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Le mamme filippine immigrate



Tra il 1976 ed il 1985 arrivano donne sole con  regolare contratto di lavoro; sostenute da strutture religiose- la chiesa cattolica ha rappresentato e continua a farlo un punto importante di riferimento e di aiuto al momento di arrivo nonché un luogo di aggregazione e orientamento permanente. Il tasso di scolarità è molto alto, ci sono anche laureate emigrate perché nei loro paesi gli stipendi erano troppo bassi. Si recavano in grandi città e allo scadere del contratto o tornavano a casa o si spostavano sul territorio. I contratti di lavoro prevedevano in questa fase che la colf lavorasse continuativamente in casa per cui coabitava con i datori di lavoro. Questo significava un sostanziale isolamento della donna e una mancanza di spazio fisico per se e per gli eventuali figli. I figli infatti rimanevano con le donne anziane a casa, nelle filippine; sono le donne adulte e anziane della famiglia a permettere la migrazione di quelle più giovani perché si prendono cura dei loro figli si occupano della loro custodia, dell’allevamento e dell’educazione nonché della gestione delle risorse monetarie inviate. Le donne della prima generazione rappresentano le pioniere, lo zoccolo duro dell’immigrazione filippina perché hanno portato anche alla costituzione di associazioni, enti di tutela e organizzazioni sindacali rappresentando una fondamentale rete di scambio di informazioni. Queste donne assunsero un ruolo fondamentale nel sostegno economico alla famiglia di origine dove gli uomini rimangono sullo sfondo: al contrario di altre culture in quella filippina è la donna a partire in cerca di migliori condizioni di vita.
Tra il 1985 ed il 1990 : il flusso migratorio si intensifica, le nuove arrivate sono accolte nel nuovo paese da quelle vecchie. Iniziano ad arrivare anche gli uomini che trovano nel reticolo femminile la soluzione ai loro problemi economici: mariti, fratelli, figli e nuove famiglie si creano. Il rovescio della medaglia è che questa diversa concezione della migrazione fa sentire l’uomo in condizione di dipendenza dalla donna comportando una sostanziale regressione, inferiorità, perdita del ruolo e del prestigio sociale e familiare dovuto all’uomo. Per questo spesso il ricongiungimento può configurarsi come un problema: la presenza del coniuge richiede un raggiustamento dei ruoli, un confronto tra l’immagine dell’altro mantenuta durante il distacco e quella reale. Con il prolungarsi del tempo della migrazione il bilancio degli investimenti simbolici, affettivi e economici tende a spostarsi sul qui ed ora, suggerendo nuovi comportamenti. Se è vero che i piccoli venivano e vengono tuttora affidati alle cure delle donne della famiglia nel paese di origine è anche vero che in questa seconda fase con un miglioramento delle condizioni lavorative di passaggio da domestica fissa a domestica a giornata o part time ha implicato la possibilità di avere una casa per sé, avere marito e figli e la cosa più importante, la loro istruzione. Le pioniere hanno favorito l’ingresso in Italia di sorelle, zie, cugine, cognate ecc laddove il loro arrivo è stato sicuramente più facile data la presenza delle vecchie connazionali. Per le filippine non esiste il problema della solitudine perché c’è una rete diffusa di solidarietà consolidata attorno a diversi fattori di aggregazione, in primis la chiesa. Fase attuale: l’unica occupazione possibile in Italia sembra essere la domestica che rappresenta altresì uno status symbol per la medio alta borghesia italiana. Esse però hanno generalmente un tasso di scolarità molto elevato per cui spesso le loro aspettative vengono disilluse; ma in Italia il bisogno di questi lavori è molto forte e si sta valutando il fatto che tale domanda dipenda da una carenza del sistema dei servizi alla persona.  Tra i filippini sono anche diffuse le famiglie monoparentali in ogni caso tutte le donne sono lavoratrici e sono emigrate per prime.

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