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L’espansione coloniale del XVIII secolo: spagnoli e portoghesi in America


Nel XVIII secolo potenze ridotte a rango secondario in Europa, come la Spagna e il Portogallo, possedevano estesissimi territori oltre oceano mentre nella corsa all’espansione coloniale in Asia e in Africa, Spagna e Portogallo furono esclusi perché la spinta a quella corsa fu fornita dai ceti commerciali e imprenditoriali delle grandi potenze economiche e politiche dell’Europa durante il 600 e il 700: Olanda, Inghilterra e Francia. L’impero coloniale spagnolo nel 700 comprendeva gran parte dell’America meridionale, le isole dei Caraibi, il Messico e la Florida. Nell’oceano Pacifico le isole Filippine. Al vertice dell’amministrazione erano i vicerè in Messico e in Perù, capitani, generali e governatori negli altri territori: questi avevano tutti poteri assai ampi. Gli elementi deboli del sistema coloniale spagnolo erano 3: la fragilità militare; la corruzione e la scarsa efficienza dell’amministrazione coloniale; la chiusura e il conservatorismo dei gruppi dirigenti coloniali.
I possedimenti coloniali del Portogallo comprendevano il Brasile, basi commerciali sulle coste africane, indiane, indonesiane e in alcune isole del Pacifico le differenze tra il sistema coloniale spagnolo e quello portoghese erano che il primo presentava più articolate relazioni interne; economie diversificate e gerarchie tra aree minerarie, zone agricole, zone per l’allevamento; circuiti commerciali che consentivano l’integrazione maggiore dentro il sistema. Nel sistema coloniale portoghese la scarsità della popolazione determinò una domanda assai limitata. Il clima più o meno uniforme del Brasile impedì la diversificazione della promozione. In entrambi i sistemi comunque l’espropriazione coloniale serviva a colmare una parte del deficit della bilancia commerciale della madrepatria.

Tratto da LE VIE DELLA MODERNITÀ di Filippo Amelotti
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