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La cosiddetta guerra archidamica (431-421 a.C.)

La cosiddetta guerra archidamica (431-421 a.C.)

Segue un commento molto esplicito, da parte di Tucidide, sulla vera natura della pace (cap.25): si astennero da operazioni militari dirette a colpire il suolo dei loro due stati, per sei anni e dieci mesi ⇒ per quasi 7 anni, Ateniesi e Spartani non si combattono più direttamente, né invadono i reciproci territori; ma all’estero, durante questo periodo di tregua non solida, si infersero a vicenda ferite gravissime. 
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Infine, costrette a sciogliere il patto concluso dopo dieci anni di lotta, riaccesero per la seconda volta lo stato di guerra aperta ⇒ la guerra è una, perché la pace di Nicia non è in realtà una vera pace, ma soltanto una temporanea sospensione delle ostilità, dal momento che formalmente viene stipulata una tregua, ma non risolve il problema centrale di tutta la guerra, cioè l’imperialismo ateniese e la conseguente paura che suscitava a Sparta. Ma questo problema può essere risolto soltanto nel momento in cui una delle 2 parti viene sconfitta. 
La tregua durò finché gli Spartani con gli alleati a fianco umiliarono la potenza ateniese e invasero le Lunghe Mura con il Pireo. Ventisette anni di guerra erano corsi fino alla data di questo evento (cap.26). 

Il cap.26 del Libro V è spesso ricordato come una seconda introduzione (Anche la narrazione di questi avvenimenti è stata composta dallo stesso Tucidide), e vuole proprio essere un elemento di continuità tra la fase della guerra archidamica e gli eventi successivi al 421 a.C. : poiché stilerà un giudizio erroneo, chi non convenga sul definire guerra l’intervallo d’anni in cui prevalse la tregua. Scruti alla luce dei fatti positivi gli elementi che distinsero questo periodo dal precedente o da quello che lo seguì: e potrà riscontrare quanto sia fuor di luogo attribuire gli autentici caratteri della pace a quest’epoca di passaggio: durante la quale né si riconsegnò, né si ottenne ciò che il negoziato aveva prescritto. 
Tucidide poi riporta alcune notizie sulla propria vita e sul proprio esilio, anni durante i quali ha avuto la possibilità di raccogliere numerose informazioni sugli eventi, soprattutto nel Peloponneso. 
In questi anni così travagliati si assiste ad una serie di riallineamenti, alcuni solo tentati, altri andati a buon fine. Sicuramente, uno degli attori più attivi è Corinto, che cerca di sabotare la pace, in quanto, essendo i più grandi rivali commerciali di Atene, vogliono arrivare alla sua sconfitta definitiva ⇒ si rivolge ad Argo, l’altra potenza insoddisfatta della pace (cap.28). 

Corinto cerca di mettere in guardia Argo sull’alleanza tra Sparta e Atene ⇒ intavolarono negoziati con alcune autorità argive, risoluti a imporre il concetto che, poiché Sparta aveva ormai stretto obblighi di distensione e di alleanza con Atene, cioè col nemico in passato più fiero, certo in vista dell’asservimento, non della prosperità del Peloponneso, urgeva un intervento sollecito e diretto di Argo (cap.27) ⇒ Agli Argivi il proposito espresso dai Corinzi parve tanto più accettabile, in quanto si percepiva ormai come Sparta affilasse le armi contro di loro (la guerra con Sparta è ormai prossima ⇒ un’alleanza con Corinto garantirebbe una elemento immediato di sicurezza, un utile appoggio), ma soprattutto poiché si concretava la speranza di un impero argivo esteso a tutto il Peloponneso (cap.28). Queste righe hanno dato vita ad un lungo dibattito contemporaneo nella teoria delle relazioni internazionali, specie tra i realisti, su quelli che vengono visti come i 2 fini idealtipici dell’azione degli Stati: 
− in un mondo anarchico, il fine idealtipico per eccellenza è la sicurezza – posizione sostenuta in particolare da Waltz; 
− soprattutto secondo i cosiddetti realisti offensivi – ed in particolare Mearsheimer – il fine idealtipico è la massimizzazione della potenza. 

