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Phoudon: La proprietà


La proprietà non può essere in alcun modo giustificata: non può essere accolta come diritto naturale dato che pone una distinzione netta tra chi ha e chi non ha, contraria al diritto assoluto di uguaglianza. Né può essere legittimata come diritto fondato sull’occupazione o sul lavoro. Il diritto di occupazione che risale all’originario stato di natura in cui tutto era comune deve essere riconosciuto eguale in tutti gli individui. Il diritto di occupazione indica il vero contenuto della proprietà che è l’usufrutto. Chi detiene la cosa è responsabile della cosa che gli è stata affidata e tenuto ad usarla conformemente all’utilità generale in vista della conservazione e dell’incremento della cosa e non può dividere l’usufrutto in modo che un terzo svolga il lavoro mentre egli ne raccoglie i frutti. È invece posto sotto la sorveglianza della società, soggetto alla condizione del lavoro e alla legge dell’uguaglianza.
La proprietà non può avere come oggetto la terra che essendo indispensabile alla conservazione dell’uomo è un bene comune e non suscettibile di approvazione.
Per altri beni mobili, il rapporto che si istituisce tra gli uomini e le cose mediante il lavoro consente solamente di riconoscere il diritto di chi lavora alla proprietà di ciò che produce ma non a quella dei mezzi di produzione. Il diritto al prodotto è esclusivo, il diritto allo strumento è comune.
Il capitalista si appropria della maggior parte della ricchezza prodotta da un’organizzazione e si limita a retribuire il lavoratore con un salario che lo fa vivere mentre lavora senza garanzia per una sussistenza futura.
Mentre il proprietario si avvale del lavoro del contadino o dell’operaio per avere un profitto e nello stesso tempo per conservare ed accrescere il capitale per continuare a produrre, il lavoratore è costretto a vivere alla giornata ed è escluso dai benefici della ricchezza che si deve al suo lavoro. Il principio che la proprietà si fonda sul lavoro porta all’affermazione della uguale partecipazione dei lavoratori alla ricchezza prodotta, ad una forma di proprietà sociale o collettiva del capitale, dei mezzi di produzione, fondata sull’eguaglianza delle retribuzioni e delle prestazioni.
La proprietà privata non può essere giustificata. La proprietà è un furto perché costituita dalla ricchezza sociale che non è stata distribuita e che è stat invece attribuita al titolare del diritto di proprietà.

Una volta abolita la proprietà si tratta di sapere quale tipo di società potrà garantire uguaglianza e libertà.
La società proposta dai teorici del socialismo e del comunismo, diventata proprietaria dei mezzi di produzione, attua un ordinamento che ricostituisce i rapporti di dominio e sfruttamento insiti nella proprietà privata, per cui l’individuo finisce per diventare un mero strumento della società senza possibilità di libertà e indipendenza.
Occorre invece dar vita ad una libera associazione il cui scopo è di mantenere l’uguaglianza nei mezzi di produzione e l’equivalenza negli scambi. Si elimina in tal modo il governo dell’uomo sull’uomo e si instaura l’ordine nell’anarchia intesa come assenza di sovranità e signoria.

Tratto da STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE di Filippo Amelotti
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