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Il ruolo dell’ideologia nel primo impero cinese

Nella millenaria storia della Cina non vi è mai stata una chiesa organizzata in grado di influenzare il potere politico in maniera paragonabile alla Chiesa cattolica in Europa. Le religioni e le filosofie in Cina sono state connesse al potere politico in maniera diversa. Il potere politico ha sempre goduto di una sorta di primato, che, al più, poteva essere rafforzato tramite la concordanza con una dottrina o attraverso dei riti sacri. Così anche il culto degli antenati, oltre all’indubbio valore sacrale e religioso intrinseco, trovava una sua motivazione anche dal punto di vista politico e sociale, come uno dei riti che contribuivano a stabilizzare l’ordine sociale esistente.
Si è già visto come il complesso dei rituali avesse un ruolo chiave nella Cina arcaica delle tre dinastie. Il periodo delle primavere e degli autunni, con i suoi profondi sconvolgimenti politici e sociali, contribuì ad interrompere (ma non a uccidere) l’antica tradizione. Nel relativismo delle Mille Scuole, che sorsero e si svilupparono in quel periodo, va ricercata la fondazione del nuovo ordine ideologico da cui si evolverà la filosofia politica e la giustificazione filosofica del Primo impero.
Shi Huangdi rappresentò una soluzione di continuità, la volontà di abbandonare la vecchia tradizione per istaurare un nuovo ordine, basato principalmente sugli assunti della scuola leghista. Senza un maestro iniziatore e di collocazione temporale incerta (forse IV secolo a.C.), la scuola leghista (vedi pag. 111) era probabilmente nata per risolvere obiettivi pratici di governo e i suoi maestri prestavano il loro consiglio ai vari principi. Successivamente deve essere avvenuta l’elaborazione teorica, i cui assunti ricordano in un certo qual modo il machiavellismo. Il buon governo si otteneva quando il sovrano accentrava in se tutto il potere ed emanava un codice legislativo in grado di essere applicato macchinalmente a tutte le situazioni. I saggi e gli uomini virtuosi sarebbero quindi stati sostituiti dall’applicazione automatica della legge. L’importate è che accanto alla scala delle pene prevista per i nemici dello stato, vi fosse anche una scala di ricompense per i suoi servitori. La natura cattiva dell’uomo, il suo egoismo, doveva essere accattato come un fatto di natura e sfruttato a suo vantaggio dal sovrano, attraverso lo strumento della tattica. La tattica consisteva nell’abilità di saper utilizzare a vantaggio dello stato l’egoismo e le vanità dei propri sudditi e dei propri amministratori, lasciandoli sempre all’oscuro delle propri reali intenzioni (intenzioni del sovrano). Il leghismo giustificava il potere in base ai risultati che esso riusciva a conseguire in termini di bene generale e non in termini religiosi o filosofici.

Si tratta ancora oggi di una speculazione tutt’altro che chiusa, e infatti il leghismo sopravisse -soprattutto come pratica di governo, anche alla morte di Shi Huangdi, l’imperatore che ne aveva fatto al dottrina ufficiale dell‘Impero. Liu Bang e i suoi eredi non si occuparono molto di ideologia, e nell’Impero le varie tendenze continuarono a svilupparsi senza che la corte ne favorisse una in particolare. Il punto di svolta fu ancora una volta l’ascesa al trono di Wu-Ti che, pur essendo nei fatti l’imperatore più leghista di tutta la dinastia Han, eresse il confucianesimo a dottrina ufficiale dell’Impero, recuperando idealmente, attraverso esso, quel rapporto con la tradizione (Cina arcaica) che Shi Huangdi aveva così arbitrariamente deciso di interrompere. Confucio soleva dire “io non creo niente, amo li antichi e li insegno”. Il Confucianesimo -già ampiamente diffuso all’epoca di Wu-Ti, era per antonomasia la dottrina della tradizione, la più autorevole e stimata dai saggi. Wudi ne fece la colonna portante e l’ideologia unificatrice dell’impero, la sua unità culturale. Questa scelta sarebbe sopravissuta alla sua morte e avrebbe influenzato in maniera significativa l’evoluzione del Impero fino alla rivoluzione borghese del 1911. 
La fortuna del confucianesimo non si deve però solo alle scelta di Wu-Ti: il recupero del passato è sempre una cosa importante e il confucianesimo fu sempre (per tutti i duemila anni dell’Impero), oggetto di rielaborazioni continue, atte a renderlo adeguato ai tempi o alle necessita dell’elite dominate. Anche il confucianesimo introdotto da Wu-Ti era ormai profondamente differente da quello originario del maestro risalente al 500 a.C. L’elaborazione consisteva nell’interpretazione dei cinque testi attribuiti dalla tradizione a Confucio (i Cinque testi sacri): l’esegesi si otteneva cercando di rendere ineleggibili i significati reconditi in essi contenuti, sconfinando, anche, a volte, nella rivisitazione allegorica. Dietro alle diverse letture dei classici, oltre ai sinceri ampliamenti dottrinali, potevano quindi nascondersi scontri politici e lotte per il potere. 

Tratto da STORIA DELLA CINA di Lorenzo Possamai
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