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La polifonia enunciazionale in Dune


A ben vedere, tuttavia, questa polifonia enunciazionale rende lo spettatore onnisciente. Quest’ultimo viene, infatti, a conoscenza sia dei progetti dei protagonisti (gli Atreides) sia di quelli degli antagonisti (gli Harkonnen e l’Imperatore). Persino le visioni dei veggenti non trovano una propria autosufficienza nel loro conquistare il piano dell’immagine filmica, tant’è che sono corredate da un commento verbale che indica il tipo di assunzione della visione: ciò equivale a ricostruire un parallelismo tra le competenze del soggetto dell’enunciato e quelle dell’enunciatario. Ora, tale onniscienza spettatoriale è esattamente contraria alle scelte abituali di Lynch; infatti, quando il regista americano ha scelto un regime di fruizione dipendente da un’ocularizzazione spettatoriale (vale a dire, lo spettatore pare poter gettare un occhio ovunque, senza restrizioni di accessibilità), lo ha compensato con un portato informazionale della visione alquanto problematico, misterioso, se non addirittura indecifrabile.
È certo possibile passare in rassegna gli elementi che paiono rinviare il film alla poetica del regista, persino con qualche evidente forzatura; si pensi all’incipit ove è presente la frase “Il principio è un periodo di delicati equilibri” (Principessa Irulan). Tale rassegna sarebbe in ogni caso sterile dato che si tratta di elementi solo superficiali, raramente capaci di tessere una rete figurale che fuoriesca da una stereotipia simbolica. Ecco allora che la scelta figurativa di caratterizzare il più” cattivo” degli avversari degli Atreides, vale a dire il barone Harkonnen, con un volto purulento, pieno di estese infezioni, non significa nulla più che una simbologia della corruzione morale che vuole ridurre tutto a sé stessa, infettare ogni cosa. Per esempio, di fronte alla cattura di Lady Jessica, madre di Paul Atreides, Harkonnen non ha nulla di meglio da fare che sputarle addosso, e ciò non tanto per dimostrarle disprezzo, quanto piuttosto per contaminarla nella carne. Ancora: la partogenesi di Jessica, enormemente accelerata dall’’’acqua della vita”, non si ricollega in nulla alle investigazioni dei film precedenti; lascia spazio, al massimo, ad una immagine intrauterina dello sviluppo del neonato, nulla più. Lo stesso potremmo affermare circa la presenza di anelli, rose blu, e in genere di quegli elementi che si presterebbero ad offrirsi come indici stilistici (ossia di presenza dell’autore rispetto al discorso che enuncia). Di fatto, rilevare queste figure che superficialmente accomunano Dune agli altri film di Lynch significa tornare a fare un banale catalogo di contenuti o di temi, senza mettere in gioco il valore del loro gradiente di elaborazione.

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