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La revisione delle partecipazioni

La revisione delle partecipazioni


La probabilità che una partecipata sia in perdita è molto alta: il revisore deve capire se è necessario effettuare la svalutazione della partecipazione.
Il primo a rischiare è sempre l’amministratore, ma rischia anche il revisore in quanto organo di controllo.
Il revisore deve avere il società della partecipata, che deve essere stato assoggettato a revisione contabile: se la partecipata è in difficoltà, è probabile che il bilancio non venga approvato, e allora il revisore non ne dispone. Si rischia di posticipare l’approvazione, cosa non ammessa; si può ammettere il posticipo solo per motivi di struttura o di oggetto, non per motivi di crisi.
Allora si convoca l’assemblea, a cui non si presenta nessuno, e allora si hanno altri 30 giorni per riconvocarla: si guadagna così un mese.
Il revisore deve così fare un rilievo per limitazioni all’applicazione dei principi di revisione con impossibilità di esprimere un giudizio.
Le controllanti non possono chiudere prima delle controllate.
Bisogna verificare che l’amministratore abbia riportato in nota integrativa i motivi per cui ritiene che la perdita di valore non sia durevole: se le cose vanno poi bene, si poteva anche non mettere le motivazioni. Se le cose vanno male e non si è svalutato, ma nella nota integrativa si era giustificato il motivo che aveva portato a non svalutare, allora l’amministratore (ma anche il revisore) hanno uno strumento di difesa.
I motivi per cui la perdita può essere presente può essere legata a motivazioni interne o esterne all’azienda.
Se non sono in grado di fare previsioni per dire che in futuro non ci saranno ulteriori perdite, allora si deve svalutare.
Se le perdite sono ritenute non durevoli, significa che l’amministratore deve essere in grado di dire che in futuro non ci saranno più. Ci si basa su piani aziendali, che nelle piccole imprese è difficile che vengano redatti; mancano le competenze tecniche per realizzarli.
Ci devono essere dei numeri supportati da delle spiegazioni.
La nota integrativa è obbligatoria come spiegazione alla non durevolezza della perdita: si devono citare piani e budget che inducono l’amministratore a non svalutare.
La mancata identificazione della motivazione per omissione può portare a rilievo.
Le attività finanziarie iscritte nel circolante sono speculative, un investimento temporaneo.
La regola per la valutazione è qui completamente differente: è privo di soggettività questo criterio.
Per avere un valore di mercato, le azioni devono essere quotate: ma è abbastanza normale che se sono azioni speculative, siano quotate sul mercato. Se non c’è mercato, a chi le venderei?
- 60% al 31/12/2008 del valore delle azioni quotate.
La Legge ha previsto per via della crisi la possibilità di derogare il criterio di valutazione visto in precedenza, a meno che la perdita non sia durevole. Il motivo del minor valore non deve essere imputabile all’azienda, ma al mercato.
Come distinguere se le azioni sono scese per colpa del mercato o perché è l’azienda ad andare male? È veramente difficoltoso.
Questa deroga è stata estesa anche a questo anno.
Ci sono state poche conseguenze a questa deroga, perché quasi la totalità delle aziende italiane non hanno partecipazioni di tipo speculativo: queste sono in mano agli imprenditori come singoli investitori.
È una norma comunque molto pericolosa, proprio per il fatto che è difficile dire che la perdita è connessa all’andamento di mercato e non ai problemi della singola azienda.
In nota integrativa si fa una tabella per dire quanto il risultato sarebbe stato diverso se non fosse stato applicata la deroga, e i motivi per cui la deroga si ritiene temporanea.
Per il revisore, si avrebbe che un utile effetto di una mancata svalutazione è comunque distribuibile. Se non ha messo vincoli il legislatore, allora è distribuibile. Si parla di più paletti: ratio della norma, origine degli utili e natura temporanea; in pratica si consiglia di non distribuire.
Il revisore deve capire se effettivamente quei titoli non andavano svalutati, e che non si comprometta il futuro dell’azienda con le operazioni compiute dall’amministratore.
È l’amministratore che deve capire se è o meno il caso di distribuire l’utile in questa situazione; non deve compromettere il presupposto di continuità.

Tratto da REVISIONE LEGALE DEI BILANCI di Andrea Balla
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