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La filosofia dell'Illuminismo

Conoscenza e pregiudizio
La filosofia dell'Illuminismo si è diffusa in varie nazioni europee nella seconda metà del ‘700, dalla Francia, che è stata la matrice culturale più importante di questo movimento, all'Inghilterra da cui i Lumi hanno attinto le principali ispirazioni in materia politica e di ordinamento costituzionale, alla Germania, alla Spagna, all'Italia. Kant vedeva l'Illuminismo come un appello rivolto all'umanità per uscire da uno stato di minorità, cioè dall'incapacità dell'individuo di valersi del proprio intelletto senza essere guidato da un altro. Questa corrente di pensiero ha lasciato un suo documento fondamentale nell'Encyclopédie, tentativo di una unificazione moderna del sapere condotto da una società di filosofi, scienziati, letterati sotto la direzione di personalità eminenti come Diderot e D'Alembert. Il disegno ispiratore dell'opera è improntato a dei criteri specifici, specialmente desunti dallo sperimentalismo di Newton, ed è rivolto verso ideali di rinnovamento della razionalità, secondo l'insegnamento di Locke. Il proposito essenziale dell'Illuminismo è di opporsi a ciò che nella cultura e nelle scienze appare ossificato e letargico, a ciò che è dominato dai pregiudizi e dalle superstizioni. Non ci si limita tuttavia a rifondare il sapere su idee chiare e distinte ma si vuole perseguire un rinnovamento della vita collettiva, che metta da parte il simbolismo della "morale provvisoria" e cerchi, più animosamente, di lottare contro i sistemi di idee e di istituzioni che ostacolano l'affermazione dei diritti dell'umanità. Si può dire che l'Illuminismo ripropone quel rapporto fra cultura e politica che l'Umanesimo aveva tentato di instaurare tra la fine del ‘400 ed i primi decenni del ‘500 con degli esiti tuttavia negativi perché allo splendore della vita culturale e scientifica non aveva corrisposto un vero orientamento umanistico della realtà politica e dell'azione del potere. Lo scisma religioso, il formarsi degli stati nazionali con la loro politica di potenza, lo smembramento della Respublica christiana, non sostituita da altra forma di Repubblica umanistica, hanno sanzionato il relativo insuccesso della Renascentia nei confronti della politica. L'Illuminismo cerca nuovamente di far valere, anche in materia istituzionale, sociale e civile il peso di una cultura progredita, confidando sulle possibilità di utilizzare le risorse intellettuali e pratiche per una vasta opera di emancipazione. La sua iniziativa vorrebbe segnare l'avvento di un mondo nuovo in cui l'uomo sappia contrapporre, in tutti i campi del sapere e dell'ordine politico, contrapporre ciò che è luminoso a ciò che è oscuro, discriminando con consapevolezza critica la verità dall'errore, la ragione dal fanatismo.

