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Il rapporto tra toni locali e tono reggente


Il rapporto tra toni locali e tono reggente deve trovare altri piani di indagine ed esplicitazione. Per esempio, è abbastanza facile osservare che l’uso di un tono roboante è particolarmente diffuso lungo il film ed esso spesso si unisce a una magniloquenza audiovisiva. Questi due caratteri tonali nel con tempo stridono e si corroborano in maniera che può risultare anche fastidiosa, dato che uno punta sull’intensità di saturazione del canale espressivo, l’altro sulla ridondanza della declinazione plastica e figurativa. Quella che sarebbe un’estetica degli eccessi, non solo non tiene conto dei cambiamenti di tono, ma del fatto stesso che essa si regga su dei toni. Salvo forse il palazzo affrescato di Cape Fear non c’è sul piano dell’enunciato una reale sovrabbondanza di preziosismi figurativi, né una realtà che è realmente “da urlo” (sono pochi in fondo i momenti di climax). È la sintonizzazione del tono enunciazionale sul tentativo dei protagonisti di trasfigurare il loro mondo in fiabesco, pur con tutti i personaggi malvagi del caso, che costruisce una deformazione coerente tale per cui tutto ci appare roboante e magniloquente. Anche questo strabordare dei toni locali va quindi messo a significare e deve trovare un’interpretazione congruente con quanto prima affermato. Il film di fatto mira a “scottare” lo spettatore, al di là della regolazione dell’assunzione enunciazionale dei contenuti. O meglio, pare regolare le proprie strategie estetiche funzionalmente a tipi di spettatori diversi. Nel caso la cornice tonale reggente (quella “tramontante”) resti impercepita, il film vuole comunque garantirsi un impatto, traboccare il desiderio spettatoriale, richiamarlo a una ecologia di segni, quand’anche dovesse scambiare il portato del film con il malessere che percepisce.

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