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Le confraternite



Esistono, accanto al Sant'Uffizio, delle confraternite che servono a coadiuvare all'azione religiosa del tribunale e che vengono fatte per lo più da aristocratici. Queste confraternite ci sono in entrambi i tribunali (spagnolo e romano), sono intitolate variamente, godono anch'esse di privilegi legati al fatto di poter servire un tribunale di fede. Questa è la ragione per cui i vescovi vogliono controllare strettamente le confraternite, su cui essi avrebbero la giurisdizione, ma invece c'è un tentativo del Sant'Uffizio di sottrarle alla giurisdizione vescovile e di metterle sotto la propria giurisdizione.
Anche in Sicilia ci sono delle confraternite.
L'aristocrazia ha sempre dato manforte alla giustizia, sia laica sia ecclesiastica. In tutte le città italiane ci sono delle confraternite per la "buona morte", ovvero la morte dei condannati a morte che vengono accompagnati almeno tre giorni precedenti all'esecuzione da confraternite ad hoc (esempio a Palermo la confraternita dei bianchi), e in queste confraternite gli aristocratici che vi siedono devono lasciare qualunque attività nel momento in cui c'è la necessità della loro attività, che è di conforto spirituale dei condannati a morte affinché questi possano morire in grazia di Dio. Questa attività quindi consiste nel fatto che i confratelli (vestiti con abiti determinati) vanno a visitare il condannato che viene tolto dalla cella comune e portato in una cella singola e questi leggono passi del vangelo, soprattutto quelli relativi a Cristo che si prepara a morire, o il tradimento, Cristo alla colonna ecc. Tutto questo avviene nei giorni in cui si cerca di ottenere una piena confessione del condannato dal proprio peccato davanti al confratello. Non è però una confessione sacramentale perché quella la fanno i sacerdoti, mentre questi sono aristocratici confrati laici, e la loro è una sorta di accompagnamento a fare un bilancio della vita dell'individuo che lo porti a riconoscere, all'interno di tutta la sua vita, la provvidenzialità del momento della condanna a morte. Cercano quindi di farli riconoscere non solo la giustizia della punizione, ma anche la possibilità, attraverso questa giustizia, che il condannato possa espiare una serie di comportamenti fatti durante la sua vita.
Prosperi nel suo libro su un processo per infanticidio fatto da una donna bolognese fa capire bene questo comportamento, analizzando il momento conclusivo: in questo particolare momento si ha una peccatrice (infanticida) che fa per tre giorni lo scarico di coscienza all'interno della compagnia bolognese che si occupa della buona morte, ha confessato al confessore i suoi peccati e finalmente sale alla forca per essere uccisa ritualmente. Prosperi fa notare una cosa interessante, cioè come, dopo che una persona viene giustiziata, alla sua anima ci si rivolga per ottenere protezione, fortuna in un viaggio o affare, premonizioni, ecc. In Sicilia c'è una particolare devozione alle "anime dei corpi decollati" (Chiesa della madonna sull'Oreto), ancora oggi ci sono cippi a cui la gente pone fiori, e sono i luoghi dove prima veniva posta la piramide delle teste dei corpi decollati, ovvero i luoghi dove si era svolta la giustizia perché dovevano servire da monito (scopo pedagogico). La domanda che sorge spontanea è: come è possibile che le anime di delinquenti che sono stati condannati all'ultimo supplizio possano essere pregate come se si trattasse di santi? La risposta a questa cosa la dà Prosperi con la sua analisi: l'infanticida che si è pentita delle sue azioni, che ha capito come sia necessario riparare a quello che ha fatto attraverso l'esecuzione della giustizia, come questa abbia rappresentato per lei l'opportunità di guadagnare il regno dei cieli, sale sul patibolo e in quel momento è innocente perché si è pentita, ha concluso i suoi conti e affronta quel determinato passaggio come l'ha affrontato Cristo; in quel momento la persona che sta per morire è Cristo che si avvia ad essere crocifisso. In quel momento, il condannato è l'unico innocente perché tutti gli altri che osservano, non hanno fatto quel percorso e dunque sono colpevoli.
C'è un ribaltamento, attraverso questo percorso, dalla situazione di colpevolezza a una situazione di "nuova innocenza", dunque la persona che sta per essere uccisa è innocente, tale per cui da morto, può essere pregato. Solitamente i condannati vengono pregati per evitare che accada, a chi prega, la stessa cosa che facevano essi in vita: si chiede che si possa fare in sicurezza un viaggio, si chiede di indicare la retta via, come una specie di contrappasso.
