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Commento integrato degli artt. 5 e 6 della Legge n. 131 del 2003


In materia di interrelazione statale in chiave ascendente (processo d’elaborazione del diritto comunitario) e discendente (processo d’esecuzione del diritto comunitario) con l’Unione Europea e di partecipazione statale alla conclusione di trattati internazionali, l’Italia ha disciplinato, per la prima volta, i suoi tratti generali con la Legge n. 86 del 1989 (più comunemente conosciuta come Legge “La Pergola”). Naturalmente, in seguito alla Riforma del Titolo V ed alla conseguente rilevanza istituzionale conferita alle Regioni ed alle Province autonome di Trento e Bolzano, è stato necessario definire nuove prospettive di partecipazione in quest’ambito, che consentiranno, a livelli di Governo intermedi, forme d’intervento maggiormente flessibili, ma anche più incisive, con codici di consultazione per gli specifici procedimenti da seguire.
Effettivamente, vi è stata una duplice innovazione costituzionale rispetto a quella che era la disciplina giuridica precedente, l’una relativa all’ART.117.5 Cost. sulla partecipazione regionale alla formazione ed attuazione del diritto comunitario e l’altra relativa all’ART.117.9 Cost. sull’autorità data alle Regioni in materia di perfezionamento di intese con Stati esteri o enti territoriali interni ad altro Stato; in entrambi i casi, le materie trattabili si limitano a quelle di competenza esclusiva regionale, ex ART.117.4 Cost.
Tuttavia, è importante rilevare che, già nel passato, questo ruolo era svolto dalle Regioni; pertanto, con la Riforma del Titolo V, si è in realtà avuta soltanto la stabilizzazione di una situazione di fatto, evitando di incorrere nell’illegittimità del sistema.
Dal punto di vista di un’espressa riserva costituzionale, non si fa alcun riferimento ai Comuni ed agli enti locali inferiori, pur non essendo esclusa a priori la possibilità per lo Stato di assegnare compiti regionali o statali a quest’ultimi: questa problematica è attualissima, soprattutto per quanto concerne i due percorsi legislativi intrapresi dal Governo per dar attuazione alle due norme costituzionali sopra menzionate.
La presentazione alle Camere del progetto di Legge Buttiglione, quale complessa normativa che modifica la Legge quadro “La Pergola”, è stata la prima tappa governativa, in vista di un adeguamento strutturale-organizzativo; constatando, però, la difficoltà politico-istituzionale riscontrata per la sua approvazione (il disegno di legge è passato alla Camera, ma è ancora in prima lettura al Senato), il Governo ha stabilito di farne transitare le tematiche essenziali nella Legge “La Loggia”, le cui caratteristiche generali ne favoriscono una più rapida entrata in vigore.
Di conseguenza, rispettivamente negli ARTT.5 e 6 di questa legge, si dà una concreta attuazione al ruolo delle Regioni, per quanto riguarda l’ART.117.5 Cost. e l’ART.117.9 Cost.
Le problematiche affrontate nell’ART.5, in materia di partecipazione regionale in ambito comunitario, pongono l’accento sulle modalità di individuazione della suddetta competenza e sulla difficoltà di integrare le Regioni italiane nel processo decisionale nazionale, interno all’Unione Europea.
Parallelamente a quest’aspetto, si deve tener conto dei diversissimi tratti istituzionali e tecnico-giuridici degli Stati membri, di cui ciascuno presenta uno specifico e coordinato sistema plurisoggettivo decentrato. Ad esempio, mentre in Italia è realisticamente difficile identificarsi in una struttura federalistica, essendo storicamente legati ad un modello di accentramento statale, in Germania, così come in Austria, è forte l’idea di appartenenza ai länder e la volontà di autonomia amministrativa, in armonia con lo Stato centrale.  Al contrario, in Belgio, esistono due Comunità linguistiche, tra loro antagoniste, che propongono due ordinamenti tra loro alternativi ed in contrasto.
