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Ascoltare e parlare con il bambino


Se ogni bambino e ogni genitore sono unici è importante cercare di capire come sono fatti e l’unico modo per poter davvero capirli è quello di ascoltarli e parlare con loro.
L’operatore dovrà mettersi dal punto di vista dell’altro, ragionare come lui e provare i suoi stessi sentimenti, “come se”, vale a dire avendo ben chiaro di non essere l’altro e mantenendo chiara coscienza della propria individualità: in una parola dovrà porsi in una relazione empatica.
Non sempre le persone parlano proferendo parole, a volte comunicano anche con altre modalità, ad esempio con i gesti, con lo sguardo, con la mimica, attraverso il gioco, a volte comunicano tacendo su tutto o su qualcosa e non è detto che questo tipo di comunicazione sia meno efficace delle parole.
L’ascoltatore deve aguzzare tutti i sensi per cogliere quanto viene detto, quello che la persona vuole far sapere o capire di sé.
Il lavoro d’équipe può essere ancora una volta prezioso, perché può permettere a chi ha colto il messaggio di farne partecipi anche gli altri.
L’ascolto consiste in realtà in una serie di osservazioni alle quali si cerca di dare un senso, si cerca di interpretarle. E, dal momento che l’interpretazione è personale, è buona regola confrontarla con quella di altre persone che abbiano in cura lo stesso soggetto e chiedere al soggetto stesso la conferma delle proprie ipotesi.
Le parole devono essere soppesate sulle capacità del singolo di capirle, di sopportarle. Ad esempio è inutile dichiarare crudamente le conseguenze delle malattie, quando bambini e genitori non si siano ancora ripresi dallo spavento dell’essere malati: è meglio aggiungere volta per volta informazioni utili a completare il quadro e nel frattempo studiarli per decidere con che modalità darle.
Un’ultima notazione riguarda il problema dei tempi dell’ascolto: in genere gli operatori si difendono dalla possibilità di ascoltare e di parlare col bambino sostenendo di non avere tempo, anche se in realtà l’ascolto e il parlare non richiede più tempo di quanto gli operatori abbiano a disposizione. In effetti, basta poco per osservare i pazienti, anche mentre si sta pulendo la camera, oppure mentre si stanno facendo le terapie, o mentre si misura la pressione, o li si guarda mangiare.

È necessaria una formazione alla relazione che sfati la speranza che si possa imparare a relazionarsi leggendo un manuale e mettendo in pratica ricette, e nello stesso tempo rassicuri gli operatori che è possibile imparare a relazionarsi e che sono tutti in grado di imparare.
L’équipe deve operare sulla relazione nello stesso modo in cui opera sulla malattia: discutendo, informandosi reciprocamente, prendendo decisioni operative.

Tratto da LA PAURA DEL LUPO CATTIVO di Anna Bosetti
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