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Anselmo d'Aosta. "Monologion" e logica aristotelica


Anselmo d’Aosta: egli sembra essere un mediatore tra le contrastanti prospettive teoriche che lo hanno preceduto, quella di Berengario e di Lanfranco. In Anselmo la difesa della sacra lectio si coniuga con l’esigenza di approfondire l’intelligenza della fede fino alla convinzione di ricavare, servendosi solo di argomenti razionali, le fondamentali idee intorno all’essenza di Dio. In Anselmo vi è una sostanziale di ragione e metodo dialettico, nonostante egli non prenda mai direttamente parte alla discussione sul rapporto tra dialettica fede e ragione. Egli fa ampio uso della logica aristotelica e considera la dialettica come una componente essenziale della natura umana. Per questo motivo la sua applicazione alla teologia non è sporadica ma elemento essenziale nel discorso intorno a Dio. Ciò è evidente soprattutto nel Monologion dove la necessità della ragione e la verità in sé si identificano con Dio. L’evidenza e il ragionamento sono degli strumenti che sola ratione sono capaci di farci adeguatamente parlare di Dio, anche da parte di chi prescinde dalla fede o conoscenza nella Rivelazione cristiana. Su tale testo sono state individuate diverse influenze boeziane soprattutto riguardo a temi logici quali quello della categoria di relazione (attraverso l’esempio servo padrone che Anselmo utilizza) oppure della categoria di sostanza come idea dell’essere differenziato e mutevole attraverso gli accidenti (utilizzato da Anselmo per dimostrare l’inapplicabilità di tale categoria a Dio, per spiegare il quale va tra l’altro distino l’essere della sostanza dall’essere dell’essenza).

Tratto da LA DOTTRINA DEI TEOLOGI di Carlo Cilia
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