Queste erano le ragioni per cui l’Unione Europea preferiva avere quale riferimento gli Stati membri, piuttosto che gli enti territoriali interni; in questo modo, riservava ad ogni Stato membro una diversa modalità di integrazione regionale nel processo comunitario.
Tuttavia, questa tematica ha iniziato a coinvolgere anche l’Unione Europea, dal momento in cui gli Stati membri proposero la possibilità di inviare, quale capo di una delegazione nazionale, un assessore regionale, in sostituzione di un ministro competente. La soluzione ha avuto luogo con l’accettazione di un qualsivoglia rappresentante regionale, purché nominato dal Governo nazionale.
Analizzando la situazione italiana, in un primo momento, l’argomento é stato trascurato, limitandosi ad affidare la definizione di una linea comunitaria concordata tra Stato e Regioni durante la convocazione semestrale ed obbligatoria della Conferenza Stato/Regioni (ex D.lg. n.281 del 1997). Relativamente alle materie non affrontate in questa sede, si é lasciata la “strada libera” alle decisioni del Governo.
Con la Riforma del Titolo V, questo profilo è accentuato, dandone una copertura costituzionale (ex ART.117 Cost.) e rinviando alla legge di attuazione statale, in parte presente ed in parte futura.
L’ART.5.1 rappresenta il progetto attuale di esecuzione, che rinvia, agli accordi stipulati in sede di Conferenza Stato/Regione, la disciplina delle modalità di attribuzione della delegazione nazionale ad un rappresentante regionale, quale tipico esempio di Governance. Nel caso in cui non si raggiunga un’intesa, lo Stato può decidere a suo piacimento.
Questa norma, di conseguenza, si limita a dettare i criteri generali in materia, specificando il ruolo del Governo: si é previsto che, quando l’oggetto della decisione comunitaria (fase ascendente) é di competenza regionale, il Governo nomini obbligatoriamente un rappresentante regionale, che partecipi alle delegazioni, sia nell’attività del Consiglio dei ministri, sia nei lavori preparatori dei Comitati o gruppi di lavoro del Consiglio e della Commissione europea.
Ovviamente, questa norma rischia di essere poco innovativa per il nostro ordinamento, se le Regioni la interpretano come una forma di garanzia individuale; quindi, l’efficacia di quest’articolo sarà legata ad un maggior coinvolgimento delle Regioni nelle vicende europee, attraverso la realizzazione di linee politiche comuni, in grado di imporsi al Governo interno. In seguito alla realizzazione di questo progetto ad ampio raggio, le Regioni dovranno dotarsi di appositi organi di collegamento.
Con l’ART.5.2, si riconosce, per la prima volta, la possibilità alla Regione italiana di adire, anche se indirettamente, alla Corte di Giustizia della Comunità Europea, contro quegli atti ritenuti illegittimi, in relazione ai canoni di legittimità dei trattati europei.
Analizzando la riformata Costituzione italiana, nulla si disciplina a questo proposito: dunque, la previsione contenuta nella Legge La Loggia trova il suo unico fondamento e presupposto nell’ART.117.3 Cost., che attribuisce la competenza legislativa concorrente alle Regioni, in materia di rapporti con l’Unione Europea.
In linea di massima, questo comma ha individuato due percorsi regionali differenti tra loro.  Nella prima eventualità, s’ipotizza una richiesta formalizzata, da parte di una Regione, al Governo; essendo il Governo costituzionalmente abilitato a ricorrere alla Corte di Giustizia, a quest’ultimo è affidata un’ampia discrezionalità sulla scelta del necessità di ricorso o meno.
La seconda eventualità prevede una proposta di ricorso alla Corte di Giustizia, approvata in sede di Conferenza Stato/Regioni dalla maggioranza assoluta delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano; in seguito ad un suo responso positivo, il Governo è tenuto obbligatoriamente a ricorrere.
Senza dubbio, questo comma ha determinato una soluzione in linea con quanto dispone il trattato comunitario e il progetto della Convenzione Europea: l’unica differenza sostanziale si riscontra nella mancata disciplina del seguito del processo di ricorso.
