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L'identificazione secondaria dello spettatore al cinema


Lo spettatore cinematografico, come il lettore di romanzi, è forse innanzitutto un uomo sospeso ai racconti: vi è senza dubbio come un desiderio fondamentale di entrare in un racconto, nel fatto di entrare al cinema o di cominciare un romanzo; allo stesso modo in cui si è descritta l’identificazione cinematografica primaria come il fondamento di ogni identificazione diegetica secondaria, si potrebbe parlare di un’identificazione primordiale al fatto narrativo stesso, indipendentemente dalla forma e dalla materia dell’espressione che può assumere un racconto particolare. Ogni racconto classico inaugura la captazione del proprio spettatore aprendo uno scarto iniziale tra un soggetto desiderante e un oggetto di desiderio; tutta l’arte della narrazione consiste poi nel regolare l’inserimento sempre rinnovato di questo oggetto del desiderio, desiderio la cui realizzazione è continuamente differita, impedita, ritardata, sino alla fine del racconto: il percorso narrativo classico si fonda dunque tra le due situazioni di equilibrio, di non-tensione, che ne segnano l’inizio e la fine. Greimas ha proposto quello che egli chiama un modello attanziale, vale a dire una struttura semplice di funzioni drammatiche che permette di rendere conto della struttura di base nella maggior parte dei racconti: sembra evidente che la struttura attanziale è omologa a quella edipica. L’identificazione, dice Rosolato, si lega ad una mancanza; se vi è richiesta, la mancanza può essere il rifiuto dell’altro ad acconsentire alla richiesta; ritardo della soddisfazione, ma anche rifiuto di una volontà che si oppone, l’identificazione è proiettata: in questo processo di proiezione dell’identificazione si ritrovano tutti gli elementi della struttura di base del racconto in cui il desiderio viene ad articolarsi in una mancanza, in un ritardo della soddisfazione che lancia il soggetto del desiderio all’inseguimento di una soddisfazione impossibile, sempre ritardata, o ancora permanentemente rilanciata su nuovi oggetti.
Lo spettatore sente chiaramente che in quel racconto, dal quale egli tuttavia, di persona, è il più delle volte assente, si gioca qualcosa che lo riguarda nel più profondo, e che somiglia troppo ai suoi problemi con il desiderio e la Legge per non parlargli di lui stesso e della sua origine; in questo senso ogni racconto, che esso prenda la forma di un anelito o di un’indagine, è fondamentale la ricerca di una verità del desiderio nella sua articolazione tra la mancanza e la Legge, cioè ricerca, per lo spettatore, della propria verità o della verità molteplice della vita. È senza dubbio su questa identificazione primordiale al fatto narrativo in sé che riposa la possibilità stessa di un’identificazione diegetica più differenziata a questo o quel racconto filmico.
C’è un fatto di cui il teorico del cinema deve sempre tener conto: il più delle volte, quando si parla di film, si parla di un ricordo del film, ricordo già rielaborato che è stato oggetto di una ricostruzione a posteriori, che gli da sempre maggiore omogeneità e coerenza di quanta ne avesse realmente nell’esperienza della proiezione. Questa distorsione è ingannevole, e il personaggio, come essere di pellicola, si costruisce il più delle volte, durante il procedere del film, in modo molto più discontinuo e contraddittorio di quanto non paia nel ricordo; ma lo spettatore, nell’a posteriori del ricordo, ha la tendenza a credere di essersi identificato per simpatia a questo o quel personaggio, per via del suo carattere, dei suoi tratti psicologici dominanti, del suo comportamento generale. Se è vero che l’identificazione secondaria al cinema è fondamentalmente un’identificazione al personaggio come figura del simile nella finzione, si avrebbe tuttavia torto a ritenere che l’identificazione sia un effetto della simpatia che si può provare per questo o quel personaggio; è piuttosto del processo inverso che si tratta, e non soltanto nel cinema: Freud osserva con chiarezza che non è per simpatica che ci si identifica a qualcuno, ma al contrario la simpatia nasce solamente dall’identificazione; la simpatia è dunque l’effetto, e non la causa, dell’identificazione.

Tratto da ESTETICA DEL FILM di Nicola Giuseppe Scelsi
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