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L'ordine internazionale secondo la legge del più forte

L’ordine internazionale che ne scaturisce è altamente conflittuale, molto precario, basato su forze antagoniste. 
Parlando di timore, è opportuno distinguere tra 2 termini greci, che indicano tutti e 2 la “paura”, il “timore”, ma con accezioni diverse: 
− déos = timore razionale, una sorta di apprensione di carattere intellettuale proiettata nel futuro, basata su un calcolo delle probabilità ⇒ è visto in maniera positiva, perché implica prudenza e vantaggi di solito opposti ai rischi e agli esiti disastrosi derivanti dalla speranza. 
− phóbos = paura irrazionale, riconducibile a cause immediate e che conduce a decisioni sbagliate. 

Gli snodi più importanti delle Storie sono legati ad un déos: 
− la creazione dell’impero ateniese è frutto del timore ateniese per la Persia; 
− Eufemo a Camarina ribadisce il fatto che l’impero sia stato costruito per timore ed è per timore che gli Ateniesi si trovano in Sicilia; 
− i soggetti di Atene restano sottomessi perché ne hanno paura, come viene chiaramente illustrato dai Mitilenesi; 
− gli alleati che sono in certa misura ancora autonomi, lo sono perché fanno paura ad Atene, come riconosciuto dagli stessi Ateniesi nel dialogo con i Meli; 
− Sparta decide la guerra perché ha paura di Atene; 
− gli Stati che si alleano con Sparta, lo fanno perché temono Atene; 
− le città della Sicilia fanno fronte comune perché temono Atene, come sottolineato da Ermocrate; 
− le città siciliane che si schierano con Atene, lo fanno perché preoccupate per la posizione di Siracusa; 
− persino il Re di Persia teme più Sparta che Atene. 

Ma il timore gioca un ruolo essenziale non solo tra le città e gli Stati, ma anche tra gli individui: la principale differenza è che spesso i timori individuali sono rovinosi per lo Stato: 
− Nicia teme la reazione degli ateniesi ⇒ non vuole ritirarsi dalla Sicilia ⇒ l’esercito ateniese viene distrutto; 
− Alcibiade teme il processo ad Atene ⇒ fugge ⇒ Atene perde l’unico probabilmente in grado di portare a termine con successo la spedizione in Sicilia; 
− gli oligarchi, quando il loro regime comincia a crollare, temono la restaurazione democratica ⇒ accusandosi a vicenda causano il crollo del regime ateniese. 

È il timore, così diffuso, a diventare la principale causa della ricerca di potenza, perché solo la potenza garantisce di temperare questo timore, fornendo la sicurezza. 
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È un mondo caratterizzato dalla paura, da un ordine precario, altamente conflittuale, il mondo della lotta di tutti contro tutti, in cui ognuno cerca di garantirsi la sicurezza per mezzo della forza, proprio come il mondo di Hobbes. Infatti, ricordando la tripartizione delle motivazioni dell’azione umana (timore – decoro – utile), è immediato il collegamento con l’esordio del Leviatano, in cui Hobbes afferma che gli uomini sono mossi da competizione, diffidenza e gloria. La prima fa sì che gli uomini si accaniscono per guadagno, la seconda per sicurezza, la terza per la reputazione. Come per Tucidide, anche per Hobbes è centrale la caratterizzazione della natura umana e ancora più importante è il ruolo del timore. 
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Da dove nasce questo timore? 
Per rispondere a questa domanda, è utile richiamare la classica dicotomia sofistica già vista che contrappone 
− nómos = le leggi e le convenzioni umane ⇒ è un’invenzione, un qualcosa di molto variabile e precario. 
− phýsis = le leggi naturali. Ad oggi, non sappiamo molto di questo elemento, se non dalle opere di Platone. Comunque, in generale, si può intendere un insieme di costanti che costituiscono il fondamento dell’essere vivente nei suoi comportamenti. 

