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Turchia: dall’Impero alla Repubblica

Le popolazioni nomadi turche provengono dalle montagne dell’Altai. La prima forma di organizzazione è quella della tribù militare, stretta intorno alla figura di un capo-condottiero con poteri illimitati. Dal VII sec. Ai turchi si aprono le vie dell’Occidente, si mettono al servizio degli arabi contro Bisanzio e si convertono all’islam. I turchi selgiuchidi sconfiggono i bizantini nel XI sec. e conquistano tutta l’Asia Minore. L’Anatolia diventa sede naturale dei turchi. Il massimo della potenza dei selgiuchidi si raggiunge con la conquista del Medio Oriente. Le crociate e le invasioni di Gengis Khan pongono fine al dominio dei selgiuchidi, che restano solo in Anatolia. Si sviluppano qui dei principati indipendenti, tra cui spicca quello di Oman I, che è l’artefice della conquista dell’Asia minore, dell’area balcanica, dell’Arabia e di parte dell’Africa. L’unica potenza che riesce a contenere gli ottomani è Venezia. Nel 1453 Costantinopoli cade in mano ai turchi, seguita da Albania, Belgrado, Bosnia, Erzegovina, Crimea, Persia, Marocco, Yemen, Siria, Mesopotamia, ecc. Alle conquiste i sultani affiancano una maggiore organizzazione burocratico-amministrativa e sostengono una politica di tolleranza religiosa. Il sultano diviene anche capo della religione e detentore di tutti i titoli dei sovrani vinti. L’esercito si amplia aggiungendo alle ordinarie milizie corpi di mercenari, tra cui i giannizzeri. Il sultano è assistito da un gran visir e da quattro visir, mentre i responsabili delle province sono i Pascià. I turchi sono essenzialmente soldati, non si specializzano in altro dunque fanno molto uso delle popolazioni assoggettate. La legislazione matrimoniale prevedeva che il Sultano non contraesse un matrimonio formale, ma scegliesse nell’harem la madre, spesso straniera, del suo erede. L’Impero instaura una fitta rete commerciale, soprattutto con Venezia. Le due potenze si influenzano molto, anche se spesso erano in conflitto. Dopo la guerra con la Persia (1578-1592) il Sultano Murad II proseguì l’espansione verso l’Europa. Dopo un fallito assedio a Vienna i confini europei dell’Impero si stabilizzano.
Cause esterne del decadimento ottomano: dal ‘600 l’Impero inizia a subire sconfitte, divenendo il cosiddetto “malato d’Europa”, cui tutti evitano di dare il colpo di grazia per non destabilizzare l’assetto europeo. Il ‘700 è caratterizzato da una forte pressione da Austria e Russia. Caterina II vuole conquistare Costantinopoli e sono solo le potenze europee a impedirlo. Il Trattato di Pietroburgo (1795) mette momentaneamente fine alle lotte europee per il Vicino Oriente. Dopo il Congresso di Vienna i primi a insorgere contro gli ottomani sono i greci, poi la Russia si riprende il Caucaso meridionale. Il Trattato di Adrianopoli sancisce l’indipendenza greca e l’autonomia serba. Il secolo è un continuo susseguirsi di ribellioni e attacchi. Nel 1877 la Russia prova di nuovo a conquistare Costantinopoli, e la Pace di Santo Stefano pone condizioni molto gravose all’impero. Al Congresso di Berlino l’Impero subisce gravi perdite (Montenegro, Serbia, Romania indipendenti, Bosnia-Erzegovina austriaca).
