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L'oggetto del contratto del monastero catanese


Il contratto adottato, teso al ripristino della produttività del terreno, talvolta con la messa a coltura di nuovi impianti con la pratica del dissodamento, senza dubbio presenta una varietà di clausole tutte giuridicamente valide, a seconda delle condizioni del terreno, dell'incidenza climatica e della vicinanza dell'immobile al luogo di residenza del concedente.
All'enfiteuta si imponeva di rendere produttivo il locum nel rispetto prioritariamente della clausola riguardante la miglioria dell'immobile ottenuto in concessione, pena la nullità del contratto stesso. Oltre ad un reddito sicuro, la prestazione del censo da parte del concessionario rappresenta per il monastero catanese il riconoscimento alla comunità monastica del dominio eminente sull'immobile ceduto in locazione dall'abate.  Per caratteristiche naturali è ipotizzabile che questo luogo con le annesse terre non si presentasse all'impianto di coltivazioni di tipo intensivo, come quella vitivinicola, altrimenti avremmo assistito, nell'atto di stipula del contratto, una lievitazione del canone dovuto al monastero dallo stesso enfiteuta, in misura proporzionale alla resa fondiaria. E invece Gregorio de Paone si era impegnato a corrispondere in perpetuo la somma di quattro tarì e mezzo ogni anno nel mese di agosto, direttamente al monastero, ritenendosi libero per il resto. Un contratto vantaggioso per entrambi, che garantiva al monastero un reddito annuale sicuro in ogni caso e permetteva al locatario di ricavare, in buone annate, maggiore quantità di prodotto con notevoli vantaggi economici.
Dal documento non si ricava nessun dato sulla superficie del possedimento ceduto in locazione, ma il locum e le terre annesse costituivano un cespite importante.

Tratto da LA VALLE D'AGRÒ di Gherardo Fabretti
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