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L'incontro con l'opera d'arte

L'incontro con l'opera d'arte


Occorre bensì farsi ancora oggi interpreti di un porsi-in-opera dell'arte nel trauma dello stupore. Stupore sempre rinnovato per la flagranza di un incontro necessariamente imprevedibile e dunque sempre "libero" e inatteso. Il quale implica, per altro, una singolare compresenza relazionale del "qualcosa" che si mostra e del riguardante che ne accoglie e custodisce le tracce. Desidero evocare qui una sorta di "poetica dell'incontro", per così dire, tra differenze non riducibili. Incontro che a sua volta produce altre differenze. Incontro potenzialmente destabilizzante, il quale può certo avviare una fase dialogica tendente a ripristinare la condizione "omeostatica" di partenza, ma non esiste nessuna garanzia a priori che l'esito di tale dialogo sia la semplice riconferma delle identità iniziali o il mero approfondimento di esperienze già collaudate. Occorre insomma affrontare il rischio di un reale cambiamento. Di quel completo e talora durevole rivolgimento dei paradigmi dominanti in virtù del quale, come sappiamo, ogni volta nell'arte può rimettersi in questione il senso dell'intero esistente. Intendo alludere, perciò, all'etica dell'eversione poetica, dello spaesamento continuo, dell'incontro straniante. L'incontro con l'opera andrebbe quindi sottratto al puro e semplice atto notarile del riconoscimento dell'identità di un oggetto più o meno originale, a quella sostanziale indifferenza verso le verità dell'arte che è tipica del mero rispetto pluralistico delle opinioni altrui. L'empatia conversazionale è certo una risorsa utile per il buon venditore, ma la ricerca di un consenso immediato non può essere anche lo scopo primario del filosofo o dell'artista. Scudero, infatti, non si lascia sedurre da quella mitologia del gioco senza frontiere che si ripropone oggi sotto il segno omologante della globalizzazione, ennesima versione tecnologica dell'opera totale wagneriana, vera trasposizione simulacrale su scala planetaria di quell'Eros platonico in cui l'Uno non incontra mai, di fatto, qualcosa o qualcuno che sia realmente altro da Sé. Sappiamo infatti che per Platone l'amore era idealizzabile come pura sintesi degli opposti, approdo pacificante, riunione definitiva delle parti separate dell'androgino primordiale, dunque estasi ego-centrica e transito circolare dallo stesso allo stesso.

Tratto da AVANGUARDIA NEL PRESENTE di Alessia Muliere
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