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Comunicare bene: lineamenti di un’etica della comunicazione

Secondo il filosofo Adriano Fabris, comunicare è aprire uno spazio comune tra gli interlocutori, una sorta di paradigma che coinvolge tutti, sia nei rapporti quotidiani che nell’attività professionale. 
In Etica della Comunicazione (2006) egli analizza la possibilità dello sviluppo dell’etica nella società contemporanea.  La domanda centrale riguarda le dimensioni del comunicare bene: un’etica nella comunicazione che diventa possibile in ogni atto comunicativo quando esso si caratterizzi come dimensione autenticamente partecipativa. 
Questa etica chiama in causa la responsabilità di chiunque voglia comunicare, postula nel comunicare la capacità di saper compiere scelte morali, facendo riferimento ad alcuni criteri e principi di comportamento etico, validi e condivisibili universalmente. Comunicare quindi è cercare la verità per condividerla.
E’ indubbio che oggi la comunicazione è intesa secondo il modello che vede nell’atto del comunicare la trasmissione di un messaggio (o di un’informazione) da un emittente a un ricevente. Sempre più questo modello è sottoposto al vaglio dei principi dell’efficienza e dell’efficacia. Come mostrano i linguaggi pubblicitari, ma anche le recenti trasformazioni della comunicazione politica, l’emittente deve essere capace di ottenere nel modo migliore il risultato prefisso e il ricevente viene concepito nei termini di un target, di un bersaglio da colpire. Il linguaggio risulta così semplicemente un mezzo: lo strumento cioè che consente di compiere questa operazione efficace.
Bisogna allora indicare un ulteriore modello comunicativo che sia più vicino alla reale esperienza comunicativa e che implichi un effettivo atteggiamento etico. Riflettendo sul fatto che il termine comunicazione rimanda l’apertura di uno spazio comune, pubblico, fra gli interlocutori, i quali sono chiamati a parteciparvi in quanto soggetti parlanti. In una tale dimensione comune la parola non è qualcosa che semplicemente si trasmette, ma è il luogo in cui si realizza un’intesa che si compie a partire dalla buona volontà dei parlanti.
Da questa concezione del comunicare è possibile ridefinire le condizioni di un’etica della comunicazione che intende l’atto del comunicare come la creazione di uno spazio comune, condiviso, della cui istituzione e del cui mantenimento gli interlocutori sono responsabili. Questo  si è già espresso nel modello dialogico dell’etica comunicativa. 
La fondazione di un’etica della comunicazione a partire dall’idea del comunicare come condivisione, in cui i principi possono effettivamente coinvolgere attraverso il linguaggio, permette di reinterpretare il concetto stesso di universale. Non si parla più di una universalità definita una volta per tutte e presupposta in ogni processo (rischiando che venga tolta la parola a chi non può conformarsi a un tale presupposto), ma con una vera e propria universalizzabilità di quei principi che ciascun interlocutore porta con sé: disposto in quanto interlocutore a metterli in gioco, mettendoli in pratica per metterli in comune con altri.
Alla base dell’attività comunicativa vi è la consapevolezza che “comunicare” significa istituire una dimensione condivisa, all’interno della quale ciascuno può perseguire il proprio interesse nel modo migliore: sia chi fa il comunicatore per professione, sia chi è comunque coinvolto in essa. Chi opera in questi ambiti deve assumersi non solo l’impegno a promuovere la dimensione di condivisione, ma soprattutto la scelta esplicita di essa e l’assunzione di quella responsabilità che consente di promuoverla. Bisogna optare per un legame trasparente affinchè si operi contro il fraintendimento e la separazione (per restare così fedeli a ciò che il mestiere richiede). E’ questa scelta di fondo che consente al comunicatore di compiere bene il suo lavoro, che sia in ambito interculturale, istituzionale o bio-sanitario. 
Anche la comunicazione pubblicitaria e quella politica. Non è completamente vero che queste due forme di comunicazione abbiamo come modello di riferimento quello dell’audience. Bisogna tenere presente infatti che entrambe non possono raggiungere il loro scopo se vengono meno alcune condizioni di base:

- il mantenimento della fiducia che lega emittente e destinatario;
- la salvaguardia della credibilità del prodotto (ottenuta in modi sempre diversi)ai fini della sua possibile acquisizione.

Persino nella programmazione televisiva si è riscontrato il ritiro di campagne pubblicitarie non tanto per la loro inefficacia nel raggiungere lo scopo (acquisizione del cliente), bensì nel venire meno da parte dell’audience dell’apertura di credito nei confronti dell’azienda, del suo prodotto o del testimonial che lo presentava.
La dimensione della fiducia e della credibilità è dunque ciò che è chiamato a custodire chiunque comunica, nei vari modi in cui lo fa e in maniera conforme alle competenze che ha acquisito. Il comunicatore diviene responsabile della fiducia e della credibilità, per questo la sua attività deve essere eticamente condotta.

Conclusioni sull’Etica della Comunicazione


In conclusione appare centrale il riferimento alla libertà dell’uomo, intesa come capacità di scelta in un determinato contesto. Si tratta di una libertà che comunque risulta sempre motivata: concretamente coinvolta cioè in una dimensione di senso. Si tratta di una libertà che media fra essere e dover essere, fra ciò che ha pretesa di valere universalmente (nella misura in cui può essere condiviso da tutti gli uomini in quanto parlanti) e ciò che non può che essere di volta in volta assunto su di un piano particolare (in virtù di quella scelta che lo può concretamente attuare). Accettando pur sempre il rischio di rigettare, liberamente, la stessa possibilità di una mediazione, la stessa prospettiva di un possibile legame. 
A partire da questo le indicazioni etiche implicite nella struttura del linguaggio possono diventare concrete. Ma non ci sono regole esplicite in base alle quali compiere una tale applicazione concreta poiché tutto è rinviato alla capacità di ciascuno e più precisamente alla sua responsabilità: quella di scegliere se essere fedeli o meno ai principi etici che comunque intrinsecamente appartengono all’atto comunicativo.
Non esiste dunque un principio universale già dato, come ritengono le dottrine del comunicare che si richiamano alla natura dell’uomo, ma si richiede il compito di realizzare concretamente la partecipazione, da parte di tutti, a ciò che viene argomentato da ciascuno. Più di universalità quindi si deve parlare di universalizzabilità.
La questione del senso, della motivazione a comunicare in un modo piuttosto che in un altro, trova la sua risposta così nell’idea di un comunicare inteso come creazione di uno spazio comune. La possibilità di scegliere caso per caso, nelle concrete situazioni comunicative in cui si è coinvolti, la prospettiva di un comunicare finalizzato a promuovere condivisione. In questo modo, nonostante la pluralità dei modelli etici, è possibile identificare un paradigma generale di etica della comunicazione capace di fornire a ogni interlocutore un effettivo orientamento. 
Si viene posti così di fronte ad una scelta precisa: quella di essere fedeli a questa possibilità, insista nel comunicare, di promuovere la comunità della condivisione comunicativa (scegliendo l’intesa), o perseguire la chiusura e il fraintendimento nei confronti degli interlocutori. L’ambito della motivazione è l’ambito dell’etica nella misura in cui è sempre in gioco la liberta dell’uomo. 


Bibliografia

HABERMAS JURGEN (2009), Etica del discorso. Laterza, Bari.

FABRIS ADRIANO (2006), Etica della comunicazione. Carocci, Roma.

Sitografia:
Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche (www.emsf.rai.it)
Filosofico.net (www.filosofico.net)
Mediastudies (www.mediastudies.it)
Wikipedia (it.wikipedia.org)

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