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La dinastia Qing

La dinastia Qing (1644-1911)

Fu all’inizio del regno del nuovo imperatore Da Qing, Shunzhi (1644-61), sotto la tutela di due reggenti per via della sua giovane età (aveva solo sei anni quando salì al trono), che le aspirazioni di Abahai vennero improvvisamente realizzate. Come si è visto nel precedente capitolo, il generale Wu Sangui, le cui truppe difendevano l’Impero dai mancesi presso il passo di Shanhaiguan, si unì a sorpresa con questi ultimi e assieme a loro puntò su Pechino. L’esito fu che i mancesi si trovarono a governare sull’intera Cina più i loro precedenti territori. 
Benché i mancesi fossero una popolazione straniera, la dinastia Qing si differenziò dalle altre di origine barbarica perché era già, nel momento in cui si insediò, profondamente sinizzata. La loro dinastia inoltre non venne stabilita attraverso una mera invasione: alleati dei militari cinesi nella repressione delle rivolte popolari, i mancesi si insediarono nella Cina settentrionale con il consenso di una notevole porzione della classe dirigente e dell’apparato militare. Anche il fatto che per tutto il resto del regno dell’imperatore Shunzhi, e anche per parte di quello del suo successore, Kangxi (anch’egli salito al trono giovanissimo), la dinastia Qing si trovasse a dipendere per la sua stabilità da Wu Sangui e da altri generali cinesi che conducevano la pacificazione del Sud, dimostra come essa non si inserì quale elemento straniero nel gioco cinese, ma come un attore riconosciuto. 
Ciò tuttavia non deve traviare: la fedeltà ai ming era forte nel paese e una parte consistente della classe dirigente non si rassegnò all’occupazione straniera e vi si oppose unendosi alla guerriglia lealista nel Sud, o ritirandosi a vita privata in una sorte di resistenza passiva. È esemplare il caso del distretto di Jiading, in cui la gentry mobilitò per la resistenza l’intera comunità locale nel 1645. Fu soprattutto nel Sud che i lealisti conobbero i maggiori successi. Nelle regioni meridionali infatti si crearono e sopravissero per alcuni anni regimi che si rifacevano alla vecchia dinastia, e alcuni storici hanno prolungato il periodo Ming fino al 1661, quando l’ultimo principe della casa regnante si arrese al generale Wu Sangui. La resistenza dovette infine soccombere per la debolezza delle forze lealiste che a causa dei dissidi interni non riuscirono a fare qual fronte comune che invece costituiva la forza dei loro avversari. Inoltre sul piano economico la perdita del Nord e dei traffici con le popolazioni sino-barbariche, pesarono non poco sulla sviluppata economia del Sud e si riflessero sulle capacità militari dei realisti. 
Siamo ora in grado perciò di rispondere alla domanda con la quale è stato aperto il capitolo: come riuscì la piccola potenza mancese a conquistare il grande Impero Ming. La risposta che pare più convincete è che in realtà la dinastia Ming fu vittima di se stessa e non dell’esercito mancese. I continui contrasti interni fra gli eunuchi e la gentry, fra il governo imperiale e i grandi mercanti che reclamavano maggior libertà di commercio; il grave fenomeno dell’evasione fiscale che aveva prodotto buchi spaventosi nel bilancio statale; la mancata capacità di riformare la struttura dell’esercito e le continue rivolte popolari; furono i fattori che determinarono la caduta della dinastia prima, e, poi, l’impossibilità per le forze realiste (indebolite dagli stessi problemi) di riuscire a costruire un fronte compatto. In quest’ottica l’abilità dei mancesi fu solo quella di saper abilmente sfruttare la congiuntura favorevole e saper impostare, una volta saliti al potere una politica saggia, coinvolgendo i cinesi nell’amministrazione e dimostrandosi clementi con coloro che si arrendevano. Determinate fu all’inizio e per tutto il periodo della pacificazione inoltre, il contributo di Wu Sangui e di altri generali cinesi. E anche il fato che una parte della popolazione, stanca delle continue sommosse che avevano caratterizzato il tardo periodo Ming, accettasse i nuovi conquistatori con indifferenza, rilevando che essi almeno, riuscivano a mantenere l’ordine. 

Tratto da STORIA DELLA CINA di Lorenzo Possamai
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