Per questo motivo, rimane irrisolta la scelta di quale soggetto istituzionale possa portar avanti la causa di fronte alla Corte di Giustizia; per tutelare anche gli interessi normativi regionali, si potrebbe prevedere una forma di coordinamento del Governo nazionale con le Regioni, così come nella fase ascendente dei tavoli di negoziazione sono presenti i rappresentanti regionali.
Secondariamente, nel caso in cui non sia rispettato l’obbligo di ricorso del Governo dettato dalla Conferenza Stato/Regioni, è ancora oscuro il rimedio istituzionale ad hoc; di sicuro, potrebbe delinearsi l’ipotesi di un conflitto Stato-Regioni da portare davanti alla Corte costituzionale, ma rimarrebbe incerta l’individuazione di quale soggetto istituzionale dovrebbe ricorrere: la metà più uno delle Regioni votanti o anche una sola?
Senza dubbio, la scelta non potrebbe mai cadere sulla Conferenza Stato/Regioni, perché quest’ultima è una parte del Governo ed il voto viene solo da parte delle Regioni. Inoltre, se questo accadesse, s’incorrerebbe in un conflitto tra poteri dello Stato, senza sapere in quale ambito preciso la Conferenza s’identifichi: forse è un’istituzione che realizza il principio di cooperazione, in ambiti in cui la Corte costituzionale si dibatte da lungo tempo?
Di conseguenza, per quanto sopra sostenuto, il ricorso dovrebbe esser effettuato da quelle Regioni che hanno approvato la richiesta di ricorso al Governo, in sede di Conferenza Stato/Regioni.
Concludendo, è interessante notare che la Legge La Loggia tratta solo il ricorso alla Corte di Giustizia, non citando mai il Tribunale di prima istanza: pertanto, sarebbe ragionevole ipotizzare che sia già stata aperta, dalla giurisprudenza del Tribunale, una finestra che consente alle Regioni, in quanto persone giuridiche pubbliche, di poter adire a tutela di un loro interesse diretto.
In relazione a queste problematiche, si evidenzia anche la procedura di Early Worring, prevista dal progetto di Convenzione Europea, in relazione all’attento controllo dell’applicazione del principio di sussidiarietà e proporzionalità; secondo quest’istituto, s’invitano i Parlamenti nazionali a consultare periodicamente anche i Parlamenti regionali dotati di potere legislativo, evitando, in questo modo, che la legislazione nazionale incida troppo su quelle che sono le competenze dei livelli inferiori di legislazione. Questa tematica s’incrocia con l’ART.5.2 della Legge La Loggia, giacché, con un suo attento rispetto, sarebbe possibile un maggior coinvolgimento infra-governativo in sede deliberativa; inoltre, nel caso dell’illegittimità di assunzione del parere, sarebbe ragionevole il ricorso statale alla Corte di Giustizia Europea.
L’ART.6 è una complessa normativa di attuazione, che investe la Regione di un innovativo ruolo sulla scena internazionale, pur vincolandola ai casi e alle forme disciplinati dalla legge statale. Senza dubbio, questa nuova prospettiva ha posto in discussione la funzione unitaria e centrale dello Stato; tuttavia, non si può negare il vantaggio, derivante alla Regione da un’attività di raccordo a livello internazionale, nella tutela dei suoi interessi commerciali o di semplice propaganda delle condizioni sistematiche interne.
Già a partire dal 1972, anno di istituzione delle Regioni ordinarie, questa tematica è stata oggetto di dibattito politico-istituzionale per quanto riguarda il rapporto di queste con il Ministero degli Esteri.
Senza dubbio, nuove esigenze, imposte dalla fase storica contemporanea (globalizzazione, glolocal, abbattimento delle barriere doganali all’interno dell’Unione Europea, tendenze politiche a sfondo liberista,…), hanno accentuato la centralità di questa discussione parlamentare nella dottrina giuridica.