La razionalità critica
L'idea liberatrice dell'illuminazione lotta così contro l'idea penitenziale e coercitiva delle tenebre. Il patrimonio accumulato di mezzi conoscitivi e materiali sembra all'Illuminismo già bastevole a contrastare i condizionamenti di impenetrabili misteri, quindi vocazione di questa corrente di pensiero è rovesciare i sistemi dogmatici refrattari ai poteri critici del sapere e di munirsi invece di una nuova energia storica che esalti l'efficacia dell'intrapresa umana. L'atteggiamento comune degli Illuministi è di prendere le distanze da quelle forme di essenzialismo gnoseologico e politico che sacralizzano dei pregiudizi abusivamente scambiati per universali e di contrapporsi insieme a quelli spiritualismi troppo disponibili a ratificare l'ineluttabile miseria del destino dell'uomo. Ciò spiega la critica dei vari philosophes nei confronti di Pascal: di questo autore si apprezza il potente ingegno e la straordinaria sensibilità ma ci si chiede anche quanto di positivo vi sia nell'insistere a vedere l'uomo come il giunco più debole della natura. Sembra invece venuto il momento di riscattare la ragione umana e di farne un uso privato e pubblico più confidente e più produttivo. L'idea della razionalità non era certo sconosciuta alle dottrine politiche del passato ma la ragione illuministica abbandona la sua tradizionale sede metafisica: non le compete più di garantire l'unità del cosmo ed assume invece caratteri più adatti per intervenire direttamente nella dinamica storica e mondana; essa è chiamata a garantire l'equilibrio della condizione etica e sociale dell'uomo. Come la ragione non è semplice derivazione metafisica, così essa non è un semplice fatto di oggettivazione storica; deve anzi svincolarsi dai condizionamenti della tradizione e rendersi più agile e più autonoma per rimuovere le incrostazioni del passato, per infrangere le barriere dei pregiudizi, per superare i determinismi della natura, per criticare equilibri sociali non più produttivi, per aprire nuove prospettive di liberalizzazione. La ragione si educa così a criticare l'esistente ed a preparare nuovo essere e nuovo esistere. La sede più appropriata per la ragione sembra essere così la mente dell'uomo che l'Illuminismo vede come principale luogo di convergenza delle idee umane e come matrice fondamentale degli imperativi etici e sociali. Il razionalismo illuministico non si pone come trionfo di una ragione forte che vuole ridurre a sistema la realtà sociale in virtù di una sua esclusivistica e predeterminata intenzionalità. Spetta alla ragione umana dare una qualche coerenza ad un mondo riformato attraverso l'ascendente simbolico di norme universalmente valide; l'Illuminismo però rivela l'ipocrisia e l'artificialità di certe unificazioni tradizionali del sapere ed è incline ad intendere l'ordine morale e sociale come la risultante di combinazioni e mediazioni fra attività umane che contribuiscono all'emancipazione comune. La tesi dell'astuzia della ragione è fatta valere, sotto forma di un provvidenzialismo naturale, da correnti importanti dell'Illuminismo. L'involontarietà della ragione illuministica si differenzia profondamente da una involontarietà intesa come entificazione di limiti e di condizionamenti frapposti all'iniziativa creativa degli individui. Ciò consente all'Illuminismo di utilizzare pienamente i simboli della razionalità per valutare criticamente e polemicamente il passato e per impedire che la superstiziosa venerazione di ciò che è stato sovrasti le responsabilità del presente e vanifichi le tensioni verso il futuro. I Lumi modificano i rapporti fra le diverse temporalità storiche perché intendono la storia più come un rapporto presente- futuro che non come un rapporto presente- passato. La storia diventa essenziale qualificazione della vita; essa non è più vista solo come descrizione e interpretazione degli eventi ma come matrice di un continuo accrescimento di potenza e di ricchezza e come un rimedio alla coscienza infelice dell'umanità. Nessuna fase del passato perciò può essere presa a misura prescrittiva dell'attualità e tutto deve invece volgersi al perfezionamento progressivo delle idee e delle condizioni materiali della realtà coesistenziale.

Il dispotismo illuminato
Si può sostenere che l'Illuminismo ha preparato la Rivoluzione Francese ma è anche vero che la maggior parte dei pensatori illuministi non aveva alcuna intenzione di rovesciare integralmente un ordine sociale di cui essi erano per molti versi beneficiari. Vi era in molti di loro il convincimento che la monarchia legittima potesse dare spazio alle esigenze della ragione senza peraltro rinunciare alle prerogative dell'autorità. La difesa dei diritti e delle libertà naturali dell'individuo non presupponeva necessariamente un ordinamento costituzionale fondato sulla sovranità popolare, principio che solo Rousseau fa valere con coerente sistematicità. Montesquieu chiede la partecipazione dell'aristocrazia al potere, Voltaire e Diderot non affidano alle masse popolari il compito dell'emancipazione della società, vi è invece un legame fra Illuminismo e dispotismo illuminato. Questo orientamento è ancora più rappresentativo nella cultura illuministica tedesca che affida a sovrani come Federico II, Maria Teresa e Giuseppe II il compito di procedere, per via autoritaria, ad una modernizzazione della società. Tale dispotismo illuminato è autosufficiente e non muta sensibilmente la condizione politica dei sudditi, ciò non toglie però che l'insieme dei valori che l'Illuminismo legittima attraverso la ragione riveli progressivamente la sua incompatibilità con i criteri di legittimità politica personificati dalla tradizione monarchica. L'idea del "dispotismo legale" riflette il convincimento illuministico che sia più facile razionalizzare l'azione dei sovrani che l'azione delle masse.