Cause Interne: la struttura dell’Impero è basata solo sul settore militare, che si reggeva sull’istituzione del desvirme (rubavano i giovani cristiani nei villaggi educandoli a scopo militare). La decadenza dell’organizzazione militare non lascia altre risorse all’Impero. Un altro problema è l’incapacità di assimilare le popolazioni conquistate, che anzi godono di una discreta autonomia amministrativa e una relativa libertà spirituale. Non si viene a formare mai una classe borghese. L’Impero è un organo gigante, amorfo ma senza unità etnica, linguistica, religiosa o culturale. Le classi dirigenti sono corrotte. Il primo a tentare di riformare l’Impero è Selim III alla fine del ‘700. Negli anni ’30 dell’800 il sultano Mahmud II elimina l’intero corpo dei giannizzeri. Tuttavia il vero periodo dei tanzimat (riforme) inizia nel 1839 col sultano Abdul-Megid e poi con Abdul-Aziz. I programmi erano grandiosi ma difficilmente realizzabili. Nel 1843 s’introduce il reclutamento secondo il modello occidentale. Si sviluppa l’istruzione, volta a creare quella classe di funzionari che doveva far funzionare il nuovo Impero. Le strutture scolastiche sono laiche. Le classi colte partecipano attivamente alle riforme, e il contatto tra colti ottomani e europei favorisce la formazione di un’intellighentsia. Nel 1865 gli intellettuali liberali si riuniscono sotto Mustafa Fazyl nel partito dei Giovani Ottomani, a indirizzo parlamentarista. Il Sultano li condanna all’esilio in Europa, ma questa esperienza alimenta le loro convinzioni liberali. Nel frattempo altri gruppi premevano per la trasformazione dell’impero in uno stato con forti connotati nazionalistici. Nel 1876 viene varata a prima Costituzione che porta al trono Abdul-Hamid. Questo, una volta raggiunto il potere, attua però una politica dispotica. Egli introduce tra l’altro l’idea del panislamismo contro il nazionalismo turco.
Rivoluzione dei Giovani Turchi: Alla fine dell’800 i nazionalisti turchi creano associazioni segrete all’estero. La rivoluzione dei Giovani Turchi scoppia all’improvviso nel 1908. Il movimento era già noto al Sultano che aveva messo in moto una serie di arresti. L’ufficiale Niazi efendi però diserta e si rifugia nelle montagne con soldati, civili, albanesi ribelli. I soldati mandati dal sultano per reprimere la ribellione si rifiutano, così il 24 luglio i capi della rivolta inviano un telegramma al sultano nel quale richiedono di ripristinare la Costituzione del 1876. La notizia viene accolta con entusiasmo collettivo, mentre il sultano è interdetto. Inizialmente la rivolta dei GT si contraddistingue per l’assenza di violenza. La fase rivoluzionaria si esaurisce rapidamente. Si procede a liberalizzare la stampa, vengono liberati i detenuti a Costantinopoli. Questa era una mossa del Sultano per mettere in difficoltà i GT. La gestione della politica è nelle mani del Comitato Unione e Progresso (Gamal, Enver, Talat). Il Comitato s’intromette nella nomina di funzionari e magistrati, e questo crea un certo malcontento. Quasi subito però si riaccende il focolare nei Balcani, con la proclamazione dell’indipendenza bulgara. I GT abbandonano l’iniziale moderazione assumendo i toni di un acceso nazionalismo e riaffermando il predominio turco sugli altri popoli, mentre la Costituzione proclamava l’uguaglianza di tutti. Ha inizio dunque l’opposizione ai GT da parte dell’Unione Liberale di Sabahedin e da parte della Lega musulmana, gruppo conservatore religioso. Le opposizioni vengono duramente represse. Esse rappresentano la più grande contraddizione dell’Impero e ancora oggi della Turchia: da un lato la voglia di libertà di coscienza, di idee liberali, di avvicinarsi all’Europa; dall’altra l’influenza della cultura musulmana. Nell’aprile del 1909 battaglioni albanesi e siriani fedeli al Sultano marciano contro il Parlamento per ripristinare l’antico regime. I GT allora occupano Costantinopoli e costringono Hamid ad abdicare a favore di suo fratello Maometto V. Di fatto la politica nazionalistica dei GT contribuisce a disgregare l’Impero ottomano. La loro grande incoerenza è quella di voler creare un Impero liberale senza intaccare l’essenza di fondo, monarchica e religiosa, che lo rendeva uno stato teocratico. I GT si guadagnano l’ostilità di pressoché tutti i paesi europei. I paesi balcanici muovono due volte guerra alla Turchia (1912-1913: guerre balcaniche); la Russia minaccia più volte l’invio di una flotta a Costantinopoli, Germania e Inghilterra si litigano il territorio petrolifero di Mosul, l’Austria punta su Salonicco. Tuttavia sono Francia e GB a consentire all’Impero di sopravvivere in funzione anti-russa. Il punto caratteristico dell’ideologia dei GT è la laicizzazione dello stato. L’aspetto più negativo sono i pessimi rapporti con le varie nazionalità dell’impero. Enver proclamò che le varie nazionalità erano bandite e che sarebbero tutti stati solo ottomani.

Tratto da STORIA DELLA TURCHIA CONTEMPORANEA di Giulia Dakli
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