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Martin Lutero

La libertà della coscienza
Ci si può porre il problema se il pensiero di Martin Lutero rappresenti una prosecuzione, in toni accesi e radicali, dello spirito dell'Umanesimo e se la Riforma protestante intendesse estendere al campo religioso quel fermento innovativo che la Renascentia aveva portato nella cultura. Il problema della libertà della coscienza religiosa fu presente in Martin Lutero. Per sfidare così animosamente una tradizione religiosa consolidata, egli fece appello anche alla libertà del credente, conculcata secondo lui da una autorità che di religioso conservava soltanto il nome mentre era in realtà una forma di tirannide. Lutero doveva alimentare un certo spirito critico per sostenere che molte cose che la Chiesa cattolica proponeva come dogmi erano false, per criticare le presunte manipolazioni che essa operava nei testi sacri, per affermare l'uguale potere dei credenti negli affari religiosi e per negare il diritto di ordinare e di imporre la fede con la violenza. Specie nelle sue prime opere di critica teologica e politica Martin Lutero metteva in luce l'esigenza della libertà come condizione di un rapporto più diretto dell'uomo con il Vangelo, senza le pesanti mediazioni di un apparato istituzionale ecclesiastico ormai spiritualmente screditato per le sue degenerazioni mondane e per la sua vuota morale precettistica. Egli nega decisamente che il diritto canonico sia fondamento di religiosità e che la remissione dei peccati debba dipendere dalle indulgenze e dalle gratificazioni di cui la Chiesa si riserva il monopolio. Le proteste di Lutero sembrano dunque, almeno in una prima fase, animate da una forza vivificatrice che affida la salvezza soprattutto alla responsabilità personale del fedele, capace più di ogni istituzione di interpretare la parola di Dio ed esprimere il senso di una cristianità spirituale ed interiore. Martin Lutero non vuole dunque concentrare i valori della fede in una classe sacerdotale munita di investiture e di prerogative superiori alla comune competenza di tutti i credenti: egli tende ad un progressivo allargamento della base religiosa affinchè ognuno partecipi in posizione paritetica alla comunità dei fedeli, diventando sacerdote di se stesso e ministro del proprio culto. In nome del Vangelo egli critica l'organizzazione piramidale della Chiesa e chiede l'abolizione degli ordini conventuali e dei sistemi di vita religiosa fondati sui voti perpetui di castità, obbedienza e povertà. Allo stesso modo egli vuole anche semplificare il sistema dei sacramenti che riduce essenzialmente al battesimo, alla penitenza ed all'eucarestia mentre gli altri, come il matrimonio o la stessa ordinazione sacerdotale, non sono considerati tali, anche se hanno un visibile e diretto valore religioso. Ciò consente, ad esempio, una certa attenuazione della sacralità del vincolo matrimoniale, così come l'accettazione del matrimonio dei preti. Le polemiche sono svolte con linguaggio diretto, senza inibizioni di fronte all'autorità ed attraverso argomentazioni che si rivolgono a tutto il popolo affinchè esso possa diventare protagonista di questo programma di riforma e trovare nel Vangelo il comune strumento di rivolta contro la tradizione, contro la legge ed anche contro quella razionalità che usava la Chiesa di Roma per consolidare il suo potere nella vita civile e politica.

