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Definizione del concetto di imputabilità


Perché l’imputabilità sussista occorrono entrambe le capacità di intendere e di volere.
Perché essa possa essere esclusa basterà invece che una soltanto delle medesime capacità venga meno.
Sono note delle forme morbose nelle quali la capacità di intendere può sussistere integra pure essendo gravemente compromessa la sola capacità di volere, come ad esempio in certi stati ossessivi o paranoidi.
In ogni caso, l’esclusione eventuale della capacità di intendere di volere deve essere subordinata al preliminare riconoscimento clinico dell’infermità da cui il vizio di mente totale o parziale deriva.
Capacità di intendere
Ogni azione umana è la sintesi di un complesso di forze interiori (psichiche e fisiche) che la producono e che, per ciò che concerne la sfera psichica, possiamo indicare con i termini di sentimento, volontà e intelletto.
Ne segue che la capacità di intendere e non è valutabile separatamente dalla capacità di volere.
Che cosa si vuol dire, ci si chiede, per normale capacità di intendere e per normale capacità di volere?
In che cosa consiste l’atto intellettivo normale?
Intanto precisiamo che capacità di intendere vuol dire qualcosa di più e di diverso che parlare solo di intelligenza.
Di tale capacità possiamo distinguere, per comodità didattica, diversi gradi o valenze.
Il primo di essi è che il soggetto sia consapevole di ciò che accade, cioè che abbia una normale consapevolezza di sé e del mondo (coscienza della realtà).
È ovvia a tal fine l’importanza che assumono le funzioni sensoriali (della vista, dell’udito, del tatto, ecc…), le sensazioni, le percezioni, l’intelligenza, l’attenzione, alla memoria, la concentrazione, ecc…
Deve inoltre saper cogliere correttamente e interpretare i segnali che gli arrivano dal proprio mondo interiore e da quello esteriore: dal che anche il valore dell’educazione, dell’esperienza, dell’apprendimento, dello sviluppo, delle età, della salute mentale, ecc…
Diverso è parlare del cosiddetto sentimento di realtà, che è il vissuto interiore, il colorito emotivo, che si accompagna alla coscienza e alla consapevolezza della reale.
Il soggetto deve però rendersi conto anche della propria possibilità di rapportarsi col mondo esterno, quindi della sua capacità di modificare la realtà esteriore (oltre che interiore) agendo su di essa e perciò deve anche comprendere di poter causare e quindi di poter produrre delle modificazioni, migliorative o peggiorative, nella realtà che lo circonda.
Egli è capace di cogliere i legami e i rapporti di derivazione causale fra le azioni proprie e quelle degli altri, di modificare il proprio comportamento sia in relazione con le diverse circostanze ambientali, sia col comportamento di terzi.
La capacità di acquistare ad un tempo consapevolezza delle azioni proprie e di quelle altrui, nonché dei cambiamenti che quelle azioni possono provocare o provocano certamente nella realtà, può essere indicato sinteticamente come consapevolezza comportamentale.
Alcuni autori distinguono da essa la cosiddetta consapevolezza consequenziale, cioè la consapevolezza che ciascun individuo ha delle conseguenze non solo prossime ma anche remote del proprio comportamento.
Dalla maggiore con minore profondità di campo di questa “coscienza consequenziale” deriva la terza valenza della capacità di intendere che è la valutazione critica e la scelta del comportamento da tenere nella situazione concreta (capacità di critica).

Tratto da MEDICINA LEGALE di Stefano Civitelli
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