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Gli immobili degli ebrei siciliani

Gli immobili degli ebrei siciliani


A Palermo due inventari su tre manifestano il possesso di un immobile urbano. A volte si tratta di un proprietario di una casa modesta, una cosiddetta casa terranea, composta di un pianterreno; a volte invece si tratta di una solerata, cioè dotata di un primo piano con due o tre stanze e una bottega al pianterreno. La maggioranza degli immobili sono comunque complessi, segno di benessere e stabilità. Un documento pubblicato da Giunta e Sciascia, per quanto frammentario, costituisce un buon punto di partenza per l'analisi del patrimonio immobiliare degli ebrei palermitani, censendo ben 171 unità abitative. Nell'insieme distinguiamo tre livelli di valore suddivisi nello spazio urbano.
- Immobili di uso collettivo nelle vicinanze della sinagoga, tra le quali si trova il fondaco, un edificio di origine medievale, che nelle città di mare svolgeva funzioni di magazzino e, spesso, anche di alloggio per i mercanti stranieri. Solitamente si trattava di un locale sito al pianterreno o nel seminterrato. Le dimensioni erano variabili, ma solitamente il fondaco era caratterizzato da un'altezza poco pronunciata. In lingua siciliana e in lingua araba la parola indica un vero e proprio "albergo", anche se in siciliano può anche significare "stalla" o "magazzino". Avevano un valore medio di 44 onze.
- Unità di abitazione del Càssaro, l'attuale corso Vittorio Emanuele, la strada più antica di Palermo. Esse erano divise in tre gruppi:
- Botteghe e magazzini del valore di circa 16 onze.
La casa ebraica, come quella dei cristiani di Sicilia, era spesso gravata da censi enfiteutici dovuti ai proprietari del terreno e dei muri. La ricchezza immobiliare di un ebreo si identificava con la dissociazione tra casa di abitazione e casa d'affari e con il possesso di una abitazione sopraelevata. Un ebreo al servizio dei Chiaromonte aveva addirittura una casa di tre piani.
La tradizione della casa orizzontale, organizzata attorno ad un cortile, tende a cedere, combinandosi col predominio della facciata. Le divisioni per successioni comportano in questi casi una parcellizzazione inaspettata delle grandi case, con conseguenze molto più gravi rispetto alle abitazioni sul cortile perché bisogna prevedere ingressi autonomi alle diverse parti dell'unità frazionata.
Gli inventari non danno alcuna indicazione sull'architettura delle abitazioni ma possiamo ricavare qualche notizia in proposito dagli atti notarili.
Dobbiamo distinguere le case costruite attorno ad un cortile, chiuso e isolato dalla strada mediante una costruzione detta sikifa, dalle case che prospettano direttamente sulla strada. Il cortile può anche essere molto vasto e rappresenta in questo caso un antico modello di abitazione conservatosi perché tale modello assicurava la compattezza di un gruppo esteso di parenti o di diverse famiglie amiche e vicine, protette dalla porta che chiude l'accesso dalla strada.
Le case a facciata sembrano predominare a Palermo e nei borghi della Sicilia centrale. L'approvvigionamento idrico veniva assicurato mediante pozzi, privati o collettivi, e cisterne che raccoglievano l'acqua piovana dalle terrazze e dal cortile. L'acqua veniva conservata in giare e il comfort e una certa igiene si intuiscono anche dalla presenza di uno scolo, di latrine e a volte da vasi da notte.

Tratto da STORIA MEDIEVALE di Gherardo Fabretti
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