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MSI-PMI nelle elezioni politiche italiane del 1948


In questo clima si aprì la campagna elettorale per le Politiche del 1948.
L’argomento principale usato dalle grandi formazioni politiche fu il Comunismo. Da una parte gli AntiComunisti (DC principalmente), dall’altra i Comunisti (PCI e PSI alleati in un unico cartello).
Mentre la DC agitava il “pericolo Comunista” per la neonata Democrazia Italiana, il PCI rispondeva che il Comunismo era l’unica risposta possibile all’asservimento dei capitalisti al Dio denaro. Se la DC sosteneva che l’URSS viveva nella miseria, il PCI ribatteva che in Occidente i Capitalisti affamavano i lavoratori e che il Comunismo era l’unica via per la classe operaia per ottenere il potere.
Eppure, sull’elettorato ebbero maggior presa la minaccia di scomunica del Vaticano ai comunisti e la promessa degli USA di ottemperare agli aiuti per la ricostruzione post-bellica promessi nel Piano Marshall, soltanto nel caso di un alleanza dell’Italia con l’Occidente e non con l’Est russo.
Il facile paradigma “gli Stati Uniti ci aiutano, l’URSS ci affama” ebbe presa sull’elettorato italiano.  
La DC ottenne lo straordinario risultato del 48.5 % dei suffragi, il cartello PCI-PSI si fermò al 31%, in discesa rispetto ai risultati ottenuti dai due partiti separati nel 1946 (PCI 18.9 % e PSI 20.7 %).  
A Destra, l’alleanza tra PMI e MSI nel 1948, portò i monarchici alla conferma del 2.8% ottenuto nel 1946, mentre il MSI ottenne il 2 %.
I consensi dei neo-fascisti erano dovuti soprattutto al malcontento dilagante al Sud per la mancata Riforma Agraria e per la povertà post-bellica.
Un voto “di protesta” che fu canalizzato anche dal Partito Monarchico di Achille Lauro, dominus incontrastato al Sud e capace di sfruttare un diffuso sentire anti-statale, in una parte della popolazione arretrata politicamente e civilmente. Questa fetta di italiani patteggiava ancora per la Monarchia e contrastava la Democrazia.
Eppure, mentre i Monarchici nel 1948 ebbero modo di confermare il loro risultato elettorale, per il MSI fu la prima “esperienza” elettorale dopo il Fascismo. I quadri del Movimento erano formati da ex dirigenti del Regime, lo stesso Almirante aveva partecipato alla Repubblica Sociale di Salò. Per questo, gli scetticismi sulla loro riammissione nell’agone politico si moltiplicarono da più parti.
Chi avrebbe dovuto opporsi, in quanto espressione della maggioranza della popolazione, ovvero la DC, non lo fece essenzialmente per due ragioni.
La prima era che in un clima teso tra comunisti e anticomunisti, la doppia equazione comunismo uguale dittatura uguale fascismo, avrebbe imposto alla Democrazia Cristiana la messa fuorilegge anche del PCI, scenario politico impensabile.
In secondo luogo, avere un’opposizione a sinistra (PCI-PSI) e una a destra (MSI-PMI), era funzionale alla stessa DC per accreditarsi agli occhi della pubblica opinione come unica forza moderata, in grado di garantire gli equilibri di governabilità facendo da “ponte” e da giusto punto di incontro tra i due opposti estremismi.
D’altra parte il PCI non osava sollevare dubbi di costituzionalità sulla formazione neo-fascista, per non affrontare il nodo comunismo-dittatura e rischiare di perdere consensi.
Così, i neo-fascisti furono liberi di perseguire liberamente i loro “nuovi” obiettivi: riprendere le riforme che Gerarchi “moderati” avevano lasciato incompiute, arresisi senza coraggio alcuno al Re e ai Capitalisti. Insomma volevano mettere in atto quella Rivoluzione Fascista mancata dai loro predecessori per ignavia, secondo il loro punto di vista.  

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