Il pessimismo antropologico e la salvezza

Se questi possono apparire elementi di apertura alla modernizzazione dell'esperienza religiosa ed anche di democratizzazione della fede, si devono tuttavia considerare aspetti fondamentali del pensiero di Lutero che non sono continuazione dello spirito umanistico, anzi ne rappresentano la negazione. La sua mentalità non è moderna e il ritorno al Vangelo non è evocato da lui come garanzia di una conciliazione della cultura umanistica con quella cristiana. L'idea che Lutero ha dell'uomo è di ispirazione agostiniana ma intrisa di un più intenso pessimismo. Egli non pensa ad una qualche realizzazione terrena del bene attraverso la collaborazione della fede e della ragione mediate dalla legge. La ragione non è il supporto della fede e non si deve indulgere a pretese di conciliazioni della trascendenza con la mondanità. Di qui la sua polemica nei confronti del pensiero tomistico che vede fede e ragione come due aspetti di un universo etico nel quale l'uomo trova il suo posto privilegiato. La liberazione della volontà e della spiritualità umana è compromessa proprio dall'ostinazione con cui Lutero ribadisce sempre la peccaminosità dell'uomo, dalla quale si esce solo per la grazia particolare che può venirci da Dio attraverso i suoi atti imperscrutabili. La salvezza è per Lutero un fatto provvidenziale e non ammette alcuna spiegazione intellettuale. Dio agisce all'interno delle singole coscienze che vuole salvare attraverso l'intervento della sua grazia; naturalmente l'uomo deve disporsi ad accogliere questo atto di volontà divina affinando la sua vocazione cristiana ma rinunciando alla presunzione che i suoi meriti e le sue opere abbiano un ruolo decisivo nella sua salvezza. Per la vulnerabilità della sua natura l'uomo non può pretendere nulla di diverso da ciò che Dio, indipendentemente da ogni nostro merito, vuole darci per sua libera ed imperscrutabile scelta. La penetrazione di Dio nelle singole coscienze dipende solo dal Suo libero arbitrio, rispetto al quale quello dell'uomo non è che un servo arbitrio. Non vi è dunque alcuna autonomia del volere dell'uomo, così come non c'è alcuna autonomia della sua ragione. Erasmo lottava decisamente contro questa visione goticheggiante della fede che, rendendo grave ed assorbente il senso del peccato, impediva quella distensione etica e quell'equilibrio culturale verso cui doveva tendere il rinnovamento della spiritualità cristiana. Diciamo dunque che se certi elementi del Luteranesimo valorizzano l'interiorità esistenziale dell'individuo, altri elementi vincolano la coscienza al rischio esasperato della propria dannazione e non sembrano perciò discostarsi dagli eccessi penitenziali di un intendimento ancora medievale della fede.

La Riforma e il potere politico

Lutero sentì che la sua riforma non poteva soltanto affidarsi alla forza persuasiva dei valori evangelici ma aveva bisogno di un sostegno dei governi, anche per le implicazioni politiche, sociali ed economiche che essa rivelava. La Chiesa di Roma aveva in Germania larghe ingerenze nella politica e nell'economia ed il rifiuto di questi condizionamenti fa parte della stessa logica contestatrice del Luteranesimo, il quale lotta contro la Chiesa cattolica non solo per ragioni religiose ma anche per affermare un'identità culturale degli stati tedeschi e dello spirito tedesco nei confronti della mentalità latina sentita diversa ed estranea. Lutero vede così la sua riforma anche come una rivoluzione nazionale, egli vuole impegnarsi in una lotta globale, spirituale e politica, che può avere successo solo se può contare sull'appoggio dei principi tedeschi, ai cui interessi politici egli adatta, in vario modo, le stesse basi della sua dottrina teologica, riconoscendo carattere divino all'autorità terrestre e legittimando il principio dell'obbedienza passiva dei sudditi nei confronti del sovrano. Ponendo con grande evidenza i limiti del potere istituzionale della Chiesa e ricorrendo all'idea del sacerdozio universale, Lutero attenua le differenze fra il potere politico ed il potere ecclesiastico. Non riconosce più valide le prerogative attraverso le quali la Chiesa voleva imporre la superiorità della sua autorità su quella temporale e dunque accresce di fatto l'influenza di quest'ultima all'interno della comunità dei fedeli. I potenti sono anch'essi parte della Chiesa, allo stesso titolo con cui lo sono gli altri credenti, ma ai primi spettano funzioni e responsabilità superiori e diritti incontestabili. Così il Luteranesimo, dopo aver decisamente protestato contro le commistioni della fede cattolica con gli affari pubblici, riconcilia politica e religione sulla base di una concezione che tende a fare della Chiesa una Chiesa nazionale, affidata in maniera rilevante alla protezione dei principi. Questo adattamento della teologia luterana all'obbedienza passiva nei confronti del potere comporta inevitabili difficoltà. Era radicata nel suo animo l'idea che la virtù cristiana dovesse penetrare anche nella politica, che la tirannia fosse un male da evitare, che il principe fosse responsabile di fronte a Dio del proprio operato e che la giustizia e la carità dovessero essere valori intrinsecamente connessi alla vocazione cristiana. Lutero volle creare una Chiesa nazionale e per tale compito non è necessario che il potere abbia tutti i requisiti della spiritualità pura. La metafisica pessimistica di Lutero nei confronti dell'uomo gli consente anche l'accettazione di una metafisica pessimistica dell'autorità. Il suo originario agostinismo lo porta a condividere l'idea che lo stato, la guerra, la coercizione, la magistratura, la legge, in quanto frutti del peccato, non possono essere valori da esaltare per se stessi. L'autentico cristiano dovrebbe saper fare a meno di queste mediazioni politiche, istituzionali e giuridiche. Tutto dovrebbe risolversi con la carità e gli uomini saggi e buoni dovrebbero essi stessi essere le leggi migliori, tuttavia subentra sempre in Lutero il senso drammatico dell'esistenza umana: l'uomo è intriso di peccaminosità e il male è sovrano nel mondo, quindi lo spirito evangelico non è sufficiente a fecondare la vita personale e sociale.

