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Essere in potenza


Nell’attuale teoria dei sistemi, qualsiasi ente esiste solo in quanto scambia energia con l’ambiente. L’esistente è dunque un gioco energetico e anche noi esistiamo in quanto siamo una potenza, siamo una quantità di forza. La pulsione, come voglia di espandersi, è all’inizio indeterminata e poi si specifica come desiderio sugli oggetti. In tal modo, l’oggetto, in quanto investito dal desiderio, diventa meta, viene come animato dal desiderio. Il desiderio si manifesta come sentimento di potenza infinita, e il soggetto dimentica di essere una quantità limitata di potenza. Tale autoinganno produce esiti distruttivi sia rispetto agli oggetti, che rispetto a se stessi. Rispetto agli oggetti il desiderio illimitato tende a divorarli, a consumarli fino a distruggere il mondo. Questa dinamica però è anche autodistruttiva, nel senso che è dissipativa: disperde la nostra potenza.
Per costruirmi come soggetto io devo divenire padrone della mia potenza. Ecco come la dinamica del desiderio si connette strettamente alla costruzione del soggetto morale, in quanto il soggetto nasce come competenza di sé. Però non si avrà mai la conoscenza della potenza in termini fissi, ma solo in termini di esperienza.
L’esperienza è la modalità attraverso la quale l’uomo vivendo traccia confini. Pertanto l’uomo si conosce solo mettendosi alla prova. L’uomo però non deve cadere in balia del desiderio, solo se lo trattiene diventa competente del suo desiderio, altrimenti viene distrutto da esso. Per non farsi distruggere dal desiderio, bisogna moderarlo.
Chiunque impara queste dinamiche nel momento della delusione, in quanto non sempre gli oggetti del nostro desiderio sono a nostra disposizione. Imparare a definire confini è il modo migliore per evitare delusioni. A fronte di qualcosa che si sottrae, il desiderio che sa di essere potenza finita, non si preoccupa più di tanto, ma cerca altre cose, ricercando la corrispondenza (io attingo l’altro se l’altro mi si dà).
Certi giovani d’oggi sono incoscienti soprattutto perché non hanno coscienza della loro potenza e quindi non hanno nell’attenzione la figura del rischio, la possibilità di perdere, e in quanto onnipotenti si consegnano alla morte. Nel rischio consapevole invece c’è la connessione con il calcolo: io calcolo la mia potenza. L’uomo deve costantemente riequilibrarsi per divenire padrone di sé. Così si raggiunge un’antica virtù che è l’encrateia: il pervenire al governo di sé.
La temperanza non è allora l’inibizione del desiderio, ma la ponderazione di esso. Non a caso la nozione di temperanza nasce dalla musica, dal concetto di modulazione dei suoni. Soltanto il desiderio modulato può concedersi il piacere raffinato. Quindi chi non ha la capacità dell’autocontrollo cade in balia di un basso tasso di piacere, ottenendo l’opposto di ciò che desidera.

Tratto da GUIDA ALLA FORMAZIONE DEL CARATTERE di Anna Bosetti
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