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La virtù dell'umiltà


Coraggio e umiltà sono due virtù vicine, compimento l'una dell'altra, seppure, secondo il senso comune, esse possano apparire quasi opposte. D'altronde, le virtù sono tutte legate tra loro, generatrici le une delle altre, in un processo di comprensione e di progressiva costruzione di significati, che si chiariscono, si definiscono reciprocamente.
Così il senso del coraggio come ricerca di sé, volontà di proporsi sulla scena del mondo con le proprie azioni, conduce al sentimento della propria parzialità, finitezza, possibilità di errore. Se ci si dà, se ci si espone al mondo con coraggio si assume il rischio di sbagliare e allora l'umiltà emerge non solo come consapevolezza di parzialità, ma anche come capacità di riconoscere e di ammettere questa possibilità. Coraggio e umiltà, così, appaiono specchiarsi in rimandi continui. Ogni conquista di soggettività, progressione nel percorso di individuazione, è, al tempo stesso, una rinuncia, anche se temporanea, che comporta l’accettazione dei propri limiti: l'umiltà, quindi, completa i significati e l'esercizio del coraggio.
Il pensiero materno salvaguarda la vita, è più attento al sostenere che all'acquisire e comporta la pratica dell'umiltà, come risposta al riconoscimento dei limiti e dell'imprevedibilità. In una società dominata dall'uomo queste capacità possono essere svilite, ma simili virtù richiedono una notevole dose di controllo e disciplina.
Umiltà è virtù cristiana: è Gesù stesso che richiama a sé questa virtù e invita ad imitarla. Natoli riconduce al significato di umiltà anche una possibilità di pensiero laico: umile è una persona che conosce propri limiti. Ma se essere umili significa conoscere i propri limiti, significa anche saper riconoscere le proprie capacità: ambedue compongono la nozione di coraggio e umiltà uniti. Insieme, le due virtù, ci restituiscono a noi, alla conoscenza di noi stessi, ma ci restituiscono anche al mondo, nella volontà di comprendere e cambiare, di essere con gli altri.
Umiltà è, etimologicamente: humus, terreno. Essere vicini alla terra, con i piedi per terra, avvicinando così il termine ad un altro, humus, humour, umiltà, umorismo. Essere di casa nel mondo, essere più vicini alle cose, sono il tramite o la ricompensa, ma anche la capacità, composta tra umiltà e umorismo, di attuare uno scarto che consenta di esserci, ma di osservare, di sapersi decentrare -umilmente- rispetto a ciò che accade, senza negarsi alla realtà, trovandovi altre forme di dimora. Umiltà allora è la capacità che deriva da questa nuova dimora nell'esistenza, coscienza di parzialità, desiderio di dare parola alle persone e alle cose, di trarsi a lato e fare, per un po', silenzio.
L'umiltà diventa una virtù filosofica, poiché corrisponde a quella sfumatura dell'atteggiamento fenomenologico che è la fiducia nelle cose stesse e la silenziosa disponibilità a lasciarle parlare per prime, a lasciare che il fenomeno si enunci, prima di imporgli il nome e la teoria.
Nella relazione pedagogica, e in qualunque relazione, attraverso l'umiltà si possono trovare forme del conoscere e un sapere che non pretende di proporsi come sistema, ma diviene sapere dialogico, che si offre per rivolgersi a qualcuno, si fa discorso e scambio e così esso non indica più qualcosa, ma si rivolge a qualcuno. Diviene un procedere domandando, camminare ascoltando la voce dell'altro.

Tratto da NUOVE VIRTÙ di Anna Bosetti
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