bis non funziona, quello tra la Fiat e il Credit funziona.
Quando la Fiat conquistò il controllo del Credit, i banchieri costituirono una società esterna, un CONSORZIO ESTERNO alla banca per raccogliere risorse per comprare azioni del Credit. Inizia così una guerra tra Fiat e Credit, che finisce con la vittoria dei banchieri, perché la Fiat ha un problema di mancanza di utili.
Si può definire una guerra tra banche e mondo imprenditoriale.
Da tutto ciò si può trarre che il modello della banca mista che finanzia l’impresa va in crisi negli anni ’20, perché le imprese industriali, di fronte ad un fallimento dei loro piani industriali, tendono a conquistare il controllo delle banche per annullare i debiti. Questo annullamento crea però il crollo dei titoli azionari delle aziende che si ripercuotono sulle banche.
Tutto ciò genera la fuga dei risparmiatori, perché la gente andava agli sportelli di tutte le banche per ritirare i propri soldi. Questo è ciò che è successo alla Bis.
Infatti il 29 dicembre del 1921 la Bis fu messa in liquidazione con grosse ripercussioni sul sistema economico italiano.
La Bis era esposta con gli Ansaldo, che tentano lo stesso percorso della Fiat. Nel frattempo crollano le azioni dell’Ansaldo, che è incapace di ripagare i debiti.
La Bis entra quindi in crisi.
Il 24 novembre del 1920 viene costituita la banca d’Italia, il credit, la Banca di Roma e la Banca Commerciale, che si occupavano di aiutare la Bis, con la condizione che però i Perrone uscissero dalla proprietà dell’Ansaldo, in questo caso alla banca sarebbero stati dati 600 milioni. Questo avvenne ma i soldi finirono subito.


La crisi della BIS, Banca Italiana di Sconto


Si crea una corsa dei risparmiatori a ritirare in tutte le aziende bancarie i propri risparmi. Questo costringe il governo ad intervenire.
Dal 1920 in poi la crisi tra banche e imprese segna l’ingresso dello Stato come imprenditore.
Lo Stato in Italia diventa un soggetto che entra in economia perché:
- Crea una struttura pubblica che salvi le banche
- Crea una struttura pubblica che acquisisca il controllo di alcune imprese.
Il problema è dato proprio dal fatto che l’Ansaldo e la Bis falliscono. L’Italia decide di salvare queste due realtà attraverso un terzo soggetto: lo Stato.
Questo modello ci ha allontanato da quello anglossassone, perchè si utilizzano le risorse pubbliche per sostenere le banche e le imprese.
Il modello anglossassone invece avrebbe fatto fallire le imprese e le banche, avrebbe dato vita ad una serie di licenziamenti e avrebbe generato poi nuove imprese e banche attingendo al mercato finanziario.
In Italia il mercato finanziario è rimasto limitato, in Inghilterra no. Questo è proprio dato dall’intervento dello Stato e dalla tendenza del risparmio italiano a orientarsi verso il deposito bancario.
Però in Italia non esisteva un mercato finanziario che in quegli anni poteva sostenere la crisi dell’Ansaldo e della Bis.
La scelta dell’intervento dello Stato è data dalla scelta di mantenere in vita l’industria nascente in un momento di crisi internazionale. Inoltre c’è una situazione politico – militare molto complessa. L’unica strada era quindi far intervenire lo Stato.


L'azienda Beneduce


Beneduce, funzionario della Banca d’Italia e Stringher, governatore sempre della Banca d’Italia,
NOTA:
Nelle scelte economiche hanno avuto un ruolo fondamentale i tecnici dello Stato, ovvero i grandi dirigenti dello Stato, che non hanno una formazione politica, ma che comunque hanno svolto un ruolo politico.
Beneduce da vita al CONSORZIO PER LE SOVVENZIONI DEI VALORI INDUSTRIALI (CSVI).
Questo consorzio era già nato nel 1914, con l’idea che doveva essere un ente di diritto pubblico, cioè con capitale pubblico. Inizialmente doveva finanziare le attività belliche, ma  venne però reso inattivo durante la Guerra. Dal 1920 diventa il braccio operativo della Banca d’Italia.
Il consorzio si accollò le partecipazioni delle banche nelle imprese. Quindi rilevava le azioni che le banche avevano nelle imprese e diventa socio indiretto delle imprese. Per comprare queste azioni utilizza il denaro pubblico.
L’intervento dello Stato in economia durante gli anni 30 e 40 parte dalla Banca d’Italia, perché vennero salvate prima le Banche, e dopo le imprese. Si parla di PARTECIPAZIONI BANCARIE, perché lo Stato non entra nel capitale azionario ma compra partecipazioni e crediti delle banche verso le imprese.
Salvando le banche si garantivano i depositi dei risparmiatori privati.
Il consorzio nel 1922 venne diviso in due sezioni:
- Una sezione doveva finanziare le imprese attraverso le sovvenzioni
- L’altra aveva in mano le partecipazioni
Lo Stato per la prima volta entra nel capitale delle aziende.
Inoltre Beneduce affianca al Consorzio il Crediop, il suo capitale era interamente pubblico ed era costituito dalla CASSA DEPOSITO E PRESTITI, che è la Banca del Ministero dell’Economia, e dalla CASSA NAZIONALE DELLE ASSICURAZIONI SOCIALI. Lo stato finanzia quindi le opere pubbliche da una parte utilizzando la fiscalità, dall’altra utilizzando accantonamenti per il sistema pensionistico.
Il Crediop oltre a finanziare le opere pubbliche, aveva la possibilità di procurarsi capitali attraverso l’emissione di obbligazioni, che erano esentasse sugli interessi.
Questo segna profondamente il mercato italiano, perché il risparmio privato dal 1920 si orienta verso le opere pubbliche piuttosto che verso le attività industriali, perché i risparmiatori non pagavano le tasse.

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