Due linee di progetto sono scaturite da quest’ipotesi di attuazione; la prima concerne la politica di globalizzazione regionale ad ampio raggio (integrazione nell’area dei Balcani, pace nel mondo, politica economica nel Mediterraneo,…), la seconda, invece, i rapporti di integrazione interni all’Unione Europea.
Attualmente, si è incerti se quest’attività internazionale debba comprendere, nell’integrazione dell’Unione Europea, anche i sistemi di cooperazione rafforzata fra Regioni appartenenti a diversi Stati membri oppure se debba riguardare l’ambito puramente nazionale. In ogni caso, la realtà ha dimostrato che molti ordinamenti regionali hanno sostenuto questa tendenza unificante, di cui un clamoroso esempio si riscontra nel progetto dell’”Europa dei quattro motori”, comprendente la Lombardia, la Catalogna, la Baviera ed un’altra Regione dei Paesi Bassi.
Analizzando in modo più dettagliato il problema, si evidenzia che la creazione di un sistema organizzativo molto vicino ad una “macro Regione” comporterebbe l’assenza di organi sovraregionali, per mantenere la specifica identità strutturale di ogni Regione, il che non favorirebbe, in alcun modo, l’iniziale progetto di coordinamento interno. A maggior ragione, questa difficoltà si riscontrerebbe per gli accordi tra Regioni di diversi Stati membri, ognuno caratterizzato da una realtà storico-istituzionale diversa.
In particolare, l’ART.6 fa riferimento ad una serie di principi costituzionali in materia di attività internazionale delle Regioni:
- ART.117.1 Cost. (obblighi internazionali vincolanti anche il legislatore regionale);
- ART.117.5 Cost. (previsione per le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, di attuazione degli accordi internazionali e degli atti europei);
- ART.117.9 Cost. (stipulazione da parte della Regione di accordi con altri Stati e di intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nelle materie di sua competenza, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato).
A prima vista, l’ART.6, suddiviso in tre commi, trattando una materia così densa di sfaccettature interpretative, appare quale una norma molto dettagliata e carica di circospezione, allo scopo di conferire una discussione politica il più imparziale possibile circa un cambiamento giuridico di così enorme rilievo.
Nel primo comma, si disciplina l’esecuzione di intese statali in ambito internazionale, specificando che, nel caso in cui si tratti di competenze regionali, le Regioni sono obbligate alla loro attuazione.
Il secondo comma tratta il processo di esecuzione degli accordi regionali con enti territoriali di altri Stati membri, dilungandosi in un particolareggiato elenco di pareri politici; per questa ragione, la norma è stata spesso ritenuta dalla dottrina di dubbia legittimità costituzionale, avendo indirettamente conferito un eccessivo ampliamento della competenza regionale, che potrebbe in questo modo sfuggire al ruolo unificante del proprio Stato.
Infine, il terzo comma riguarda le intese regionali concluse con altri Stati membri, tematica ancora più delicata e problematica, in quanto concerne materie di più ampio raggio. Anche in questo caso, sono inclusi una serie di pareri politici cautelari, oltre all’individuazione di un lungo e preventivo elenco di limiti alla stesura dei trattati.
Di conseguenza, si nega alle Regioni la possibilità di stipulare accordi veri e propri, mentre si conferisce alle stesse la facoltà di concludere “accordi esecutivi ed applicativi di accordi internazionali regolarmente entrati in vigore, o accordi di natura tecnico-amministrativa, o accordi di natura programmatica finalizzati a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale, nel rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, dagli obblighi internazionali e dalle linee e dagli indirizzi di politica estera italiana”. Quest’ultimo limite, non presente nel dettato costituzionale, è dedotto dalla competenza esclusiva dello Stato in ambito estero, di cui la legislazione ordinaria ne è un’accettabile espressione di indirizzo politico.
Diversamente, tutti gli altri limiti riguardano le tecniche procedurali, basandosi su diverse trattative internazionali e comunitarie, in ogni caso suscettibili di una specifica interpretazione, a seconda del caso da analizzare.

Tratto da COMMENTO ALLA LEGGE 131/2003 "LA LOGGIA" di Luisa Agliassa
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