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Prendendo il caso emblematico di Argo, vediamo come questa potenza accetti l’alleanza proposta da Corinto per entrambi i motivi ⇒ è davvero problematico distinguere, sia sul piano concettuale, sia su quello storico, potenza dalla sicurezza: difendendosi, Argo si mette anche in una posizione di potere relativo migliore. 
Argo si propone dunque (o almeno aspira ad esserlo) come un terzo polo, e prende qui delle misure non solo difensive, ma anche per costruire un impero nel Peloponneso, sostituendosi a Sparta. 
Mantinea e altre città si dichiarano disposte ad aderire all’alleanza con Argo e Corinto: anche tra gli altri sparsi nel Peloponneso circolavano voci dirette a illustrare per tutti l’urgenza di quel passo: si sussurrava tra i denti che quelli di Mantinea avevano agito in questo modo perché la sapevano più lunga degli altri, e si fremeva di collera contro Sparta, tra l’altro, al ricordo di quell’articolo inserito nel piano di pace… Soprattutto questa clausola rendeva inquieto il Peloponneso, e gli incuteva il sospetto che Sparta trafficasse con Atene, spinta da ambizioni dispotiche sull’intero paese ⇒ la maggioranza per questa apprensione si affrettava, città per città, a negoziare con Argo i preliminari di un’intesa (cap.29). Anche gli Elei si uniscono all’alleanza con Argo; si iscrissero alla lega… anche i Corinzi e i Calcidesi della Tracia. Per contro i Beoti e i Megaresi, pur attratti da quella causa, preferirono non compromettersi (cap.31). 
Tuttavia, questo piano così grandioso va in fumo, forse perché Corinto non è del tutto seria nelle proposte avanzate ad Argo. All’inizio della guerra, Corinto aveva minacciato Sparta di defezione, una minaccia fine a se stessa, dato che senza Sparta Corinto non può muovere guerra contro Atene ⇒ anche l’alleanza con Argo risulta essere ambivalente: se davvero si riesce a costruire un’alleanza forte tanto quanto la Lega peloponnesiaca bene, altrimenti è meglio restare ad osservare che piega prendono gli eventi. 
Anche Tegea si oppone all’alleanza con Argo e Corinto. 

Tegea è una solida oligarchia nel cuore del Peloponneso e la sua defezione sarebbe stata importantissima perché avrebbe trascinato con sé anche altre città vicine a Sparta. Ma di fronte alla volontà precisa di Tegea di astenersi da qualunque danno offensivo ai danni di Sparta, i Corinzi, prodigatisi fino ad allora, spensero i propri sediziosi bollori e presero a considerare seriamente il rischio che nessun’altra città si accostasse più a loro (cap.32). 
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Comincia la ritirata dei Corinzi e di altre città, di fronte alla mancanza di un alleato così importante come Tegea. 
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Corinto cerca di convincere i Beoti, ma anche essi rifiutano l’invito (cap.32), perché si sentono intrappolati da una simile proposta: se la Beozia si alleasse con Corinto diventerebbe troppo vulnerabile, legandosi ad Atene, oltre al fatto che si legherebbero con gli Argivi, senza che questo rientri negli interessi della Beozia. 
Nel frattempo, a Sparta, 2 efori complottano contro il trattato di pace con Atene (cap.36): è questo un chiaro esempio di quella che può essere definita “diplomazia personale” = i piani vengono proposti da 2 personalità molto importanti, che, però, non rispecchiano necessariamente la linea del governo. Secondo il piano, Corinto e Tebe dovevano allearsi con Argo (o almeno di fare finta di allearsi), per poi spingere Argo dalla parte di Sparta, giacché nei programmi di Sparta, prima di aprire le ostilità con Atene e dichiarare scaduta la convenzione, un punto fermo restava l’acquisto della solidarietà, politica e militare, di Argo. In cambio, gli Spartani chiedevano la restituzione di Panatto, da scambiare in seguito con Atene per riavere Pilo. 
Tuttavia, si verifica un problema di comunicazione, perché vengono informati di questo piano i comandanti, ma non i Consigli federali della Beozia, che detengono il potere decisionale in materia ⇒ una volta investiti dall’idea di doversi alleare con Argo non sono però a conoscenza dei piani impliciti e temono che si tratti di una vera alleanza ⇒ i membri dei Consigli beoti bocciarono il progetto, temendo di compromettere le relazioni con Sparta… i Beotarchi, per parte loro, si erano astenuti dal riferire i mandati ricevuti da Sparta (cap.38). 
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Anche l’idea di mandare ad Argo l’ambasceria promessa si arenò: e un generale disinteresse prevalse, nell’attesa torpida di tempi migliori (cap.38). Sparta riesce comunque a giungere ad un’alleanza con i Beoti (cap.39), pur consapevoli dell’offesa inflitta ad Atene, poiché l’accordo prescriveva che solo per decisione unanime si potevano intrattenere rapporti di pace o di guerra (cap.39) e, soprattutto, in seguito alla quale la fortezza di Panatto viene consegnata agli Spartani, cosa che Atene voleva evitare in tutti i modi. 
In tutta questa situazione confusa, Argo comincia a cambiare atteggiamento, per timore di rimanere isolata ⇒ gli Argivi stettero sul chi vive… si profilava la minaccia dell’isolamento internazionale ⇒ Argo ripiega su un patto con Sparta: sotto l’incubo di dover affrontare una coalizione di Sparta, Tegea, della Beozia e di Atene… si era imposta l’opinione che allo stato attuale delle rispettive forze il riparo più utile fosse la firma di un trattato con Sparta, senza discuterne troppo i particolari: e frenarne certi entusiasmi (cap.40) ⇒ sebbene ambisse alla potenza, ora che questo sogno è sfuocato, l’obiettivo minimo diventa la sicurezza. 
Nel frattempo, ad Atene, gli animi sono particolarmente accesi, perché vennero a sapere che Panatto era rasa al suolo ⇒ si fiammeggiò di collera… Sparta aveva l’obbligo di restituire un forte in perfetta efficienza, non dei ruderi: l’offesa era sanguinosa; si veniva inoltre a sapere che Sparta… aveva stretto un’alleanza separata con i Beoti (cap.42). 
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Ben presto, la pace di Nicia si rivela essere una cornice vuota, all’interno della quale le 2 potenze continuano a danneggiarsi a vicenda. 
L’inasprimento improvviso dei rapporti spartano-ateniesi offrì alle correnti che caldeggiavano in Atene la denuncia del trattato (il “partito della guerra”) l’occasione per riprendere e moltiplicare gli sforzi. Primeggiava tra gli altri Alcibiade, immaturo d’anni a quell’epoca, per qualunque altra città, ma ormai in alto ad Atene (si sottolinea la diversità di Atene dalle altre città), sulle ali del prestigio trasmessogli dagli avi. Costui era certo che il colloquio con Argo avrebbe prodotto miglior frutto: d’altra parte, non era estranea a questo suo rigore contro la pace spartana la trafittura inferta all’ambizione di cui andava superbo, quando gli Spartani negoziarono la tregua valendosi degli uffici di Nicia e di Lachete e scartando, per l’età troppo acerba, il suo nome (cap.43). ⇒ iniziano i negoziati tra Atene ed Argo per giungere ad un’alleanza. 
Nicia, a capo del “partito della pace”, cerca di bloccare le trattative, ma Alcibiade gioca un tiro mancino agli ambasciatori spartani, di fronte all’Assemblea ateniese, provocando le ire del popolo (cap.45) ⇒ Nicia fu costretto a mandare degli ambasciatori a Sparta, chiedendo la restituzione di Panatto e l’annullamento dell’alleanza con i Beoti (cap.46). Di fronte alla risposta negativa di Sparta, Alcibiade ha la strada spianata per giungere all’alleanza con Argo, nella quale si prevedeva un patto di non aggressione (capo II: sarà vietato per legge di brandire le armi per un’aggressione ad Atene e agli alleati, e viceversa) e un’alleanza difensiva (capo IV: si prescrive anche ad Atene di soccorrere Argo, Mantinea ed Elea se un’armata ostile invade i loro territori, e viceversa). 
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− Alleanza tra Atene, Argo, Mantinea ed Elea; 
− Corinto è rimasta fuori da ogni intesa, e pensa, anzi, di rientrare nell’orbita spartana (cap.48). 

