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La disciplina del nome di famiglia in Italia


Prima della riforma del diritto di famiglia del 1975, anche nel caso italiano la moglie assumeva il cognome del marito, capo della famiglia a tutti gli effetti (ex ART.144 Codice Civile), nonostante la Costituzione prevedesse all’ART.3 il principio di uguaglianza ed, in particolare, all’ART.29 l’eguaglianza giuridica e morale dei coniugi.
Questa disposizione del Codice Civile, tuttavia, rimase efficace per oltre venticinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione, finché, nel 1975, fu abrogata; da questa data, infatti, nell’ART.143 bis del Codice Civile è stato stabilito che “la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze”.
Attualmente, non essendoci una norma scritta ad hoc, si potrebbe dedurre che, al momento della nascita, i genitori siano liberi di trasmettere al figlio legittimo l’uno o l’altro dei loro cognomi; questo settore del diritto di famiglia italiano, al contrario, è ancora regolato dalla consuetudine, che, secondo la giurisprudenza del Tribunale di Milano nel 2001 e della Corte di appello di Milano nel 2002, potrebbe essere modificata solo dai legislatori.
La questione, inoltre, è stata posta indirettamente all’attenzione della Corte Costituzionale, relativamente alle disposizioni dell’ordinamento civile, che non prevedono questa facoltà per i genitori; a sua volta, la Corte, senza considerare la riforma del diritto di famiglia del 1975, ha sempre ritenuto che si trattasse di una problematica riservata alla discrezionalità dei legislatori, cui spetterebbe l’eventuale disciplina delle modalità di procedura.
Dal 1983 in poi, infatti, sono stati presentati diversi progetti di legge, il più recente dei quali risale all’ultima legislatura, quando è stato ipotizzato un progetto normativo, in cui si delegava ai genitori la scelta di comune accordo circa il cognome da trasmettere ai figli, lasciando loro la libertà di stabilire se debba essere quello del padre, quello della madre o quello di entrambi.
Se questa regola attualmente solo consuetudinaria fosse stabilita per legge, tuttavia, difficilmente si sottrarrebbe ad un sindacato di costituzionalità, riguardo al contrasto con i rispettivi ART.3 Cost. e ART.29 Cost.; per non sconvolgere il sistema, quindi, al legislatore conviene non intervenire, nonostante la legislazione sull’ordinamento di stato civile (finora dettata dal decreto del 1939) sia stata delegificata dalla legge del 1997, che ne ha revisionato la disciplina in uno specifico regolamento (intervenuto nel novembre del 2000 ed entrato in vigore nel marzo del 2001).
Anche in questo caso, infatti, il problema della trasmissione del cognome ai figli legittimi non è affrontato; al contrario, è analizzata la questione dell’attribuzione del cognome al figlio legittimato, che alla nascita assumerà il cognome del padre, ma, una volta raggiunta la maggiore età, potrà decidere se mantenerlo o aggiungerlo a quello della madre. Secondariamente, agli ARTT.84 e seguenti, circa la richiesta del cambio del cognome, soprattutto se sia ridicolo, è stata ipotizzata una complessa procedura, che si svolge in sede amministrativa presso il Prefetto competente ed il Ministro degli Interni.

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