L'obbedienza passiva

Se il cristiano, nel suo interno, può mantenere la sua libertà perché la sua coscienza risponde solo a Dio, per quel che riguarda il mondo esterno egli è sottoposto alla spada e al potere. Le istituzioni e gli strumenti del dominio devono quindi disciplinare la vita sociale. Questo non significa che i reggitori siano immagini di Dio; ci sono in Lutero, come in Agostino, delle critiche violente contro i principi, accusati spesso di essere dei malfattori. Lutero comprende le ragioni di chi non vuol subire torti né ingiustizie ma non approva in alcun caso la ribellione dei sudditi ed il dispregio dell'autorità. Meglio è assumere consapevolezza che i principi non stanno a caso nella vita e che, se la società deve subire tante coercizioni, ciò dipende dal fatto che gli uomini non sanno mai essere compiutamente cristiani perché sono sempre nel peccato e perché la loro natura corrotta non consente loro di formare autonomamente uno stabile ordinamento politico e di garantire con un contratto sociale una reciprocità di diritti e di obblighi fra il popolo ed il sovrano. Lutero si oppone a quelle correnti della Riforma, come gli anabattisti, che si ispiravano al suo pensiero interpretandolo però, oltre che come strumento di critica teologica, anche come strumento di rivendicazioni politiche e sociali contro le prevaricazioni e le ingiustizie. Come Lutero aveva osato sfidare la Chiesa di Roma, così i contadini luterani asserviti ai poteri nobiliari e feudali si sentivano legittimati a liberarsi da insopportabili oppressioni. Mentre Erasmo, che pure contestava la Riforma, guarda con raccapriccio alle repressioni fatte su popolazioni agricole che volevano solo far valere dei loro diritti legittimi, Lutero incita le autorità a sterminare i ribelli per ribadire il principio fondamentale che l'ordine politico non si tocca e che non può essere impunemente violato. Le posizioni conservatrici di Lutero sono state influenzate, oltre che dal discutibile principio teologico secondo cui ovunque l'autorità si manifesta è perché Dio l'ha voluta, dal suo convincimento che il potere politico, progressivamente penetrato dalla religione riformata, fosse da considerare componente essenziale della comunità ecclesiale e dovesse perciò essere posto al servizio di grandi prospettive spirituali. Un potere immedesimato nel sacerdozio universale e al quale sia affidata la funzione fondamentale di garantire una Chiesa nazionale, contribuisce in modo decisivo anche alla riabilitazione e alla tutela dei valori religiosi. Ciò spiega perché Lutero accetti l'intervento dei principi anche negli affari spirituali, demandando loro il diritto di convocare il concilio, di nominare gli ecclesiastici e di amministrare i beni religiosi. Nella logica di questo rafforzamento comunitario si spiega anche il ripristino della scomunica che pure Lutero aveva aspramente contestato come potere del Papa. Si deve quindi riconoscere che il contributo dato dal Luteranesimo allo sviluppo di idee garantiste e liberali è piuttosto esiguo.

Il corporativismo sociale

Neppure molto significativi sono i contributi di Lutero all'evoluzione delle idee sociali ed economiche. Un motivo di innovazione è certo rappresentato dal fatto che il Luteranesimo ha dato l'avvio al principio che tutti devono impegnarsi a lavorare. Se vi è nel Luteranesimo una certa rivalutazione del lavoro produttivo, la sua visione della vita sociale ed economica continua tuttavia ad avere un carattere prevalentemente corporativo e tradizionalistico. La spartizione fondamentale è quella fra i contadini ed il ceto dei guerrieri, sostegno diretto di una classe politica che vede ancora la guerra come esigenza fondamentale dello stato; forte è invece la diffidenza di Lutero verso le professioni commerciali ed industriali, contaminate per lui dallo spirito usuraio e costante minaccia per le necessarie gerarchie che devono sussistere fra i cittadini. E' vero però che vi sono delle differenze nel Luteranesimo a seconda delle sue diverse dislocazioni geografiche e nazionali. In generale può dirsi che il Luteranesimo è caratterizzato da una certa adattabilità politica perché con la sua dottrina dell'obbedienza passiva si sottopone praticamente all'autorità di ogni potere costituito. Lo spirito complessivo del Luteranesimo in campo politico è comunque dominato più dall'idea del quietismo e dalla conservazione che non dall'esigenza di ricercare i limiti giuridici e politici da opporre al potere.

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