Malgrado tutto, non ne nacque tra Spartani ed Ateniesi l’annullamento della loro tregua (cap.48). 
Segue la campagna militare nel Peloponneso, che culmina nella battaglia di Mantinea, combattuta principalmente da Argo e Sparta, battaglia descritta da Tucidide come il fatto d’armi di maggior peso tra genti greche (cap.74). 
Questa battaglia è importante soprattutto perché Sparta non perde: se avesse perso, a questo punto tutta la sua alleanza si sarebbe probabilmente sgretolata. Invece, il fatto di essere riuscita in qualche modo a prevalere non ha risvolti importanti solo dal punto di vista militare, ma anche e soprattutto psicologico e politico: si dissolse, alla risolutezza mostrata in quest’ultimo scontro, il nome imposto agli Spartani di viltà, con risonanza via via più larga in quel tempo nel mondo greco, a causa della disfatta sull’isola (= l’episodio di Pilo), e le altre accuse di volontà inerte e goffa (cap.75) ⇒ con la vittoria a Mantinea Sparta riacquista la sua immagine potente: fu quello il momento per gli Spartani di mostrare, con il più chiaro risalto, che superati da ogni lato per destrezza ed esperienza tattica, si imponevano su tutti per coraggio indomito (cap.72). 
Ad Argo viene imposta una pace e, inoltre, gli Spartani rovesciarono il governo democratico in Argo, fondandovi una costituzione oligarchica di stampo spartano (cap.81), anche se la democrazia verrà restaurata subito dopo (cap.82). Comunque Sparta riesce a mettere fuori combattimento la minaccia argiva e i suoi progetti di diventare il terzo polo. 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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