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Arie e recitativi


Fin da subito il teatro in musica si misura e scontra con i due assi espressivi della parola e del canto, della lingua e della musica, presto condensati nei due istituti formali dei recitativi e delle arie.
Molto presto, ma soprattutto nell’opera riformata di fine Settecento si sviluppano soluzioni intermedie tra arie e recitativi, consistenti in incrementi ritmici e musicali dei recitativi, che «cavano» dal loro interno dei momenti di canto più disteso, musicalmente più sostenuto e integrato e, più tardi, quasi delle vere e proprie arie, i cosiddetti ariosi. Si moltiplicano forme chiuse dinamiche come duetti, terzetti, brani a più voci, che sfoceranno nei grandi concertati, capaci di unire il volume e l’alto profilo musicale dell’aria con la dinamicità scenica dei recitativi.
Le arie sono introdotte da brevi «sinfonie» e l’orchestra si inserisce nelle pause del canto, spesso a fine strofa, con i suoi «ritornelli» eseguiti, oltre che dal basso continuo, anche da due o tre parti reali acute, perlopiù violini, il cui ruolo anche di dialogo con il cantante diventa via via più importante e percepibile. Le arie si svolgono in uno solo o, in genere, in due o tre tempi diversi, sviluppando soluzioni che si avvalgono dell’impianto strofico più articolato per variare le dinamiche e anche per riprendere, con movimenti diversi, gli stessi blocchi verbali. La ripetizione, di versi, di intere strofe, di parole segnala la definitiva transizione del brano solista dalle regioni della parola, con le loro esigenze di perspicuità, a quelle della musica, con le loro esigenze melodiche.
La riforma dell’opera, nel secondo Settecento, riduce il numero delle arie e valorizzando i segmenti ariosi dei recitativi e coinvolgendo i brani strofici nell’azione, avvicinando e fondendo insomma i due assi del discorso linguistico-musicale.
I brani di puro recitativo si riducono (saranno chiamati «scena») e cedono subito il passo a dialoghi sostenuti dall’orchestra, duetti veri e propri, arie soliste, concertati dinamici.
Il melodramma serio riceverà e conserverà a lungo questo strumento espressivo facendone, già nel tardo Settecento, uno strumento di sintesi drammaturgica e di amplificazione musicale, persino modificando radicalmente autorevoli testi.
La morfologia operistica si consolida in età verdiana prevedendo per i momenti melodicamente più intensi (arie, duetti, concertati) una sequenza che, in genere, prescrive dopo una scena in recitativo o un coro, un momento drammaturgicamente dinamico, un secondo momento statico con sfogo per un adagio o un largo o un cantabile, cui segue un breve tempo di mezzo (recitativo o altro) e un movimento allegro, dinamico.
L’ultima stagione dell’opera italiana fa spazio a nuovi istituti intermedi e apre definitivamente i pezzi chiusi, mentre alza ulteriormente il profilo melodico dei recitativi, che a canto pressoché spiegato intonano persino informazioni pratiche, notizie burocratiche, dialoghi molto realistici.

Tratto da DA MONTEVERDI A PUCCINI di Anna Bosetti
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