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Baran e Sweezy, tesi sulla pubblicità. Economia, consumatore, media



La pubblicità e l’economia. Nell’industria internazionale si è creato un sistema oligopolistico in cui poche grandi compagnie sono responsabili del grosso della produzione del loro settore; il problema dell’industria sta nella carenza di domanda in rapporto al suo potenziale produttivo: come riuscire a vendere i prodotti. Le aziende si fanno concorrenza non attraverso i prezzi, ma attraverso il marketing e quindi la pubblicità. Sulla pubblicità vi è una differenza di posizioni: coloro che la difendono fanno notare come questa dia un forte impulso alle vendite e ai consumi (indispensabili per il funzionamento dell’economia capitalistica), favorisce l’introduzione di nuovi prodotti e l’apertura a nuove possibilità di investimento; inoltre fornisce le risorse finanziarie per i mezzi di comunicazione. I critici della pubblicità invece partono da presupposti differenti: sostengono che la pubblicità porti a uno spreco massiccio di risorse materiali e umane; inoltre si pensa che se non ci fosse la pubblicità si affermerebbe la piena occupazione, poiché le risorse destinate alla pubblicità sarebbero destinate altrove. Ma, sostengono i difensori, i tentativi di ridurre o abolire la pubblicità potrebbero avere conseguenze dannose, se non fossero accompagnati da una pianificazione efficace per il conseguimento di un’occupazione piena e socialmente desiderabile.
La pubblicità e il consumatore. Secondo i critici della pubblicità le campagne possono influenzare il consumatore al punto da vendergli qualsiasi cosa; i difensori obbiettano però che nessuna campagna può indurre all’acquisto di un prodotto inutile o meno economico di altri sul mercato; se il prodotto non va incontro ai desideri del consumatore, la pubblicità fallisce. Gli effetti della pubblicità sui consumatori non si possono misurare valutando le reazioni a singole campagne, ma solo se si tiene conto della totalità degli stimoli fisiologici e delle forze sociali che determinano la formazione dei bisogni in un determinato contesto storico.
La pubblicità è più efficace quando mira a rafforzare i bisogni latenti dei consumatori; il desiderio di comprare un determinato oggetto, di seguire le ultime mode non può essere attribuito alla pubblicità, ma proviene dall’atmosfera generale che si respira nella società, di cui la pubblicità è fautrice. Inoltre, la pubblicità offre al consumatore a posteriori la giustificazione di un comportamento d’acquisto che potrebbe apparirgli inaccettabile su altri piani.
La pubblicità e i mezzi di comunicazione di massa. Le grandi cifre investite dalle aziende in pubblicità mantengono in vita i grandi mezzi di comunicazione; questi ultimi per massimizzare gli introiti si rivolgono a strati di popolazione quanto più ampi possibile. Questo dà un forte impulso a non trattare argomento alti, intellettuali, ma argomenti sensazionali come i delitti, il sesso ecc.
La pubblicità e i valori. La pubblicità e i programmi veicolati dai media non creano nuovi valori ed atteggiamenti, ma riflettono valori già esistenti e sfruttano gli atteggiamenti più diffusi, rafforzandoli e contribuendo alla loro diffusione. La pubblicità ha successo quando non cerca di mutare gli atteggiamenti, ma quando si collega ad atteggiamenti esistenti.
Il danno più grave che la pubblicità porta è quello di mercificare tutto ciò che tocca, attraverso la prostituzione di uomini e donne che prestano la loro intelligenza, voce e faccia a scopi in cui non credono.

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