Da questo si capisce l'importanza sociale della confraternita che opera questa trasformazione. È qualcosa di estremamente raffinato dal punto di vista simbolico e culturale, ed è così raffinato e importante per cui è ovvio sono le persone più importanti che devono essere condotte a fare questo tipo di lavoro. Per questo, gli aristocratici si occupano di queste attività, e quando sono chiamati a farlo, devono lasciare tutto il resto perché qualsiasi altra cosa è meno importante di questa cosa per cui sono chiamati.
Entrare in una confraternita come questa è molto importante e impegnativo.
Le confraternite servono la giustizia sia laica che ecclesiastica (ad esempio, in Sicilia, la confraternita dei bianchi serve la giustizia laica; altre confraternite servono la giustizia del Sant'Uffizio). In particolare, la compagnia della pace, siciliana, ha una funzione importante perché di questa confraternita fanno parte i familiari del Sant'Uffizio. Questa compagnia funziona come forma di transazione giudiziaria: essa si interpone, quando accade un conflitto o un reato, tra i due (vittima e reo) perché la giustizia sia di tipo compositivo e quindi i due non arrivino a lamentarsi o a gestire la propria questione davanti a un tribunale vero e proprio. È una forma di giustizia molto diffusa, che non fa parte solo di questa compagnia, per cui si può "comporre" un conflitto che altrimenti finirebbe sul piano giudiziario, evitando appunto che ci arrivi. Si fa una "composizione giudiziaria" prima. Ad esempio: una donna spagnola ha un marito violento e la uccide; il padre di lei vuole denunciarlo alla giustizia del re; il marito invece ha un familiare del Sant'Uffizio e in questa questione interviene la compagnia della pace, cercando di evitare che il padre della donna faccia denuncia. La questione, secondo il racconto della Messana, viene "composta" attraverso la promozione del padre a familiare del Sant'Uffizio: il padre viene promosso a familiare e perdona il genero, diventando così disponibile a raccontare la vicenda a difesa del genero, facendo diventare la figlia infedele. Si aggiustano in questo modo le cose tra di loro, per evitare di arrivare in tribunale, dove invece si sarebbe svolto un conflitto giurisdizionale tra il Sant'Uffizio e il tribunale regio: se il marito della donna era un familiare del tribunale, esso avrebbe preteso di giudicarlo, di contro il re avrebbe potuto obiettare trattandosi di un reato non di fede e l'avrebbe giudicato un tribunale laico. La giustizia transitiva era molto diffusa in tutte le società del secolo. Per esempio, la giustizia transitiva viene comunemente utilizzata nei casi di matrimoni clandestini, dove c'erano pene che venivano opinate per l'uomo ma anche per la donna: il fatto che si intromettessero delle persone autorevoli, faceva in modo che le famiglie, in un primo momento contrarie al matrimonio, potessero invece acconsentirvi. È quindi una forma di transazione, è una giustizia formalizzata ma non istituzionalizzata cioè non c'è un tribunale, una struttura, dei giudici o delle leggi determinate che la prevedano, però è formalizzata perché socialmente la cosa si deve svolgere in alcuni modi che sono standardizzati e attiene a una serie di figure riconosciute socialmente, così autorevoli da poterla esercitare. Questo accade fino alla fine del '700. Da questo punto di vista, si può ipotizzare che questo costume prolungatosi nel tempo abbia potuto poi condurre, per esempio i siciliani, una forma di "giustizia", quella che nell'Ottocento amministravano le associazioni mafiose; c'è una lunga tradizione alla composizione, a comporre in maniera non istituzionalizzata le controversie. Secondo questa idea, un conflitto non va portato necessariamente davanti al giudice competente, civile o penale a seconda del conflitto, perché ci sono una serie di persone autorevoli e autorizzati nel contesto sociale a mettere insieme i conflitti tra persone.
Le confraternite in determinati luoghi servono per dare manforte al tribunale.
