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L’inquadramento contrattuale del prestatore di lavoro


Il sistema più diffuso nella contrattazione collettiva si fonda su una classificazione unica, non più articolata su categorie contrattuali all’interno delle categorie legali operaia e impiegatizia, bensì su una pluralità di livelli comuni ad entrambe.
Nell’inquadramento unico si ha una classificazione generalmente in sette o otto categorie corrispondenti ad altrettanti livelli retributivi.
L’appartenenza a tali livelli è determinata sulla base di definizioni (c.d. declaratorie) generali delle caratteristiche dell’attività prestata, nonché di un’elencazione (c.d. esemplificazioni) dei diversi profili professionali specifici.
L’inquadramento unico, dunque, non consiste soltanto nell’abolizione nominale della distinzione tra operai e impiegati, ma comporta la creazione di una nuova scala di categorie contrattuali, in cui gruppi di operai e gruppi di impiegati possono trovarsi inseriti al medesimo livello.
I livelli, definiti in relazione alla valutazione della generica capacità professionale (c.d. professionalità), raggruppano infatti una serie più o meno ampia di specifici profili professionali individuati sulla base delle caratteristiche professionali (abilità, conoscenza, esperienza) della prestazione e non più sulla descrizione delle mansioni.
Merita comunque di essere ricordato che, in occasione dei più recenti rinnovi contrattuali, il modello tradizionale dell’inquadramento unico è andato incontro a significative modifiche che tendono ad adattarne gli schemi classificatori alle nuove caratteristiche dell’organizzazione del lavoro.
Infatti, esso si presenta come inquadramento per aree professionali (chiamate anche categorie), articolate al loro interno in diverse posizioni organizzative (o livelli) ed alle quali corrisponde un trattamento retributivo differenziato, composto dal minimo contrattuale di area e da un’indennità di posizione organizzativa.

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