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Heidegger e l'errore del passato

Heidegger e l'errore del passato


In una pagina di Essere e tempo, si legge che la maniera per non prendere il passato come vergangen (passato come necessità irrevocabile) ma per assumerlo come gewesen (un essente stato sempre aperto alla nostra interpretazione e decisione) esige che il Dasein scelga i suoi eroi. Il Dasein deve scegliere i suoi eroi, i suoi modelli storici, per affermare e rendere sempre e ancora possibile  un’attitudine non passiva nei confronti del passato. Per Heidegger, anche a rischio di prendere una posizione sbagliata, bisogna assumere la responsabilità di un progetto. E questo progetto sarà tanto più autentico quanto più non pretenderà di realizzare una volta per tutte le verità, negando i suoi obiettivi di base. Alla base di ogni progetto storico si dovrà avere, dal punto di vista di questo Heidegger rivoluzionario, la negazione della violenza che è l’eredità della metafisica, della conservazione e della dominazione che si serve della verità, del dato, dell’ordine. Ma perché proprio dalle premesse da cui Heidegger muoveva, e che fraintese aderendo al movimento di Hitler, si può ripartire per immaginare una filosofia che risponda anche alla richiesta di Marx, capace cioè di modificare il mondo con un’iniziativa storica, quindi non solo osservarlo. Il senso dell’errore dell’Heidegger nazista non è stato la decisione di scegliersi i suoi eroi, cioè di coinvolgersi in un’avventura politica. Ma nemmeno, è questo il punto essenziale, il fatto di aver abbracciato una causa oggettivamente falsa, in luogo di attenersi alla verità. I critici di Heidegger gli hanno sempre rimproverato di non aver riconosciuto il proprio errore a guerra finita; e chiunque si ispiri a ideali democratici, di civile convivenza, non può che concordare – noi certo preferiremmo di gran lunga che Heidegger si fosse purificato con una presa di distanza dalle posizioni del 1933. Ma poteva davvero farlo in base alla scoperta della verità? Ovvero condannare il nazismo in nome dei diritti umani universali divenuti finalmente evidenti e affermati solennemente dalle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale? Questo discorso è pericoloso ma va fatto in nome della verità contro la logica di guerra.
Inoltre sentirci parte (di un negoziato, di un dialogo, persino di un conflitto) allora forse la filosofia può cominciare a trasformare il mondo invece che limitarsi a contemplarlo. Secondo Vattimo, il mondo sviluppato, da fine della metafisica, mostra una preoccupante assenza di progettualità, se si eccettua lo sforzo di mantenere il mondo di vita esistente, con i suoi privilegi e le sue abitudini di consumo, che è espresso dalla guerra al terrorismo. Il terzo mondo, dal canto suo, è dominato dallo stesso modello, tenta di raggiungere lo stesso livello di benessere e di consumo che l’Occidente ha esportato ovunque.
Ciò che serve è una filosofia progettuale e non più descrittiva.

Tratto da LE CORRENTI DI PENSIERO CONTEMPORANEE di Gabriella Galbiati
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