La principale differenza sta nel fatto che le leggi di natura sono inesorabili, un dato di fatto, non giudicabili, che vigono non solo per il mondo umano, ma persino nel mondo divino (come affermato dagli Ateniesi nel dialogo con in Meli, V.105) ⇒ di fronte alle leggi di natura, gli individui non possono fare altro che piegarsi. 
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Se la natura è costante, gli eventi sono naturalmente destinati a ripetersi ⇒ possono essere in qualche misura previsti. Infatti, l’idea della ripetizione degli eventi legati alla natura umana è espressa con chiarezza da Tucidide in 3 occasioni: la descrizione delle 2 situazioni estreme – la peste ad Atene (II.48) il cui studio risulterà utile, nel caso che il flagello infierisca in futuro, a riconoscerlo in qualche modo) e la guerra civile a Corcira (III.82, le interne scosse segnarono a fondo le città con le infinite tracce del tormento e del sangue, che sono state e saranno sempre la dolente e cupa eredità di quei moti (finché non si converta la natura umana) – a cui si collega il tema dell’utilità delle Storie (I.22, basterà che stimino la mia opera feconda quanti vogliono scrutare e penetrare la verità delle vicende passate e di quelle che nel tempo futuro, per le leggi immanenti al mondo umano, s’attueranno di simili, o perfino d’identiche). 
Quali sono i tratti più importanti della natura umana? 
Il resoconto forse più esauriente e complesso è quello delineato da Diodoto, nel dibattito su Mitilene, in cui, contro Cleone, si oppone alla pena di morte, non per motivi umanitari, ma perché sarebbe inutile, anch’essa risulta un argine insufficiente. E questo perché su tutto, il dominio della speranza e del desiderio: questo di guida, quella di scorta; l’uno fantastica e stilla i particolari del colpo, l’altra riscalda con la suggestione di una lieta fortuna: onde perdite incalcolabili ⇒ è semplicemente impossibile, anzi ingenuo, ritenere che la legge, o qualunque altra tremenda costrizione possa ergersi, invalicabile baluardo, a infrangere il potente impeto della natura umana, quando arde nel volo d’una conquista (III.45) 
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Desiderio, speranza, fortuna: tutti questi elementi inducono l’uomo ad agire in maniera irrazionale. 
Questi sono mutamenti psicologici che vengono dati per scontati, in quanto parte integrante della filosofia della Grecia del V secolo a.C., e messi in rilievo soprattutto dagli scrittori delle tragedie (Eschilo, Euripide, Sofocle). 
La struttura tipica della tragedia prevede il completo rovesciamento dei desideri dei protagonisti. Nelle forme iniziali della tragedia, questo rovesciamento era dovuto all’intervento di forze esterne, come gli dei o il destino, mentre nelle forme più diffuse nel V secolo, il fallimento dell’eroe dipende dalle sue passioni, spesso irrazionali. 
Le principali forze in gioco, osservabili nell’opera di Tucidide, sono: 
1. hýbris = mancanza di moderazione, quasi arroganza, che induce l’uomo a desiderare più di quello che ha. La tentazione che spinge gli uomini a desiderare sempre più è l’eccesso, la hybris, la mancanza di moderazione che, in Tucidide, si esprime in questo modo: essendo la natura umana quello che è, l’uomo si permette di farsi trasportare così tanto dal successo da formulare desideri smoderati. 
La hybris può essere suddivisa in 2 componenti: 
− una sorta di arroganza ottimista, basata sulla speranza (elpís), che conduce al desiderio (éros). Il risultato è la cecità (até), perché si perde l’uso della ragione; 
− una fredda e cinica sfida agli dei = gli esseri umani si credono tanto forti da potersi ergere contro gli dei. 
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Da questo punto di vista, per alcuni interpreti, Tucidide nelle Storie descrive un lungo processo attraverso il quale, alla fine, Atene viene accecata e il risultato finale è una sorta di némesis, risultato non di una punizione divina, ma logica conseguenza di tutta una serie di errori compiuti dagli stessi Ateniesi. 
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La hybris dunque è una disavventura azionata dalla natura umana, un sentimento di esaltazione che ci prende nel momento sbagliato per ingannarci e può essere descritta, nel contesto delle Storie, come imprudenza nata dal successo, in un processo così sintetizzabile: 


