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Percorsi di reificazione fatali e strutture ad anello da scampare


Il lavoro spiraliforme della narrazione di Mulholland Dr. è figura della “non-irregimentazione”, della circuitazione aperta e non ripercorribile: il film stesso dovrebbe essere palinodia della sua natura, la quale concorre, in qualche modo, alla reificazione dei sogni - tra l’altro non forzatamente allineati con i propri desiderata -, finendo con il renderli fatali.
Realizzare la storia (Une histoire immortelle di Welles), mettere in scena il sogno (la strategia di Dan) sono pratiche che non conducono affatto alla certifica zio ne finale del loro carattere fittivo per dissimilazione dalla sintassi di eventi della realtà: sia che si insegua la reificazione della storia (farla accadere davvero), sia che si cerchi di mostrare che la realtà non si piega al carattere profetico dei sogni, 1’esito è pur sempre fatale. In questo senso, nemmeno il film può essere la realizzazione della sceneggiatura, quasi dovesse scamparvi per non morirne (ecco forse la ragione per la quale Lynch ha deciso di affrontare Inland Empire in parte rinunciando alla stesura di una preliminare sceneggiatura). A sua volta, l’esperienza spettatoriale non dovrebbe appaiarsi alla sola traccia del film; la moltiplicazione delle visioni finisce per costruire n dimensioni figurali aggiuntive alla linearità originaria del significante filmico.
La calma con cui parla il Cowboy, assieme alla geometria delle sue argomentazioni, finisce per significare l’evidenza e la semplicità di una soluzione che sgrava il peso dell’imposizione. Nel contempo il Cowboy si propone a controllo del destino di Adam; anzi, la decifrabilità destinale sarà legata alla ricorsività degli incontri: un solo anello (un secondo incontro che chiude i patti con il primo) sanzionerà la buona condotta, un doppio anello (un terzo incontro) stigmatizzerà la violazione degli accordi e il probabile inizio di una ritorsione. Per il regista, “stare sulla piazza” è restare dentro un circolo, un corral.
Quest’ultima si offre come frattura di percorso, come varco trasversale rispetto a un pattern di relazioni che pareva prefissato, o ancora come oblio della strada percorsa. Che il film possa divenire una “strada perduta” è allora strategia estetica avveduta per una mobilitazione inesausta dello spettatore che deve scampare a una topologia di relazioni (una fabula stessa) definita una volta per tutte. Ma tale in definizione, tale imperfettività di una scrittura che continua a reclamare silenzio, non è ininterpretabilità del testo, ma al contrario esemplificazione delle condizioni di qualsiasi interpretazione: moltiplicare gli accessi al senso, ripertinentizzare dei tratti di un territorio per pensarlo altrimenti, ossia per costituirlo come un mondo che avrà un qualche potenziale di interpretazione rispetto a quello precedentemente costituito.
La simmetria, il tornare due volte dei personaggi, è l’emblema della specularità, dell’urbanizzazione circolare; la terza apparizione (del Cowboy, del barbone, del killer assoldato) è (o sarebbe) il rilancio di una proiezione asimmetrica che catarticamente potrebbe riservare qualcosa di selvaggio, di indomabile. Emerge allora chiaramente una paradossalità costitutiva: un’emozione sopravviene perché un anello destinale “sta a cuore” in ragione della sua non prevedibile chiusura, o quando una chiusura destinale che pare inevitabile si riapre (è tutto nuovamente possibile).
L’attorialità è per contro uno switching, una catarsi rispetto a una chiusura destinale, è garantirsi un altro mondo che come una riserva critica possa reinterpretare la scrittura di un universo figurativo che si è contribuito ad adibire (assoldando un killer, scritturando delle parti, ratificando dei legami sentimentali con i matrimoni, ecc.). L’implosione valoriale di ciò che si cerca di custodire (tensione verso il contenimento e la prevedibilità) apre il paradosso di una catartica riapertura: il contenitore deve ridivenire una struttura di connessioni possibili, un agente filtro per l’accessibilità tra mondi.

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