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Dialogo tra Protagora e Socrate


I rapporti tra l’insegnamento dei sofisti, la politica e l’ideale socratico di virtù sono riproposti in un dialogo in cui Platone riferisce la discussione svoltasi tra Protagora e Socrate. Socrate si dichiara scettico sul fatto che l’arte politica possa essere insegnata. Dice che i nostri migliori uomini politici non riuscirono a trasmettere la loro virtù politica ai figli.
L’affermazione di Socrate che la virtù è conoscenza implica che il fondamento del potere, la legittimazione del comando come dell’ordine politico risiedono nel sapere. La politica non può sottrarsi ad una indagine razionale dei suoi fini. I sofisti nel Gorgia discutono con Socrate sull’essenza della politica. Gorgia aveva esaltato la competenza della parola in quanto dominatrice degli affetti, delle passioni, in grado di determinare quelle convinzioni e quell’assenso che consentono al politico di esercitare il potere. Per lui il potere non è altro che il potere della parola. Gorgia poi tiene a precisare che la retorica ha un valore strumentale, un’abilità come quella che si procurano gli atleti, che può essere bene o male usata, senza che si possa attribuire la responsabilità alla stessa retorica o a chi l’ha insegnata. Ma secondo Socrate proprio in questa affermazione si nasconde una radicale contraddizione: la retorica si distingue dalle altre discipline che si svolgono mediante la parola perché la sue argomentazioni si riferiscono sempre al criterio del giusto e dell’ingiusto, del buono e del cattivo, ma essa non è in grado di pervenire al sapere, alla scienza, ma solo all’opinione, non a ciò che è ma a ciò che sembra. Quindi il retore non parla di ciò che sa ma di ciò che crede di sapere. Non è quindi possibile far buono o cattivo uso della retorica se il retore ignora che cosa sia il bene e il male, il giusto e l’ingiusto. La retorica è l’arte dell’adulazione, la politica è l’arte rivolta allo spirito. Anche nella politica devono distinguersi due specie minori, l’arte legislativa e la giustizia. La retorica non è altro che un travestimento dell’arte politica.
Polo non è convinto e chiede a Socrate come possiamo esprimere un giudizio negativo sulla retorica se essa conferisce a chi la sa usare il potere, cioè la possibilità di appagare qualsiasi nostro desiderio. Dice che è il potere che rende veramente felici gli uomini. Socrate dice che è u’apparente felicità che nasconde la più grande sventura che possa capitare all’uomo: vivere nel male e trascinare gli altri nel male.
Poi interviene Callicle che ripropone la distinzione tra natura e legge: il problema della politica deve essere affrontato alla luce di questa distinzione, tra ciò che è giusto secondo natura e ciò che è giusto secondo le leggi. Queste sono fatte dalla moltitudine costituita da pavidi, deboli, da quanti sono incapaci di compiere grandi azioni per difendersi dai pochi, i forti, in grado di affermare la propria supremazia e di dominare i molti. La legge condanna, dichiarando ingiuste le azioni con cui i forti si impadroniscono del potere. La natura invece dimostra che solo i migliori, cioè i capaci, gli intraprendenti, i forti, riescono sempre a dominare. Questa legge di natura si manifesta nei rapporti tra gli stati dove la forza è l’unica fonte e la sola legittimazione dei diritti che rivendicano nei confronti delle altre collettività politiche. La politica sancisce la supremazia e il dominio del più forte che per legge di natura deve comandare la massa. Socrate non approva la riduzione della politica al potere. Egli dimostra la contradditorietà della tesi sostenuta da Callicle. Basta rilevare che la legge umana, proprio perché fatta dalla moltitudine che è certamente di gran lunga più forte dei pochi o dell’uno, è una legge di natura e quindi esprime principi e valori giusti. La tesi di Callicle serve a dimostrare esattamente il contrario delle sue affermazioni.
Callicle precisa che la vera essenza della politica si esprime nella volontà di potenza e nell’etica del superuomo: solo chi è capace di immense passioni è in grado di darsi un carattere deciso e valoroso in modo da poter dare piena soddisfazione alle sue brame. Questa capacità di vivere al livello delle forze primigenie è riservata solo a nature eccezionali alle quali non può essere posto il limite della morale degli uomini comuni che è quella dei deboli, di chi vuole nascondere la sua impotenza e cerca di rendere servili le più vigorose nature. Socrate dice che la volontà di potenza e l’etica del superuomo procurano un bene illusorio perché finiscono con identificare il bene con il piacere. Se seguiamo l’istinto del piacere esso si tramuta a poco a poco in un male. Il bene rappresenta il criterio oggettivo in base al quale l’anima può evitare il male oppure sopportando la giusta pena riscattarsi dal male. L’esistenza del bene nella sua oggettività consente all’uomo di diventare consapevole di ciò che fa, così che sia in grado di indirizzare le sue azioni alla giustizia e alla temperanza: solo così diventa amico del suo simile e di Dio.
Il Gorgia si conclude con una critica radicale della politica ateniese seguita nel corso della guerra del Peloponneso.

Tratto da STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE di Filippo Amelotti
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Socrate
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