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Il laburismo cristiano degli anni '50


La cultura della moderna socialdemocrazia, quella che sostiene lo sforzo produttivo dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale con la possibilità di coniugare il fordismo e i diritti di cittadinanza sociale, non è assente nell’ Italia degli anni ’50.
La ritroviamo non solo nei centri comunitari o le istituzioni sociali dell’industria di Ivrea, ma anche fra i gruppi cristiano-sociali, in quel “laburismo cristiano” che critica gli schemi ancora troppo liberisti dell’economia italiana dopo la ricostruzione.  
Berta può essere annoverato tra i pochi intellettuali che sanno leggere nella CISL l'originale proposta ideale e programmatica.
La novità autentica del sindacato di GIULIO PASTORE e di MARIO ROMANI, afferma l'autore, consiste nella volontà di stabilire un confronto sistematico con la modernità industriale. Il confronto dei due modelli Cgil-Cisl viene così sintetizzato: nell'orizzonte sindacale della Cgil l'impresa non c'è, ci sono l'industria, il capitale, il lavoro, ma l'impresa, cioè l'organizzazione efficiente dei fattori della produzione, no, mentre i laburisti cristiani hanno bisogno dell'impresa per prospettare per l'Italia un futuro industriale simile a quello dell'Occidente.
Grazie a Mario Romani la cultura politica italiana intraprese una profonda revisione sia dell’ottimismo industrialista di stampo liberale ottocentesco che della teleologia del lavoro marxiana. La società industriale pur essendo progressiva dal punto di vista tecnico-economico, è instabile e insicura. I suoi membri, infatti, non possono prevedere a loro favore la continuità del processo di accumulazione di ricchezza e potere.
Introducono la questione dell’economia mista: occorre un sistema economico in cui l’impresa privata coesista con quella pubblica. Di qui l’attrazione verso i luoghi delle Partecipazioni statali(Iri, Intersind, Eni, Asap). Chiedono lo sganciamento dell’Iri dalla Confindustria.
Anche Giuseppe Glisenti scorge nell’impresa pubblica il mezzo per un’emancipazione sociale ed economica che ha il fulcro nell’intervento statale.
tale posizione era avversa a Luigi Einaudi, che sottolinea la posizione di inferiorità del manager pubblico a causa della sua dipendenza dal potere politico.

Tratto da L'ITALIA DELLE FABBRICHE di Cristina De Lillo
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