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Letteratura contro pubblicità. Conrad, Huxley e Orwell


Le prime inquietudini si fanno strada nei paesi più avanzati: il mondo della pubblicità viene descritto a tinte fosche in Giungla dell’americano Upton Sinclair, in cui si descrivono le condizioni inumane nell’industria della carne di Chicago, e si mette in mostra la realtà di sfruttamento nascosta dietro la superficie della pubblicità. Anche Joseph Conrad nel racconto Un anarchico parla di un colosso delle carni in scatola, associando la pubblicità a valori socialmente riprovevoli come la slealtà, il freddo calcolo economico, l’inganno.
Altri due romanzi inglesi degli anni trenta offriranno una rappresentazione decisamente negativa della pubblicità: il primo è Il mondo nuovo di Huxley, una distopia (contrario di utopia) dove di parla di una società futura (il racconto è proiettato nel 2540) straordinariamente negativa, pianificata rigidamente a livello economico e dove di utilizza l’eugenetica per la produzione di individui diversamente dotati, e si controlla l’opinione pubblica attraverso l’utilizzo di droghe. Un ingegnere emotivo scrive gli slogan che servono per condizionare i cittadini; slogan che sotto i dettami dell’ipnopedia vengono ripetute nel sonno, per fissarsi alla coscienza degli individui e trasformarsi in verità incontestabili. Orwell, in Fiorirà l’aspidistra, narra di un aspirante poeta che rinuncia al denaro e al benessere per fedeltà alla sua vocazione artistica; egli prima era uno stimato copywriter, ma aveva abbandonato il disprezzato lavoro per scrivere poesia, sprofondando nella miseria; al termine del romanzo però decide di ritornare all’antica professione.

Tratto da LETTERATURA E PUBBLICITÀ di Mario Turco
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