2. elpís = speranza, spesso infondata, che porta l’uomo a compiere azioni che poi si ritorcono contro di lui. 
3. éros = desiderio incontrollabile per qualcosa che spesso è fuori portata, e che dunque spinge l’uomo a compiere azioni irrazionali. È interessante notare che, secondo Platone, l’éros è la passione tipica dei tiranni, e Atene viene per l’appunto descritta – dai Corinzi e dai suoi stessi capi – come una città tiranna ⇒ come il tiranno, a livello individuale sviluppa questa passione, così la città tiranna sviluppa una passione analoga a livello collettivo. 
4. até = cecità, perché talvolta gli esseri umani vengono accecati dalle loro passioni. Secondo alcuni interpreti, Melo è il caso più eclatante della cecità ateniese: infatti, nessun ambasciatore ateniese avrebbe potuto esprimersi in quei termini con un altro Greco, tanto più che proprio gli Ateniesi avevano sacrificato la loro città pur di cacciare il nemico persiano dalla Grecia. 
Nella spedizione in Sicilia si congiungono vari elementi, riassumibili come cecità collettiva, prova evidente della crescente trasformazione di Atene lungo tutto il corso della guerra e che con l’impresa siciliana raggiunge l’apice: Atene, tentata dalla Fortuna (tyché), illusa dalla speranza (elpís), sedotta dall’inganno (apaté) di essere finanziata da Segesta, sta agendo in un modo degno addirittura dei Persiani = Atene, che si vanta di essere stata il liberatore della Grecia dai Persiani, ora si accinge ad invadere un popolo greco. 
5. phóbos = paura irrazionale. 
6. tyché = il Fato, la fortuna, che incide sugli eventi umani. Il meccanismo che corrisponde a questa forza è ben preciso: ciò che induce gli uomini a volere sempre più è ciò che li porta a credere che essi possono ottenere di più, cioè il successo, soprattutto quello fortuito e quello inatteso, la cui sorpresa oscura la ragione (o, in forme più antiche, suscita la gelosia degli dei), proprio come detto dallo stesso Tucidide (II.61, l’elemento incalcolabile e folgorante, insito in un caso che infranga ogni previsione, soggioga anche un’anima fiera). 
In generale, comunque, tutte le forme di prosperità inducono l’uomo all’errore: il fatto stesso di essere potente è più che sufficiente (III.45, ai loro impulsi si fonde spesso, non meno vigoroso, quello del caso a sconvolgere l’animo umano: poiché talvolta crea dal nulla insospettate condizioni che esaltano alla sfida temeraria, quando, invece, le proprie facoltà precarie rammenterebbero la cautela) o anche il fatto di aver accresciuto il proprio potere (IV.18, la prosperità attuale del vostro paese, resa anche più florida dai recenti possessi, non vi seduca né v’illuda che la brezza della fortuna indulgente gonfierà sempre le vostre vele). 
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Permettersi di lasciarsi trasportare dai successi fortuiti è chiaramente un errore, perché gli uomini dimenticano di non essere infallibili, perdendo ogni razionalità. In pratica, i discorsi degli Spartani e di Nicia tendono a mostrare ad Atene quanto imprudentemente sta agendo e che le decisioni irrazionali portano con sé la punizione inevitabile: il fallimento. 
7. némesis = la vendetta che si abbatte su chi ha commesso qualche atto ingiusto ⇒ è una specie di “giustizia distributiva”. 
8. apaté = inganno. 

Tutti questi elementi sono appunto presenti anche nelle Storie, tanto che alcuni critici sostengono che non è un’opera storica, ma una tragedia in prosa, anziché in versi. 
Sicuramente questi elementi giocano un ruolo rilevante nell’opera tucididea, ma non bisogna però dimenticare che le Storie sono, per volontà stessa del suo autore, un’opera politica. 
Secondo J. De Romilly, essendo uno storico, Tucidide indica nelle Storie tutte le varie circostanze che hanno portato alla crescita dell’impero ateniese. Queste circostanze, però, rimangono subordinate ad altre spiegazioni, più generali. In particolare, la personalità di Atene, come città nel suo complesso, gioca un ruolo piuttosto importante. All’inizio dell’opera, i Corinzi tracciano un parallelo tra Sparta ed Atene, nel famoso passaggio al I.70. qui, per spiegare la politica ateniese, i Corinzi definiscono la “natura” degli Ateniesi ⇒ l’imperialismo sembra scaturire “naturalmente” da questo carattere degli Ateniesi. 
Certamente, il carattere degli Ateniesi li ha resi capaci di acquisire il loro impero, ma in seguito, questo carattere non fa altro che incoraggiarli a seguire la direzione creata dalla particolare circostanza. Questa combinazione di cause generali e cause particolari aiuta a spiegare i 2 argomenti avanzati da De Romilly: 
− la bellezza della tradizione ateniese e la necessità pratica di mantenere l’esercito; 
− la speranza di vittoria e la necessità di continuare la lotta. 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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