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Dilazioni di pagamento, interessi applicati su pagamenti ritardati, politiche di prezzo differenziate


Mentre gli standard di affidamento non sono normalmente percepiti all’esterno dell’azienda che li applica, le dilazioni di pagamento sono la componente della politica di credito più trasparente. Esse sono parte integrante del prezzo di vendita e il processo decisionale che precede l’acquisto (e spesso il pricing) è fortemente influenzato dalla loro durata.
Generalizzando, per ampliare le dilazioni di pagamento senza produrre effetti reddituali negativi, a parità di fatturato, si può fare riferimento alla seguente formula:        P1 = P0 × (1 + kD ⋅ n/360)
P1 = prezzo di vendita conseguente a un ampliamento delle dilazioni di pagamento
P0 = prezzo di vendita relativo a dilazioni standard
kD = costo medio annuo dei finanziamenti; n = giorni incrementali di dilazione.
Una simile operazione può risultare vantaggiosa in particolare in 2 occasioni: quando il costo della raccolta del fornitore è inferiore a quello dell’acquirente o nell’ipotesi generica di tensioni finanziarie di quest’ultimo, tali da rendere apprezzabile qualsiasi posticipazione dei pagamenti.
NB: Le dilazioni a cui facciamo riferimento sono i termini “ufficiali” di pagamento. Le condizioni effettive possono essere rilevate soltanto ex-post e dipenderanno dalla puntualità dei clienti.
E’ prassi comune imputare interessi di mora in caso di ritardi prolungati o sistematici, anche se è preferibile evitare questa soluzione per i riflessi negativi sui rapporti commerciali.

Le dilazioni vengono accordate a partire dalla data di emissione della fattura (a 30, 60 o 90 gg) o con la dizione “fine mese” che segue la normale scadenza (a 30, 60 o 90 gg).

Soglie di prepagato. Per importi molto frazionati la vendita a credito non va percorsa. Se il cliente infatti non pagasse, il solo avvio dell’azione legale comporterebbe dei costi superiori allo stesso credito da recuperare, risultando preferibile passare interamente a perdite su crediti.

Forme di regolamento. Le forme di regolamento, per il loro differente grado di “coercitività” e i diversi elementi di costo insiti in ognuno (interessi, spese bancarie, imposte, spese amministrative), possono costituire uno strumento di marketing.

Regolamento in conto corrente con periodica liquidazione del saldo. (in genere viene utilizzata da aziende appartenenti allo stesso gruppo, in cui la società capogruppo o la società finanziaria appositamente creata svolge il ruolo di stanza di compensazione)

Regolamento a mezzo di rimessa diretta: il compratore è impegnato a effettuare a fronte di ciascuna fattura una o più rimesse a scadenza prestabilita (rimessa = sia materiale trasmissione di un assegno bancario o circolare, sia bonifico a mezzo banca e accredito in c/c azienda creditrice).

Regolamento a mezzo titoli di varia natura . L’emissione di titoli può essere effettuata sia:
- dal debitore (cambiale, pagherò): l’impresa, senza sostenere costi amministrativi, entra in possesso di un titolo di credito esecutivo all’ordine che può essere girato a terzi, a una banca per l’incasso, o alternativamente può essere utilizzato per ottenere finanziamenti tramite lo sconto bancario. Il principale vantaggio è di impegnare il debitore a rispettare i termini, poiché, trattandosi di un titolo esecutivo, permette al creditore, in caso di mancato pagamento, di procedere con l’azione stragiudiziale (senza cioè ricorrere al giudice) al pignoramento dei beni del debitore.
- dall’azienda creditrice (cambiale tratta, ricevuta bancaria, RID etc). Entrambe a differenza del pagherò e della tratta accettata, dal punto di vista tutelare del credito non offrono alcuna garanzia.

La ricevuta bancaria ha però il pregio di automatizzare la gestione contabile degli incassi e consente rilevanti risparmi di oneri di gestione. La RID è simile alla ricevuta bancaria, ma più coercitiva.
Valutazione economica e finanziaria di differenti politiche del credito commerciale
La politica del credito di un’azienda funzionante potrebbe essere impostata in modo da ottenere il massimo valore possibile del primo membro della seguente uguaglianza ottenuta paragonando la politica esistente con le possibili alternative al vaglio:                ∆R = ∆V - ∆C - ∆A
∆R = risultato economico differenziale conseguente all’adozione di una prescelta politica del credito commerciale rispetto a quella correntemente praticata
∆V = ricavi differenziali di vendita dei prodotti
∆C = costi differenziali di produzione-vendita dei prodotti
∆A = costi differenziali connessi alla gestione del credito:
“fisiologici”
costi di gestione operativa del credito: costi di raccolta informazioni sull’affidabilità dei clienti, spese postali, di cancelleria e bancarie relative all’incasso. 
costi relativi al capitale investito nel credito (tutto il capitale circolante deve essere considerato un investimento nella gestione corrente)
I = αV × d/360
α = incidenza dei costi monetari sul fatturato; V = vendite associate a ogni alternativa esaminata; d = dilazioni pagamento previste. I = investimento complessivo in crediti.
∆I = valore differenziale derivante dalla comparazione tra la politica già adottata e le diverse alternative (investimento incrementale).
∆I × k (costo del capitale della società) = kinc (costo del capitale incrementale investito nel credito).
“patologici:”
costi relativi a ritardi nei pagamenti e dilazioni nelle vendite (in genere si presuppone una proporzionalità tra dilazioni e costi per ritardi)
perdite su crediti. Quando è possibile prevedere con buon grado di attendibilità la probabilità con cui si verificheranno perdite su crediti, è possibile utilizzare come regola decisionale il criterio dell’uguaglianza tra Costo marginale e ricavo marginale: se la capacità produttiva aziendale non è saturata rifornendo esclusivamente clienti dalla solvibilità certa, è conveniente vendere a clienti con un grado di solvibilità inferiore a patto che: Vma > Cma.
Tramite l’applicazione degli standard di II e  III livello è possibili suddividere il portafoglio clienti in gruppi, stimare per ognuno di essi un tasso di insolvenza (b) e ottenere il ricavo marginale come prodotto tra il fatturato incrementale e la probabilità di incasso (1-b):    Vma = V(1 – b)
Il costo marginale coincide con il valore degli eventuali insoluti, misurati in termini di perdita dell’investimento, e dunque al costo monetario sostenuto per la produzione e la vendita dei beni di cui poi è venuto meno l’incasso.

Tratto da FINANZA D'AZIENDA di Alessia Chiovaro
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