I valori dell'Illuminismo
Costante riferimento dell'Illuminismo è la fede nel progresso: la storia non è più vista come un'esperienza che ritorna sempre su se stessa ma come un definito processo di avanzamento e di perfettibilità. Si spezza così l'idea della ciclicità della storia sostituita dall'idea di una temporalità longitudinale che conosce arresti ed intermittenze ma che seleziona e proporziona le esperienze in senso favorevole ai diritti dell'umanità. Il progresso fa scoprire quindi nuove verità e crea realtà inedite che non hanno equivalenti nell'ordine della tradizione. La nozione di perfettibilità dell'uomo è diversa da quella medievale, connessa soprattutto alla capacità dello spirito di immedesimarsi in una verità trascendente, in una ragione superiore ed anteriore alla dimensione umana. Il simbolismo del progresso sancisce il passaggio da una visione apologetica, in cui la salvezza dell'uomo si compie attraverso l'affidamento della volontà individuale all'onnipotenza divina, ad una visione dell'esperienza che riabilita il rapporto orizzontale interpersonale come un rapporto di collaborazione e di creatività, rivolto a rimuovere ciò che nel mondo rende infelici gli esseri umani. Si forma quindi una diversa cognizione del destino umano secondo la quale l'infelicità non dipende più solo dal peccato di Adamo, non è solo un fatto ineluttabile di penitenza e di espiazione imposto da una volontà superiore ma ha anche una sua specifica origine terrena. L'idea di progresso comporta certo un diverso atteggiamento nei confronti della divinità tuttavia, se vi sono degli Illuministi che si volgono verso l'ateismo, la parte prevalente più che di ateismo fa professione di teismo, immedesimando Dio nella natura e nell'ordine delle cose umane. C'è soprattutto l'idea (non estranea alla cultura dell'Umanesimo e del Rinascimento) che l'uomo, beneficiando di una delega di Dio, è abilitato a continuare legittimamente la stessa creazione divina. La teologia non è più intesa come un discorso di Dio su Dio bensì come un approccio umano alla divinità; il rapporto con Dio passa attraverso il rapporto dell'uomo con l'uomo, un rapporto in cui l'umanità è un campo di conoscenze e di valorizzazioni di tutto ciò che è essenzialmente e socialmente significativo. Non si nega dunque Dio ma si esaltano le potenzialità che l'uomo acquisisce attraverso l'educazione, altro principio dominante nella mentalità illuministica: l'uomo non nasce né libero né depravato ma diviene una cosa o l'altra a seconda dell'educazione che gli si dà o che riceve. L'Illuminismo scopre il valore dell'istruzione pubblica e la propone come competenza ed obbligazione dello stato nei confronti dei cittadini. Specie la seconda generazione degli Illuministi fa del rinnovamento dei programmi e dei metodi di educazione uno dei suoi principali obiettivi ed il fondamento di quel civismo che non è più esercizio di devozione passiva nei confronti dei sovrani, delle istituzioni tradizionali e dei rapporti sociali esistenti perché è anche rivendicazione di una competenza critica dei cittadini nel campo della conoscenza e della proposta politica. Un'altra esigenza critica dell'Illuminismo è quella di svincolare il patriottismo dal nazionalismo e di farne invece preparazione ad una coscienza cosmopolitica. La patria viene vista come il luogo in cui misurare i gradi di progressivo incivilimento dei cittadini e le loro attitudini ad estendere e consolidare le loro libertà; allo stesso modo la nazione diventa il campo sperimentale dei diritti umani contro il governo arbitrario. In questa prospettiva non vi è