Caso giudiziario che riguarda una esecuzione capitale, Pietro Carnesecchi era un imputato che venne condannato al rogo nel 1567 e che rappresenta nella storia dell'Inquisizione romana un vero punto di svolta. Da questo momento l'inquisizione non manifesterà più nessuna tolleranza nei confronti del nicodemismo, ma soprattutto nessuna tolleranza nei confronti della élite sociale e politica che si mostra ambigua nei confronti di un pensiero che la Chiesa considera eretica. Colpendo Carnesecchi, si vuole colpire l'alleanza politica che molti di questi pensatori e intellettuali hanno stretto con l'élite del luogo. Carnesecchi è un nobile fiorentino, aristocratico che sposa le idee dello spagnolo Valdés; viene inquisito per la prima volta nel 1546, viene assolto e dopo l'assoluzione fugge a Venezia e viene riprocessato nel 1560; ancora una volta viene assolto ed è protetto da una importante mecenate aristocratica, Giulia Gonzaga. Solo alla morte della Gonzaga, poiché si troveranno delle lettere di Carnesecchi a Giulia, finalmente grazie alle lettere verrà condannato e sentenziato nel 1567. Dalla corrispondenza si vede l'appartenenza dei due a un gruppo erasmista: Giulia è protettrice di Valdes e co-autrice di un'opera a lui attribuita. Carnesecchi a un certo punto avrebbe chiesto a Giulia di bruciare la loro corrispondenza, ma lei non lo fa e inoltre, quando i libri di Valdes vengono messi all'indice, lei continua a tenerli e a leggerli. Ma nel 1566 Giulia muore, dunque si trovano tra le sue carte le opere di Valdes e la corrispondenza che farà condannare Carnesecchi. Il suo processo dura un anno, durante in quale viene utilizzata la corrispondenza nell'interrogatorio contro di lui
Durante il processo chiede l'aiuto dei Medici, estendendo la rete della sua protezione politica; sosterrà inoltre di aver seguito le idee di Valdes prima che fossero messe al bando. Nonostante ciò, le testimonianze vengono messe a confronto con le lettere e quindi saranno i suoi stessi scritti ad ucciderlo. Prima di essere condannato viene torturato in due giorni, finché dopo la sentenza esce in auto da fé e viene sentenziato. Grazie alla sua origine aristocratica, viene decapitato prima di essere messo al rogo.
Carnesecchi ha letto Lutero, Calvino, ha creduto negli errori di Valdes, ha creduto nel libro "beneficio di Cristo" e ha protetto molti a raggiungere Ginevra.
Da questo momento, con l'esecuzione di Carnesecchi, il Sant'Uffizio non è più disposto a tollerare da parte di nessuno la protezione ad eretici. Per dare dimostrazione, si libera del valdesiano più influente del tempo in Italia, dopo Giulia Gonzaga. Questo è un processo importante perché rappresenta, nella cronologia del tribunale romano, un cambiamento radicale.
Il tribunale romano si organizza contro l'eresia luterana, contro i protestanti e i calvinisti, in Spagna però c'è anche una caccia ai luterani e agli erasmisti, ma sono soprattutto gli Alumbrados quelli che vengono repressi; in Sicilia nel 1547 c'è la prima vittima luterana. La differenza nella specializzazione dei due tribunali è molto chiara: a nord l'obiettivo del Sant'Uffizio romano sono le regioni riformate, mentre a sud sono i valdesiani e tutto questo occupa la prima fase dell'attività del tribunale; negli anni '70 si occuperà piuttosto di magia, di comportamenti sessuali e cose del genere, solo perché essi vengono assimilati all'eresia; soprattutto si occupa di "sollecitatio ad turpia".
Le eresie di cui si occupa in Sant'Uffizio spagnolo in Italia invece riguardano pochi luterani o calvinisti e quelli che vi capitano, sono corsari: spesso corsari che si presentano come musulmani, vengono identificati dalla nascita, dalla regione di provenienza come protestanti o calvinisti ma dietro questo protestantesimo o calvinismo c'è stato un battesimo, e per questo vengono "pizzicati" quando vengono presi in corsa dai cristiani. I corsari luterani sono però una minima parte. Invece, le eresie perseguite molto intensamente sono quelle dei quietisti. All'interno di una galassia di posizioni religiose che, pur sotto il nome di controriforma, cercava di percorrere verso la salvezza.
Tra le eresie che vengono perseguite dal Sant'Uffizio romano ci sono i pelagiani: risalenti a Pelagio, un monaco che negava che il peccato originale fosse una macchia permanente per la natura umana. Se il peccato originale non era una macchia permanente, questo significa che l'uomo poteva scegliere il bene o il male anche prescindendo dalla grazia di Dio, che viene attraverso il battesimo. I pelagiani enfatizzavano il momento della volontà umana nel perseguire il bene. Questo richiede maggiore responsabilità dell'uomo nei confronti dei propri peccati e fa sì che quelli che si definiscono pelagiani, vengano considerati eretici perché le posizioni di Pelagio erano state considerate eretiche prima da sant'Agostino, poi erano state dichiarate eretiche da parte di un concilio del V secolo d.C.
Ci sono degli atteggiamenti di ricerca personale della strada della salvezza che di volta in volta il Sant'Uffizio romano cataloga all'interno della categoria di eresia a seconda delle varie espressioni. Al di là della auto-identificazione degli imputati, c'è invece una specie di miscuglio in cui tutte le idee circolano e che vengono attribuite senza considerare il complesso dottrinario alla base. Si può essere, anche solo per una delle affermazioni di Lutero, accusati di luteranesimo e così anche per altre ideologie. L'opera del tribunale è un'opera di semplificazione e di catalogazione delle opinioni religiose e delle persone che incappano in esse. Spesso si tratta di idee che non hanno un contenuto dottrinario forte, ciò nonostante, secondo i calcoli di Andrea Del Col, studioso del Sant'Uffizio, sono stati in Italia da 240.000 a 300.000 inquisiti. In Spagna, in totale, gli inquisiti sarebbero stati 200.00 ma di questi, in Spagna ci sono state 12.000 sentenze capitali. In Portogallo la percentuale è ancora maggiore perché su 30.000 inquisiti, ci sarebbero state 12.000 sentenze capitali. Tra questi, la stregoneria dimostra di essere di interesse minore ad essere condannata. Questa cosa dimostra invece la differenza con il tribunale spagnolo, dove invece è immediata l'associazione tra inquisizione e stregoneria. I due tribunali, romano e spagnolo, per motivi diversi hanno perseguito le streghe in maniera di gran lunga inferiore rispetto ai tribunali religiosi protestanti. Il tribunale romano era abbastanza refrattario nel perseguire le streghe, e vi è inoltre la codificazione sotto il nome di stregoneria di fenomeni di culti agrari diffusi; inoltre, il tribunale romano molto presto (anni '20 del Seicento) scrive istruzioni per i propri giudici di non dare credito alle donne che dicono di essere streghe, di partecipare al Sabba o di uccidere bambini, ma di verificare prima di tutto, da parte di esperti del settore come medici se queste cose erano avvenute per davvero. Questo dimostra l'incredulità massima del tribunale romano nei confronti della stregoneria. Il tribunale spagnolo vede la stregoneria come attività terapeutica, di guarigione, ovviamente magica da parte di donne; di contro, attività più sofisticata e più colta legata al richiamo del diavolo è fatta dai negromanti uomini. Quindi anche qui una stregoneria particolare, individualizzata.
Black riporta le tesi di altri studiosi sulla stregoneria: una valutazione asettica ed equilibrata suggerisce circa 110.000 processi in tutta Europa, con 60.000 esecuzioni capitali (...).
Si può dire che di stregoneria periscono di più donne (anche uomini) nei paesi informati, di quanti ne venivano perseguiti e uccidi nei paesi cattolici.
Gli altri reati del tribunale romano sono abbastanza comuni a quelli del tribunale spagnolo. La blasfemia può essere un modo di dire un pensiero eretico, quindi una blasfemia che vira verso l'eresia (anche se gli esempi di Black sembrano non suggerirci questa cosa).
Una cosa molto perseguita è la sollecitatio ad turpia: qui però Black aggiunge che l'accusa di sollecitazione avviene spesso per conflitti che ci sono all'interno dello stesso convento (ad esempio tra frati). Un problema comune è quello dei giudaizzanti: essi sono una pagina che si chiude nel '500 in Sicilia; nel '600 non vi sono processi a giudaizzanti; mentre nel '600 il tribunale romano avrà ancora a che fare con gli ebrei nonostante a Roma e in altre città si siano organizzati ghetti per contenerli. Nonostante i ghetti, gli ebrei avevano relazioni con cristiani. In alcune città gli ebrei vengono bene accolti, (comunità ebraiche a Ferrara, a Venezia, Roma ha il ghetto, e anche a Livorno e Ancora con porto importante). In una stessa città ci sono sia ebrei che conversos: gli ebrei sono per lo più mercanti che intrecciano relazioni con tutti, anche con il papa, mentre i conversos vengono guardati con sospetto, soprattutto dal Sant'Uffizio, per il sospetto di giudaizzare.
La chiesa romana organizza anche un istituto ad hoc che si chiamano “case dei catecumeni": una sorta di collegio in cui persone che hanno espresso desiderio di convertirsi vengono indottrinati in un certo numero di mesi, poi vengono battezzati e aiutati a trovare una posizione sociale, oppure vengono sovvenuti con una piccola pensione. Coloro che escono dalle case dei catecumeni vengono controllati anch'essi dal Sant'Uffizio. C'è una situazione di grande confusione e per controllare un converso, si interrogano i vicini di casa (in base alle usanze, alle tradizioni religiose ecc.), come accadeva anche per i cripto-musulmani. C'è una sorta di circolarità di accuse che si rivolgono reciprocamente ebrei e cristiani. È un'ostilità che la chiesa crede utile mantenere perché da queste ostilità vengono fuori le possibili accuse e condanne, previo controllo. Controllo del Sant'Uffizio che spesso finisce con l'indulgenza.

Tratto da STORIA DELL’INQUISIZIONE ROMANA di Federica Palmigiano
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