contrapposizione fra l'idea di patria o di nazione e l'idea di umanità, tutte queste idee devono convergere verso un programma educativo a carattere cosmopolitico. L'Illuminismo non accetta che gli stati siano un prodotto dell'evoluzione storica in cui l'irrazionalità, il pregiudizio e il dispotismo assumano una posizione dominante e si presentino come categorie costitutive ed esplicative della politica. Con la notevole eccezione di Rousseau, il cui civismo repubblicano ha un connotato nazionale piuttosto che cosmopolitico, per gli altri Illuministi il sentimento del patriottismo converge con il sentimento dell'umanità. E' vero però che la base della civiltà illuministica rimane quella europea ed è l'Europa che fa da sfondo al cosmopolitismo;le forme di saggezza e di cultura non europee sono relativamente estranee all'ideologia illuministica del progresso. I valori dell'Illuminismo sono valori europei e ad essi vengono riconosciute delle prerogative tali da esonerarli dalla necessità di transazioni, completamenti e adattamenti con altri ordini diversi di valori. L'universalità dei Lumi è quindi soprattutto proiezione di una civiltà europea alla quale viene conferita una supremazia di significati razionali con conseguente legittimazione a sfruttare la terra a proprio vantaggio. Ciò non toglie tuttavia che il concetto di civilisation, oltre che espressione dell'esigenza di riportare a ragione il mondo più progredito e di prendere le distanze dai mondi più arcaici, sia anche riconoscimento del pluralismo delle civiltà e sostenga forme di conoscenza positiva interessate alla classificazione e comparazione delle diverse forme dell'ordine politico, sociale e culturale dei popoli. Il pluralismo che lo spirito illuministico predilige non è comunque quello delle diversità incommensurabili ma quello aperto alla comunicabilità e alla compatibilità reciproca di tutto ciò che può rientrare in un ambito di esperienze mediate dalla ragione.

L'impegno politico della cultura
Il riformismo illuministico, oltre che ad una antropologia ottimistica, si ispira ad un ottimismo giuridico, cioè al convincimento che attraverso la legge si possa migliorare l'uomo e che l'ordine normativo possa essere messo al servizio di un nuovo utilitarismo sociale. Il diritto appare come lo strumento del benessere dei cittadini e la legislazione dello stato non deve essere in opposizione con i diritti umani perché il suo scopo fondamentale è quello di favorire la confluenza del bene pubblico con quello privato. L'Illuminismo rivaluta la condizione dell'intellettuale nella vita pubblica. Spetta soprattutto alla cultura assumere la coscienza della possibilità di un mutamento delle basi della società e mettere la sapienza al servizio di tale rinnovamento; la società non progredisce se gli intellettuali non scoprono e non chiariscono le verità verso cui tendere. Certo l'Illuminismo non affronta il problema di come unire gli intellettuali alle masse, ritiene anzi che gli uomini di cultura formino gruppi circoscritti e selezionati e che i loro privilegi non possano essere trasferiti al popolo, il quale beneficia del loro sapere ma non lo influenza direttamente. C'è tuttavia una funzione pubblica dell'intelligenza, impegnata a sentire i problemi della società come parti integranti delle sue obbligazioni e responsabilità; non quindi separatezza fra uomo e cittadino, fra scienza e società, fra cultura e politica ma attitudine a tenere insieme queste varie dimensioni dell'esperienza nell'intento di accrescere le potenzialità complessive dell'umanità.

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